I dati sulla violenza sulle donne in Italia delineano un quadro allarmante. Per far fronte alla situazione, e per convincere le vittime a denunciare, il parlamento sta cercando di inserire nell’ordinamento potenziali rimedi di tipo giuridico. Basteranno?
Il pericolo del silenzio
Otto donne uccise su dieci in Italia muoiono per mano di una persona che conoscevano. Sono le mura domestiche, o il posto di lavoro, a fare da sfondo alla stragrande maggioranza di questo tipo di omicidi. Raramente atti così estremi vengono commessi senza alcun preavviso, esistono segnali che rappresentano un chiaro campanello di allarme: prima di essere uccise quasi tutte le vittime avevano subito minacce, maltrattamenti e altri tipi di violenza. Per quanto infatti l’Italia sia tra i paesi con più basso tasso di omicidi di donne, gli episodi sono ancora molti ed quindi necessario imparare a cogliere questi segnali e cercare di prevenire.
A dichiarare di aver subito violenza da parte di un uomo almeno una volta nel corso della vita sono 6,8 milioni di donne tra 16 e 70 anni, circa il 32 per cento del totale. In circa un terzo dei casi, l’uomo in questione era il compagno, attuale o precedente.
Gli episodi restano quindi ancora molti, ma non sempre le vittime hanno avuto il coraggio di denunciare le violenze psicologiche, fisiche o sessuali subite. Molte di loro fanno ancora fatica a rendersi conto della gravità delle azioni che hanno subito: secondo un’indagine Istat solo il 35,4 per cento delle vittime considera l’episodio un reato, percentuale che scende drasticamente (18,9) nel caso in cui le violenze siano attuate dal compagno attuale. Inoltre, in questi casi perdonare è ancora una pratica troppo diffusa e il numero di denunce rimane bassissimo, pari solo al 6,3 per cento. Se l’autore delle violenze è un partner precedente il numero di denunce aumenta, ma rimane comunque sotto il 15 per cento. I motivi sono molti: c’è chi pensava di poter gestire da sola la questione, chi non ha denunciato per vergogna o per paura delle conseguenze, chi per amore o per “il bene dei bambini”.
I servizi forniti dalle forze dell’ordine sono spesso insoddisfacenti, in particolare nel caso di violenze fisiche, quelle cioè che comprendono ogni forma di contatto che mira a spaventare e controllare la persona, spesso sottovalutate e non trattate con la giusta attenzione. Quasi una donna su tre che ha sporto denuncia non è per niente soddisfatta del modo in cui il suo caso è stato gestito. In particolare, il 16,8 per cento dichiara che le forze dell’ordine, dopo aver ricevuto la denuncia, non hanno fatto niente, mentre l’8 ha percepito di essere stata scoraggiata ad aprire una procedura legale e che gli addetti abbiano tentato di minimizzare le violenze ricevute. Inoltre, sono molte quelle che lamentano di non essere state informate dell’esistenza di servizi specializzati, come i centri antiviolenza, e di servizi di assistenza legale. In sostanza, è mancato un ascolto più attento.
E anche quando vengono presi provvedimenti cautelari, che sono il 35 per cento dei casi, un uomo su dieci li viola ritentando l’avvicinamento.
Che cos’è il Codice rosso
In questo quadro si inserisce l’intervento governativo, e in particolare quello del ministro alla Giustizia Alfonso Bonafede e del ministro della Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno. Hanno presentato infatti una proposta di legge, anche detta Codice rosso, approvata il 3 aprile alla Camera e ora in attesa di essere discussa in Senato. La norma vuole modificare il codice di procedura penale, soprattutto riguardo a disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.
Il disegno di legge ha come obiettivo di evitare che la lentezza, che a volte caratterizza le indagini preliminari, possa causare ulteriori violenze o la reiterazione del reato nei confronti della vittima. La polizia giudiziaria, dopo la notifica del reato, deve riferire immediatamente, anche in forma orale, al pubblico ministero, che entro tre giorni ha il dovere di sentire la vittima o chi ha sporto la denuncia.
Per assicurare l’effettiva realizzazione degli obiettivi, sono stati previsti corsi di formazione obbligatori per il personale di pubblica sicurezza, corsi che permetteranno l’apprendimento delle conoscenze specialistiche necessarie a gestire i casi di violenza domestica e di genere.
La riforma si propone anche di dare piena attuazione alla direttiva 2012/29/Ue in favore delle vittime di violenza sessuale e atti persecutori. Il provvedimento europeo si concentra sulla necessità di garantire l’immediata attivazione di tutte quelle procedure che permettano, nel più breve tempo, di adottare provvedimenti di protezione o di non avvicinamento.
La legge italiana, in seguito ad alcuni emendamenti approvati durante la votazione, introduce anche alcune nuove fattispecie di delitti che portano novità all’interno del codice penale. Tra di esse figura il cosiddetto revenge porn, ossia la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate, punito con la reclusione da 1 a 6 anni. Una seconda nuova fattispecie è il delitto di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, che verrà punito con la reclusione da 8 a 14 anni, mentre il delitto di costrizione o induzione al matrimonio è punito con la reclusione da 1 a 5 anni.
Sono state inasprite poi le pene per alcuni reati già esistenti, come i maltrattamenti contro familiari e conviventi e le violenze sessuali. Mentre l’omicidio viene considerato aggravato se sussistono relazioni personali con la vittima: è una risposta al fatto che tantissime donne uccise avevano avuto una relazione di qualche tipo con l’assassino.
I dati parlano chiaro: gli episodi di violenza sono ancora troppi, come anche le vittime che non comprendono a pieno la gravità delle violenze subite e che quindi, spesso, rinunciano a denunciare. Agendo sulle tempistiche, uno degli obiettivi principali della nuova legge è quello di incentivare le donne a rivolgersi alle forze dell’ordine. Saranno comunque necessarie una serie di politiche per sensibilizzare le persone sul tema, anche partendo da interventi che coinvolgano l’educazione delle nuove generazioni.
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