Nell’emergenza economica la cassa integrazione in deroga è uno strumento utile per dare un sostegno ai lavoratori. Ma procedure complesse e farraginose producono gravi ritardi nell’erogazione. Per cambiare serve più coraggio degli amministratori pubblici.
L’importanza di un pensiero critico nelle scelte di politica economica
Secondo William Graham Sumner il pensiero critico è la “(…) condizione primaria per lo sviluppo umano. È la nostra unica tutela contro l’illusione, l’inganno, la superstizione e l’errata conoscenza di noi stessi e del mondo che ci circonda”. In altre parole, possiamo definirlo come quel complesso di facoltà cognitive e intellettuali capaci di indirizzare le scelte e i comportamenti umani verso quelli più razionali. Si tratta di un modo analitico di affrontare i problemi che è certamente importante in tutti i campi delle attività umane, ma lo è ancora di più nel campo dell’economia e, in particolar modo, nelle scelte di politica economica, per la banale ragione che scelte sbagliate condizionano negativamente tutta una collettività.
La vicenda della cassa integrazione in deroga, come misura economica emergenziale anti-Covid, rappresenta un esempio emblematico delle conseguenze economiche negative che possono derivare da una misura normativa mal congegnata per non aver sottoposto a vaglio critico un processo autorizzativo già inutilmente complesso in tempi “normali”.
La cassa integrazione in deroga nel decreto del 17 marzo
Tra le misure di sostegno economico a favore dei lavoratori che sono state previste dal cosiddetto decreto “Cura Italia”, il Dl n. 18/2020, importantissima è quella relativa alla cassa integrazione in deroga per coloro che dipendono da imprese per le quali non è prevista la cassa integrazione ordinaria o straordinaria. Fino al 6 maggio, a distanza quindi di quasi due mesi dal varo del provvedimento, le domande pervenute dalle regioni, secondo i dati diffusi dall’Inps, sono state 305.434; di queste ne sono state autorizzate 206.904, ma solo per 57.833 è stato disposto il pagamento a cui corrispondono 121.756 lavoratori beneficiari. Un numero irrisorio, soprattutto se confrontato con le stime dello stesso Governo, che nella Relazione tecnica di accompagnamento al decreto legge ne prevedeva ben 2.340.000 per un periodo medio di fruizione di 30 giorni.
Regioni e Inps si sono rimpallate la responsabilità. Secondo l’Istituto, le prime sono colpevoli di non aver inviato le domande velocemente; secondo le regioni, il secondo è reo di non aver previsto una procedura semplificata. Intanto, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che così implicitamente dà ragione alle regioni, giorni fa ha dichiarato che la procedura sarebbe stata corretta nel decreto “Rilancio” e così sembra dalla bozza del decreto circolata ed approvata dal Consiglio dei ministri del 13 maggio.
Un procedimento troppo macchinoso
Il procedimento prevedeva infatti ben sette passaggi vincolanti, ognuno dei quali ad alta complessità:
1) un decreto ministeriale congiunto Lavoro/Economia di distribuzione delle risorse finanziarie stanziate alle singole regioni;
2) l’accordo di ogni singola regione con le organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale per l’attribuzione delle risorse ricevute;
3) presentazione delle domande da parte delle imprese alle regioni con la lista dei lavoratori;
4) decreto regionale di concessione del beneficio;
5) invio del decreto regionale e della lista dei lavoratori all’Inps;
6) verifica, anche prospettica, del rispetto dei limiti di spesa regionali da parte dell’Inps, che effettua il monitoraggio della spesa inviandolo al ministero del lavoro;
7) pagamento della prestazione economica al lavoratore (solo in forma diretta dell’Inps).
Non era necessario disturbare l’oracolo di Delfi per capire che, mediamente, due mesi non sarebbero bastati. Tra l’altro, con il vincolo che, in teoria, le aziende non avrebbero potuto anticipare la cassa integrazione. Il governo per fortuna ora interviene a correggere l’errore, ma dopo quasi due mesi di polemiche e, soprattutto, di disagi a carico dei lavoratori che, francamente, avrebbero potuto essere evitati.
Ma non illudiamoci che i problemi della cassa integrazione siano riferibili solo a quella in deroga. Con le riforme degli ammortizzatori sociali del 2012 (cosiddetta “Fornero”) e del 2015 (Jobs act), il sistema è stato migliorato e razionalizzato ma nessuno si è preoccupato di modificare procedure che, se andavano bene nel secolo scorso, stridono oggi per il loro anacronismo con la velocità di Internet. I passaggi descritti non risparmiano neanche la cassa ordinaria (Cigo), le cui procedure prevedono concessioni di soglie massime di lavoratori da sottoporre alla misura, di cosiddetti “tiraggi” da parte delle imprese e di effettiva messa in cassa integrazione che non coincide mai con le dichiarazioni dei “tiraggi” fatte all’Inps e che, quindi, l’Istituto conosce solo a consuntivo, con ovvi rischi di abusi e frodi.
Perché prevedere tutto questo, quando oggi, con un semplice click all’ultimo minuto, si possono comunicare i nominativi dei lavoratori oggetto di sospensione o di riduzione di orario?
Non c’è una risposta razionale: “abbiamo sempre fatto così”, direbbero gli operatori del settore.
Serve più coraggio da parte degli amministratori pubblici
Ma si potrebbero fare altri esempi di procedure e obblighi inutili che avrebbero bisogno di una profonda rivisitazione. Perché non si fa? Perché serve un contesto culturale in cui chi “osa” sia premiato e non penalizzato. La dirigenza pubblica sa bene che in caso di errore sarà penalizzata nella carriera e non riceverà alcun premio in caso di successo:mancano i cosiddetti incentivi. Di conseguenza, il dirigente pubblico si protegge, evita i rischi e segue sempre la “vecchia via”.
Senza l’adozione di un pensiero critico che ripensi ai processi amministrativi in modo radicale, continueremo a vessare i cittadini di inutili adempimenti, di certificazioni ridondanti ed evitabili che diventano intollerabili in tempi di emergenza. Continueremo così a ricevere fastidiose raccomandate con ricevute di ritorno degne del XIX secolo.
La categoria degli amministratori “signorsì”, che tanto piace a una certa classe politica, è ciò di cui non abbiamo proprio bisogno in questo momento, perché personificano soggetti per i quali, parafrasando Alessandro Manzoni, “il senso critico, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”.
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Giovanni C.
Buongiorno, a La Voce risulta che l’INPS stia pagando settimana per settimana, per mancanza di liquidità? Quantomeno questo è quello che è stato comunicato alla nostra azienda nei giorni scorsi. Preciso che abbiamo inviato le domande nella prima settimana di Aprile.
Massimo Antichi
Gent.mo lettore, non so se lei si riferisca a quella ordinaria oppure a quella in deroga.
La Cassa integrazione, come tutte le prestazioni sociali stabilite da una norma di legge(le pensioni, gli stipendi dei pubblici dipendenti, ad esempio)appartengono alla categoria delle spese obbligatorie per cui l’INPS le pone a carico di un conto presso la Tesoreria centrale dello Stato senza limiti di spesa. Al MEF l’onere di approvvigionarsi sul mercato per la differenza non coperta dalle entrate complessive. Ovviamente, il MEF non può indebitarsi illimitatamente e alla lunga le prestazioni devono essere ridotte(oppure devono essere aumentate le entrate tributarie).
Questo vuol dire che i lavoratori non debbono temere che l’INPS non sia in grado di pagare. Chi diffonde notizie di questo tipo o è errore oppure è in mala fede.
Quanto sopra non vale però per la cassa in deroga o per il Fis(fondo di integrazione salariale) che se è vero che è stabilita per legge è però anche vero che nel DL 18 è stata finanziata con un limite di spesa superato il quale o viene rifinanziata oppure non può essere più erogata. In questo momento, l’ipotesi che queste prestazioni non siano rifinanziate non è, in questa fase, sul tappeto. Il problema, come ho scritto nell’articolo, è semmai quando l’INPS sarà in grado di onorare il delicato compito che il Legislatore le ha attribuito.
Giovanni C.
Buongiorno, La ringrazio per la risposta, mi scuso per averla letta solo oggi e grazie anche per i avermi fatto notare la poca chiarezza: sii mi riferivo alla Cassa Integrazione in Deroga. In effetti, abbiamo poi ricevuto la comunicazione, la prima a questo punto: l’INPS ha recepito la domanda per le prime 4 settimane e ha comunicato di aver autorizzato il primo 1/4 di ore. Si, per citarla “Il problema [… ], è semmai quando l’INPS sarà in grado di onorare il delicato compito che il Legislatore le ha attribuito.
emilio
Forse bisogna farsi altre domande: perché non mandare a casa la dirigenza delle amministrazioni burocratiche citate che appaiono troppo politicizzate in un settore dove di politica non ce ne vorrebbe proprio?? la Burocrazia trae origine dal voler creare competenze e controllo tra soggetti differenti per evitare mala gestione. Ma poi è sfociata in deresponsabilizzazione ed inefficienza (come si vede anche ora è davvero difficile farsi dare i numeri di chi ha rallentato il processo) senza salvarci dalla mala gestione che si annida in un sistema troppo spesso pieno di falle ben conosciute agli addetti ai lavori ma tollerato per “ordini superiori”…
Potrà essere il COVID19 una spinta a riformare davvero e non a chiacchiere il settore della Pubblica Amministrazione i cui spesso anche a chi aveva voglia di cambiare le cose il “sistema” le ha fatte passare?
Massimo Antichi
Carissimo lettore, condivido il suo pessimismo. Tuttavia, se da un lato la pandemia ha aperto il vaso di Pandora(rendendo ancora più evidente quanto pesi la mancanza di una burocrazia moderna); dall’altro possiamo aggrapparci al fatto che, come nel mito, la speranza sia la ultima a morire; ma qualcuno deve aprire di nuovo quel vaso e liberarla. Credo che sotto lo stress Covid sia stato fugato ogni dubbio sul fatto che uno dei mali principali del Paese è quello di una burocrazia capace di congelare ogni iniziativa legislativa. Proviamo a valutare la performance della PA solo sui tempi, senza altri fronzoli, e sono sicuro che cambierebbe tutto.
Cordiali saluti