La situazione dei lavoratori stagionali in agricoltura è stata resa ancora più difficile dalla pandemia, mentre la regolarizzazione non ha dato risultati significativi. Servono soluzioni strutturali per dare dignità e sicurezza al lavoro degli “invisibili”.
Lavoro stagionale in agricoltura
A oltre un anno di distanza dall’esplosione dell’epidemia di Covid-19 che ha visto l’Italia sperimentare, per prima in Europa, un rigido blocco delle attività produttive, poco sembra cambiato per quanto riguarda il settore agricolo e il soddisfacimento del suo fabbisogno di forza lavoro stagionale.
Già nel maggio 2020 le misure fino a quel momento adottate o in fase di discussione apparivano insufficienti. Al di là delle ripetute proroghe dei permessi di soggiorno per lavoro stagionale in scadenza (per il momento estese fino al 31 luglio 2021) e degli sporadici tentativi delle associazioni di categoria di creare piattaforme di raccordo tra aziende agricole in cerca di manodopera e cittadini italiani potenzialmente interessati all’impiego temporaneo nel settore, quelle che avrebbero dovuto essere le principali fonti di alimentazione, ossia le regolarizzazioni e i corridoi verdi, hanno portato risultati di gran lunga inferiori alle aspettative.
Regolarizzazione e corridoi: completo fallimento?
La procedura di regolarizzazione prevista dal Dl 34/2020 si è rivelata molto più appetibile per i settori dell’assistenza alla persona e del lavoro domestico che per il settore agricolo. Delle oltre 207 mila domande pervenute dai datori di lavoro, infatti, solo 30 mila riguardavano l’agricoltura, una cifra irrisoria rispetto ai fabbisogni dichiarati dalle associazioni di categoria durante il lockdown. Al 31 dicembre 2020, erano stati rilasciati complessivamente 1.480 permessi di soggiorno, appena lo 0,7 per cento delle istanze presentate. Stime più recenti parlano di soli 500 lavoratori agricoli finora regolarizzati sull’intero territorio nazionale, anche perché circa il 70 delle domande presentate non rispettava i requisiti richiesti.
Si tratta quindi di una procedura che non ha risposto in modo adeguato alle esigenze del comparto agroalimentare e che lascia decine di migliaia di lavoratori in una situazione di precarietà non solo economica ma anche sanitaria, impedendone la regolarizzazione e la conseguente adesione alla campagna vaccinale anti-Covid.
L’attivazione dei “corridoi verdi” per facilitare l’ingresso di lavoratori agricoli stagionali dall’estero non è di fatto mai avvenuta, poiché è mancato un riconoscimento esplicito da parte del governo dei protocolli di “quarantena attiva” ampiamente utilizzati dalla Germania e da altri paesi europei. Alcune eccezioni ci sono state, ad esempio per la raccolta delle mele nelle province autonome di Trento e Bolzano, ma si tratta di protocolli a validità locale, per i quali le associazioni di categoria stanno ancora invocando l’estensione a tutto il territorio nazionale, unitamente alla necessità di approvare tempestivamente il decreto flussi 2021. Quello per il 2020 è stato pubblicato solo a ottobre, ben oltre la tempistica consueta, determinando l’impossibilità di far fronte alla domanda di lavoro stagionale, a cui peraltro è riservata la quota maggiore di ingressi (18 mila su 30.850 nel 2020).
Le proposte “strutturali”: a che punto siamo?
Nell’aprile 2020 era allo studio del governo un provvedimento in tema di lavoro agricolo costituito da interventi “strutturali” come l’attuazione del primo piano triennale di prevenzione e contrasto al caporalato, approvato nel febbraio 2020, la mappatura dei fabbisogni di lavoro agricolo e la realizzazione di una piattaforma digitale dedicata all’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro presente nel piano stesso. In realtà, il gruppo di lavoro tecnico per l’istituzione del sistema informativo è stato costituito solo in estate e come primo passo è stata rilasciata una app chiamata “resto in campo”, sviluppata da Anpal in collaborazione con il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e rivolta sia alle aziende agricole in cerca di manodopera che ai lavoratori agricoli in cerca di occupazione. Lo strumento, la cui efficacia non è ancora valutabile, non sembra tuttavia rappresentare a pieno quella piattaforma digitale di intermediazione del lavoro agricolo prevista dal piano triennale.
Soluzioni italiane ed europee
Servono dunque sforzi maggiori sul fronte dei meccanismi di incontro di domanda e offerta. Si tratterebbe di mettere a sistema informazioni già reperite per altre finalità, come quelle detenute da Agea sulle imprese, comprensive di particelle catastali, e quelle dell’Inps su lavoratori e giornate di lavoro regolarmente registrate.
L’occasione per realizzare una banca dati unica potrebbe venire dalle risorse del Pnrr, come indicato nel parere della Commissione agricoltura della Camera. Potrebbe fornire un canale utile per limitare forme di intermediazione illecita, ma – da sola – non rappresenta certo la soluzione alla piaga del caporalato e allo sfruttamento del lavoro, che sono anche diretta conseguenza dell’incapacità di una parte del settore agricolo di competere sui mercati interni e internazionali con strategie diverse dal ricorso alla manodopera a basso costo, complice lo scarso potere di mercato e il ruolo marginale nella contrattazione e conseguente spartizione del valore lungo la filiera.
La questione delle condizioni dei lavoratori sta permeando anche il dibattito sulla riforma della Politica agricola comune (Pac), con la proposta del Parlamento europeo di introdurre una clausola di condizionalità sociale. La clausola prevede che l’accesso ai fondi comunitari sia condizionato al rispetto del diritto a un lavoro dignitoso, in condizioni salubri e sicure, con retribuzioni adeguate. Nonostante la proposta sia osteggiata da quasi tutti gli stati membri e da alcune associazioni di agricoltori, preoccupati di complicare le regole di accesso ai fondi e di introdurre distorsioni al mercato unico, poiché le leggi da rispettare non sono uguali in tutta l’Ue, la ministra dell’Agricoltura del Portogallo – attualmente alla presidenza del semestre europeo – si è dichiarata ottimista sulla possibilità di raggiungere un accordo.
Le istanze dello sciopero del 18 maggio
La condizionalità sociale è una delle principali istanze alla base dello sciopero degli “invisibili” indetto per il 18 maggio dalla Lega braccianti, un’associazione bracciantile indipendente dalle altre sigle sindacali e fondata l’11 agosto 2020 da Aboubakar Soumahoro con l’obiettivo di dare voce, dal basso, alle migliaia di braccianti che lavorano in condizioni disumane, degradanti e spesso irregolari nei campi italiani. La Lega braccianti nasce dalla volontà di associare tutti questi lavoratori per un protagonismo diretto e con la prospettiva di un’alleanza con agricoltori e consumatori. In questa direzione va infatti la richiesta di una “patente del cibo” che permetta al consumatore di riconoscere i prodotti etici, realizzati cioè senza sfruttamento dei lavoratori della filiera agroalimentare, per i quali si chiedono condizioni eque di lavoro e di salario. L’istanza è peraltro in linea con la strategia della Commissione “Farm to Fork”, che propone di creare un’etichettatura di sostenibilità che contempli anche gli aspetti sociali dei prodotti alimentari.
Per quanto riguarda le misure di sostegno al reddito, lo sciopero invoca un cambio di passo del governo Draghi, che già nel decreto Sostegni bis dovrebbe prevedere un bonus per i braccianti analogo a quello stanziato per lavoratori stagionali e a termine degli altri settori. In tema di lavoro straniero, infine, per far fronte all’esito negativo della regolarizzazione 2020, la Lega braccianti chiede di introdurre con urgenza un permesso di soggiorno per motivi sanitari, convertibile in permesso di lavoro, per facilitare l’emersione dei lavoratori “invisibili” e assicurare loro la possibilità di accedere alla campagna vaccinale.
Benché le istanze dello sciopero siano in parte legate alla situazione emergenziale della pandemia, si conferma la necessità di realizzare con urgenza quegli interventi già programmati, e non più rinviabili, per il lavoro stagionale agricolo. Se porre fine alle inumane condizioni di lavoro e di vita di parte dei braccianti è obiettivo imprescindibile, l’azione deve essere coordinata, strutturale e tempestiva e non delegata a iniziative isolate per promuovere l’inclusione sociale ed economica o creare accordi bilaterali per l’arrivo di manodopera dall’estero.
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