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Il gioco d’azzardo: l’iniquità di una “tassa volontaria”

Il gioco d’azzardo contribuisce in modo rilevante alle entrate dello Stato. Ma alcune categorie sociali spendono in modo più che proporzionale rispetto alle loro risorse economiche. Amplificando così le disuguaglianze economiche. La mobilità sociale dovuta alla fortuna, non al talento e al lavoro.
LE ENTRATE PER GIOCO

In Italia, come in altri paesi occidentali, i giochi d’azzardo legali costituiscono una percentuale rilevante delle entrate tributarie: tra il 1999 e il 2009 hanno fatto incassare in media all’erario il 4 per cento sul totale delle imposte indirette e, in termini assoluti, hanno contribuito alle casse statali con una media di 9,2 miliardi di euro all’anno. (1) Secondo gli ultimi dati Aams (Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato), nel periodo gennaio-ottobre 2012 la raccolta complessiva, ossia l’insieme lordo del denaro mosso dai giochi, è stata di circa circa 70 miliardi. La raccolta derivante dai giochi è composta da diverse voci: quota dovuta all’erario, costi di concessione, costi di distribuzione, quota dovuta ad Aams e payout, ossia la parte che torna ai giocatori in forma di vincite.
È importante notare che il meccanismo di redistribuzione tra giocatori e Stato contribuisce a riprodurre disparità già esistenti, dato che lo Stato trattiene una quota delle giocate sotto forma di tassazione. Assumendo che le vincite siano distribuite in modo casuale tra i giocatori, se ne deduce che se alcune categorie sociali spendono nei giochi in modo più che proporzionale alle loro risorse economiche, verseranno relativamente più denaro nelle casse pubbliche rispetto alle altre categorie. (2)
In uno studio recente abbiamo indagato la spesa in giochi d’azzardo delle famiglie italiane secondo la loro posizione socio-economica. (3) Sono stati utilizzati i dati Istat tratti dall’Indagine sui consumi delle famiglie italiane (anni 1999, 2003, 2008), analizzando la spesa mensile delle famiglie in un ristretto paniere di giochi che comprende Lotto, Totocalcio e Gratta & Vinci. (4)
Il grafico riporta la relazione tra il reddito famigliare equivalente e la percentuale del reddito speso nei suddetti giochi. La figura mostra che le famiglie con redditi più bassi tendono a spendere una percentuale del loro reddito più alta rispetto alle famiglie più ricche. Questo è vero sia considerando la spesa media in giochi tra tutte le famiglie italiane (linea tratteggiata), sia limitandosi a quelle con almeno un giocatore (linea continua). Le famiglie giocatrici più povere spendono circa il 3 per cento del loro reddito in questo tipo di giochi, mentre quelle più ricche spendono meno dell’1 per cento.
Dato che i giochi di pura fortuna portano in media a una perdita di denaro perché sui grandi numeri “il banco” vince sempre, la spesa in giochi si traduce a tutti gli effetti in una sorta di “tassazione volontaria” di tipo regressivo e in un più generale fattore di disuguaglianza socio-economica.

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L’IMPERATIVO DI “FAR CASSA”

Il gioco d’azzardo legale consente allo Stato di incrementare con (relativamente) scarsa fatica le entrate erariali e di regolamentare un settore ad alto rischio di infiltrazione da parte della criminalità organizzata. A livello individuale, il gioco d’azzardo riveste un ruolo ludico e di intrattenimento per i giocatori, che comporta anche il piacere di fantasticare su possibili vincite di denaro.I vantaggi si accompagnano però a costi sociali che non possono essere minimizzati. Oltre al noto e gravoso problema delle ludopatie, i giochi di azzardo agiscono come un tassa regressiva aggravando le condizioni economiche delle famiglie più povere. (5)
Esiste inoltre un aspetto etico-valoriale da non sottovalutare, riferito all’incentivazione di canali di mobilità sociale ascendente svincolati dal merito individuale e basati sulla pura fortuna. In altre parole, c’è da chiedersi se l’incoraggiamento di tali attività da parte dello Stato non contribuisca a diffondere una cultura in cui l’importanza del talento, dell’impegno e del lavoro venga sminuita.
In tutto ciò lo Stato italiano sembra non aver avuto dubbi consentendo, attraverso Aams, campagne pubblicitarie massive e liberalizzando il settore del gioco d’azzardo. (6) Si è data quindi priorità ai vantaggi finanziari, al “far cassa”, trascurando, tra i vari aspetti negativi, le ripercussioni sociali in termini di aumento della disuguaglianza.

(1) Il dato è riferito alle entrate erariali, le tasse che lo Stato incassa dai giochi.

(2) Beckert, J. e Mark Lutter, M. (2009). „The Inequality
of Fair Play: Lottery Gambling and Social Stratification in Germany”, in European Sociological Review, vol. 25, n. 4, pp. 475–488.

(3) Sarti, S. e Triventi, M. (2012). “Il gioco d’azzardo: l’iniquità di una tassa volontaria. La relazione tra posizione socio-economica e propensione al gioco”. Stato e Mercato, 96, 503-533.

(4) Purtroppo l’Istat non registra informazioni sui giochi online e sulle Newslot (apparecchi elettronici), che costituiscono un segmento importante e in forte espansione, contrariamente al Lotto e al Totocalcio che sono in contrazione.

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(5) Sulle ludopatie, si veda ad esempio il sito dell’associazione medici-psichiatri: http://www.aipsimed.org/gioco-d-azzardo-patologico/.

(6) Il decreto legge 13/8/2011 all’articolo 2 comma 3 recita: “Il ministero dell’Economia e delle Finanze-Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, […] emana tutte le disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine di assicurare maggiori entrate, potendo tra l’altro introdurre nuovi giochi, indire nuove lotterie, anche a estrazione istantanea, adottare nuove modalità di gioco del Lotto, nonché dei giochi numerici a totalizzazione nazionale, variare l’assegnazione della percentuale della posta di gioco a montepremi ovvero a vincite in denaro, la misura del prelievo erariale unico, nonché la percentuale del compenso per le attività di gestione ovvero per quella dei punti vendita”.

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  1. Vito svelto

    E’ ben noto il risultato di ogni proibizionismo!
    Solo una utopistica educazione ai valori potrebbe salvare certe persone …. sempre coloro che stanno meglio, in media peraltro, si salverebbero!

  2. remo molinari

    la situazione è molto più complicata di quanto rappresentate
    se analizzate i dati del poker cash scoprirete che questo gioco genera un trasferimento di denaro di molti miliardi dai loser ai winner
    per cui alla spesa che diachiara AAMS devono essere aggiunti questi 5 miliardi
    buon lavoro

  3. guido

    Attenzione: Tutte le imposte sui consumi e le accise hanno carattere regressivo; si pensi all’IVA sui generi alimentari o alla benzina.

  4. Guido

    Sembra ovvio ed evidente che i giochi a premio interessino, in teoria e nei fatti, le persone con minor disponibilità di reddito così come è evidente la facilità da parte dello Stato di “fare cassa” senza grandi fatiche e peraltro, almeno in teoria, nell’interesse della stessa collettività. Parlando di valori e di un loro confronto, si tenga presente molto semplicemente che da un lato (il gioco) la fatica del giocatore è praticamente zero e il beneficio è sicuramente “valorizzante”, dall’altro (il talento, l’impegno, il lavoro) su una scala da 1 a 100 la fatica si situa ampiamente sopra la metà e il beneficio non scontato: di qui la convenienza del gioco (e della sorte) per il singolo e, se gestito dall’ente pubblico, il suo potenziale redistributivo. Agli altri, se ce l’hanno e “se gli garba”, il talento, l’impegno, il lavoro. I veri problemi, semmai, per il singolo sono la capacità di soppesare in ogni momento benefici e rischi, per lo Stato la capacità di regolamentare bene il sistema in un’ottica anche redistributiva e di, idealmente, combattere l’evasione fiscale di chi sul gioco ci lucra al di fuori di ogni regola.

  5. AM

    Pare ovvio che la tassazione del gioco d’azzardo abbia effetti regressivi. Lo Stato non si pone affatto il problema, come per la tassazione del tabacco, delle bevande alcoliche, ecc. In questi casi lo scopo è di fare cassa e di scoraggiare (punire) comportamenti riprovevoli sul piano etico (in alternativa vi sarebbe il proibizionismo come per le droghe). Forse la tassazione di un’altra debolezza umana, quella sulla prostituzione, invocata da alcuni esponenti politici, potrebbe non comportare effetti regressivi.

  6. Davide

    Ma il gioco d’azzardo legalizzato è veramente così conveniente per lo stato? Bisogna sì valutare gli importanti introiti, ma se i soldi investiti andassero invece in consumi. Il 21% di Iva, le imposte sul reddito di tutti gli attori coinvolti (considerando eventualmente anche la maggiore occupazione creata), imposte societarie, etc. sono effetti non sottovalutabili. Inoltre il gioco d’azzrdo come dimostrato crea una serie di problemi a cui deve metter rimedio lo stato stesso, povertà, affidamento di minori provenienti da famiglie con problemi di ludopatia, crimini commessi a causa del gioco etc. Forse internalizzando tutte queste variabili, la convenienza per lo stato del gioco non è così elevata come si crede.

  7. Giuseppe Passoni

    Ritengo che l’alternativa (tasse=0) consegnerebbe molti stolti giocatori nelle mani di aguzzini e quindi il gioco regolamentato dallo stato riduce la quota parte di chi, per sua responsabile scelta, decide di farsi male. Perche’ dobbiamo considerare sfortunati e quindi meritevoli di tutela sociale – alla stregua di disabili – quei concittadini che decidono di tentare la fortuna nel gioco d’azzardo ? O forse non siamo piu’ tutti uguali nei fondamentali diritti e doveri ?

  8. nello nelli

    Credo sinceramente che sia una assurdita’ pensare che una Nazione possa Ricercare le sue Risorse nel Gioco D’Azzardo, nelle Scommesse, nel Proliferare delle macchinette mangia Soldi, credo che oramai siamo arrivati al decadimento Sociale , al decadimento Nazionale.

  9. Alberto

    se tralasciamo i giocatori afflitti da ludopatia che, indipendentemente dal loro reddito o risorse disponibili, si rovinano ci concentriamo ora sugli altri giocatori. Se due giocatori, uno con reddito di mille euro netti mensili e l’altro di cinquemila sempre mensili decidono di “tentare la sorte” giocando una schedina di 20 € la settimana è banale comprendere che gli stessi 80 € al mese incidono in modo diverso in rapporto al loro reddito. Poi si potrebbe ipotizzare che un soggetto, proprio disponendo di un reddito maggiore, non tenta la sorte per migliorare il proprio tenore di vita godendone già di uno superire alla media. Poi in virtù del proprio reddito è più probabile che la sua cultura gli ricordi che Cavour l’abbia battezzata la tassa degli stupidi e che qualche nozione basilare di probabilità gli ricordi che si tratta di un gioco altamente iniquo. Forse è per questo motivo che nelle scuole dell’obbligo non si spingano ad insegnarlo. Triste che lo stato non solo lo consenta ma lo pubblicizzi e ci speculi pure, ma si sa : Pecunia non olet.

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