La chiusura delle scuole sembra destinata ad avere profonde ripercussioni sullo sviluppo emotivo e relazionale di bambini e ragazzi. Vanno contrastate con politiche che guardino al loro benessere psicologico complessivo. L’esempio del Regno Unito.
Le perdite di apprendimento
Il passaggio di gran parte delle regioni italiane in zona arancione ha segnato il ritorno alla didattica in presenza per migliaia di ragazzi dalla seconda media all’università, come avevano già fatto gli alunni più giovani, tornati in classe il 7 aprile. Si è aperta quindi una nuova fase, in cui è necessario quantificare le perdite dovute alla didattica a distanza e disegnare politiche che ne minimizzino le conseguenze sul lungo periodo.
Il dibattito sui costi della chiusura delle scuole si è inizialmente concentrato sulle perdite degli apprendimenti. Lavoce.info ne ha parlato estensivamente, per esempio qui, qui e qui. Recenti lavori su Olanda, Belgio e Inghilterra stimano che la chiusura delle scuole abbia portato a ritardi nell’apprendimento quantificabili tra uno e quattro mesi, con perdite più elevate stimate per gli studenti provenienti da famiglie economicamente più svantaggiate. Le stime individuano costi significativi anche in paesi in cui le chiusure sono state meno prolungate delle nostre e in cui la didattica a distanza ha potuto contare su una maggiore penetrazione della banda larga rispetto all’Italia.
I ritardi nell’apprendimento non sono gli unici costi della chiusura delle scuole. Se la didattica a distanza può mitigare le perdite nello sviluppo cognitivo, non può tuttavia sopperire alla mancanza di interazione sociale con conseguenti perdite nello sviluppo emotivo e comportamentale. L’unica evidenza empirica sui costi non strettamente cognitivi viene da uno studio sul Giappone, il quale conclude che la chiusura delle scuole abbia portato a un aumento del peso corporeo dei bambini in prima età scolare.
Lo studio sull’Inghilterra
In un recente studio sull’Inghilterra, stimiamo come la chiusura delle scuole abbia influito sullo sviluppo emotivo e comportamentale dei bambini di età compresa tra i 5 e gli 11 anni, misurato tramite il Questionario sui punti di forza e di debolezza (Strengths and Difficulties Questionnaire, o Sdq). Il caso inglese è interessante perché, dopo un’iniziale chiusura di oltre due mesi, dal primo di giugno a metà luglio le scuole sono state riaperte solamente per i “gruppi prioritari” (i bambini iscritti a tre specifici anni scolastici: “reception year”, primo e sesto anno, ossia con un’età, rispettivamente, di 4-5, 5-6 e 10-11 anni). Per i bambini dei gruppi prioritari, dunque, le scuole sono rimaste chiuse da fine marzo a fine maggio, mentre per i gruppi non prioritari la chiusura si è prolungata per altre sei settimane.
Confrontando i risultati dell’Sdq dei bambini dei gruppi prioritari e non prioritari prima della pandemia e a fine luglio 2020, ossia all’inizio delle vacanze estive, concludiamo che sei settimane aggiuntive di chiusura delle scuole abbiano portato per i bambini del secondo gruppo a un aumento delle difficoltà emotive e comportamentali pari al 40 per cento di una deviazione standand.
Le difficoltà derivano soprattutto da un aumento di iperattività e problemi di condotta e, seppur in misura minore, da una diminuzione dei comportamenti prosociali. Le altre due dimensioni misurate dall’Sdq (sintomi emozionali e rapporti con i pari) non sembrano essere state colpite dalla chiusura delle scuole (per una descrizione delle cinque dimensioni dell’Sdq, si veda la tabella 1).
I costi della chiusura delle scuole per lo sviluppo emotivo e comportamentale dei bambini non sembrano essere transitori. Intervistati a fine settembre, ossia dopo tre o quattro settimane di scuola in presenza, i bambini dei gruppi non prioritari non hanno ancora recuperato lo svantaggio acquisito a causa della loro più prolungata assenza da scuola.
Anche nel caso dei gruppi prioritari, la frequenza della scuola durante la pandemia non è mai stata resa obbligatoria. Allo stesso modo, non è stata completamente interdetta per i gruppi non prioritari, dal momento che le scuole sono sempre rimaste aperte per i bambini vulnerabili e i figli dei lavoratori indispensabili. Se si considerano questi fattori, l’aumento delle difficoltà emotive e comportamentali dovuto alla mancata frequenza di sei settimane di scuola da noi calcolato potrebbe essere sottostimato.
È essenziale disegnare politiche che possano aiutare i bambini a recuperare il divario accumulato sul piano cognitivo ed emotivo/comportamentale. Il governo inglese ha annunciato una serie di iniziative a sostegno dei più giovani. Benché sia ancora presto per valutare l’efficacia di queste politiche, sembra si voglia dare la priorità a investimenti volti a sanare le carenze d’apprendimento. Le proposte riguardanti l’ambito non strettamente cognitivo sono secondarie e mirano soprattutto a limitare i comportamenti devianti a scuola, mentre interventi di più ampio respiro, volti a favorire lo sviluppo emotivo e comportamentale e il benessere psicologico complessivo dei bambini tramite attività artistiche o ludico-sportive non sono ancora stati definiti nel dettaglio. Data la portata stimata dei costi emotivi e comportamentali della chiusura delle scuole, potrebbe rivelarsi una scelta poco lungimirante.
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Betti
Utile articolo. Mi domando cosa si stia facendo in Italia, per lo meno a livello di RACCOLTA DATI sul problema. Avete qualche suggerimento di lettura a tal proposito? Grazie