Politiche fiscali finanziate con debito pubblico sono più o meno efficaci di politiche redistributive che spostano il carico fiscale dai poveri ai ricchi? Calcoli su dati dell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane stimano un effetto non trascurabile di queste ultime sui consumi a livello aggregato
IL CONSUMO NON È SEMPRE LO STESSO
Nel corso della crisi i governi di molti paesi hanno adottato politiche fiscali per ridurre le conseguenze negative della recessione. L’efficacia degli interventi dipende in maniera cruciale da come i consumatori rispondono alle politiche fiscali e da come i governi le finanziano. La questione su cui si dibatte frequentemente è se politiche fiscali finanziate con emissione di debito pubblico siano più o meno efficaci di politiche redistributive, cioè politiche che ridistribuiscono il carico fiscale dai poveri ai ricchi mantenendo però il disavanzo pubblico inalterato. Ad esempio, dati i vincoli complessivi di finanza pubblica, vengono spesso proposti aumenti delle imposte sulle fasce di reddito più alte per finanziare sussidi di disoccupazione o altre politiche di welfare per sostenere i consumi delle fasce più deboli. D’altra parte, molti si oppongono all’idea di aumentare le tasse durante una recessione.
Nei modelli macroeconomici classici, le politiche di natura redistributiva non hanno effetti sul consumo perché si suppone che l’effetto sul consumo di un aumento del reddito (la propensione marginale al consumo, o più brevemente Pmc) sia lo stesso per tutti i consumatori; in particolare, l’effetto non dipende dal livello del reddito o della ricchezza dei consumatori. In questi modelli il consumo dei ricchi è semplicemente proporzionale al consumo dei poveri, e un eventuale aumento del consumo di quest’ultimi è bilanciato esattamente da una diminuzione di quello dei ricchi. Tuttavia, in situazioni più realistiche, con risparmio precauzionale o vincoli all’indebitamento, la Pmc non è la stessa per tutti i consumatori, i quali rispondono in modo diverso a variazioni del proprio reddito o della propria ricchezza. Ad esempio, la Pmc di individui che risparmiano per far fronte a un reddito futuro incerto si riduce al crescere delle risorse familiari; e consumatori per i quali è difficile indebitarsi hanno una Pmc maggiore di individui che hanno accesso al mercato del credito. In aggiunta, può svolgere un ruolo importante anche la composizione delle risorse familiari. Per esempio, famiglie gravate da una grande quantità di debito potrebbe reagire a una variazione positiva del reddito riducendo i propri debiti, piuttosto che aumentando i consumi. Inoltre, se la maggior parte della ricchezza familiare è detenuta in attività poco liquide (come gli immobili), le famiglie potrebbero ridurre il consumo anche a fronte di una variazione negativa del reddito di natura solo transitoria.
Dal momento che il consumo aggregato dipende dalla distribuzione della Pmc nella popolazione, in linea di principio anche le politiche fiscali redistributive potrebbero avere effetti espansivi sui consumi aggregati, perché la riduzione dei consumi dei più ricchi sarebbe più che compensata da un aumento dei consumi delle fasce meno abbienti.
Uno dei problemi più complessi che gli economisti affrontano per calcolare la Pmc è isolare episodi di variazioni non attese (o impreviste) dei redditi, in modo da studiare come i consumi rispondono. Il problema può essere superato quando sono disponibili informazioni dirette su quanto i consumatori programmano di spendere in seguito a un aumento non atteso del proprio reddito. L’Indagine sui Bilanci delle Famiglie Italiane del 2010, condotta dalla Banca d’Italia, contiene informazioni su quanto le persone pensano di consumare o risparmiare in una situazione ipotetica in cui, inaspettatamente, ricevono un rimborso pari al loro reddito medio mensile. La domanda è la seguente: “Supponga di ricevere improvvisamente un rimborso pari a quanto la sua famiglia guadagna in un mese. Di questa somma quanta parte ne risparmierebbe e quanta ne spenderebbe? Indichi la percentuale che verrebbe risparmiata e la percentuale che verrebbe spesa”. Le risposte consentono di ricostruire una distribuzione della Pmc che si può mettere in relazione alle caratteristiche delle famiglie e, soprattutto, confrontare con le previsioni dei principali modelli macroeconomici.
Nell’Indagine della Banca d’Italia si trova che la Pmc è del 48 per cento in media, un valore che si colloca nell’intervallo medio-alto delle stime più recenti. Tuttavia, come si evince dalla figura 1, il fatto più interessante è l’enorme variabilità della Pmc, che si riduce nettamente all’aumentare delle risorse familiari, da un valore di circa 65 per cento per le fasce di reddito più basse a valori del 30 per cento per le famiglie più ricche. Di conseguenza, le famiglie meno abbienti (con basso reddito o bassa ricchezza) hanno una Pmc più elevata rispetto alle famiglie più ricche.
EFFETTI DI DUE INTERVENTI FISCALI
La distribuzione empirica della Pmc può essere utilizzata per prevedere la risposta dei consumi a interventi fiscali. Si possono considerare due situazioni diverse: 1) una politica di trasferimenti alle famiglie finanziata con l’emissione di titoli del debito pubblico (e quindi con un aumento del deficit); 2) trasferimenti finanziati con una politica redistributiva, aumentando le imposte per i ricchi e mantenendo il deficit inalterato.
In un lavoro recente consideriamo l’effetto aggregato di due tipi di esperimenti. (1) Nel primo esperimento, supponiamo che il governo metta in atto una politica di trasferimento alle famiglie finanziata con debito, cioè una politica in cui il governo trasferisce l’1 per cento del reddito nazionale disponibile in parti uguali a tutte le famiglie che si trovano nel decile più basso della distribuzione del reddito. Questa politica è equivalente a un trasferimento annuo di 3.308 euro, circa il 120 per cento della media del reddito mensile dei più poveri. Consideriamo due scenari: nel primo, la Pmc è uguale al 48 per cento per tutte le famiglie (la media campionaria), mentre nel secondo la Pmc è eterogenea (ed è data dalla Pmc rilevata nell’Indagine). Nel caso di Pmc omogenea il consumo aggregato aumenta di 0,62 per cento. Se la Pmc è eterogenea, vi è una crescita maggiore del consumo aggregato (0,82 per cento). La differenza tra i due casi si spiega con il fatto che la Pmc dei più poveri è maggiore della Pmc dei ricchi.
Un’altra politica che consideriamo (anche questa finanziata con debito) è di trasferire l’1 per cento del reddito nazionale in parti uguali a tutte le famiglie in cui vi sia almeno un componente disoccupato (14 per cento del campione). Ciò equivale a un sussidio di disoccupazione pari a 2.400 euro (circa l’87 per cento del reddito medio mensile), ovvero circa tre mesi di cassa integrazione per un operaio. L’impatto quantitativo è di aumentare il consumo aggregato di 0,76 per cento. Il motivo per cui questa politica ha effetti simili a quello di un trasferimento al 10 per cento più povero della popolazione è che le famiglie con componenti disoccupati sono concentrate soprattutto tra i poveri.
Un esperimento di natura differente è una politica redistributiva in cui il governo finanzia un trasferimento ai poveri tassando il 10 per cento più ricco della popolazione (e quindi mantenendo il disavanzo invariato). Con una Pmc omogenea, una politica redistributiva pura non ha alcun effetto sul consumo aggregato. Tuttavia, con una Pmc eterogenea, l’effetto è positivo e maggiore se i trasferimenti sono indirizzati via via a famiglie più povere. Per esempio, troviamo che un trasferimento diretto esclusivamente al primo decile della distribuzione del reddito aumenta il consumo aggregato di 0,1 per cento. Se invece la politica è diretta a tutte le famiglie con reddito inferiore al reddito mediano, la crescita del consumo aggregato è di circa 0,05 per cento.
Un limite importante di questi calcoli è che non si tiene conto di altri fattori, ad esempio che la politica fiscale potrebbe incidere sui tassi di interesse e sull’offerta di lavoro. Di conseguenza, i nostri calcoli vanno interpretati come stime per eccesso degli effetti della politiche fiscali che studiamo.
Figura 1. La Pmc media, per percentile della ricchezza familiare
PER SAPERNE DI PIÙ
Agarwal, Sumit, Chunlin Liu, and Nicholas S. Souleles (2007), “The Reaction of Consumer Spending and Debt to Tax Rebates-Evidence from Consumer Credit Data,” Journal of Political Economy, 115, 986-1019; Dynan, Karen, Jonathan Skinner, and Stephen P. Zeldes (2004), “Do the Rich Save More?,” Journal of Political Economy, 112, 397-444.
Johnson, David S., Jonathan A. Parker, and Nicholas S. Souleles (2006), “Household Expenditure and the Income Tax Rebates of 2001,” American Economic Review 96, 1589-1610.
Parker, Jonathan A. (1999), “The Reaction of Household Consumption to Predictable Changes in Social Security Taxes”, American Economic Review 89, 959-7
Parker, Jonathan A., Nicholas S. Souleles, David S. Johnson and Robert McClelland (2011), “Consumer Spending and the Economic Stimulus Payments of 2008,” NBER Working Papers No. 16684.
Sahm, CR, Shapiro Matthew D., Slemrod Joel (2009), “Household Response to the 2008 Tax Rebate: Survey Evidence and Aggregate Implications,” NBER Working Paper No. 15421.
Shapiro Matthew D., Slemrod Joel (1995), “Consumer Response to the Timing of Income: Evidence from a Change in Tax Withholding”, American Economic Review 85, 274-283.
Shapiro Matthew D., Slemrod Joel (2003), “Did the 2001 Tax Rebate Stimulate Spending? Evidence from Taxpayer Surveys”, in Tax Policy and the Economy. Vol. 17, ed. James M. Poterba, Cambridge, MA: MIT Press.
Souleles Nicholas S. (1999), “The Response of Household Consumption to Income Tax Refunds”, American Economic Review 89, 947-958.
Souleles Nicholas S. (2002), “Consumer Response to the Reagan Tax Cuts”, Journal of Public Economics 85, 99-120.
(1) Jappelli, Tullio, Luigi Pistaferri (2013), “Fiscal Policy and MPC Heterogeneity”, CEPR Discussion Paper No. 9333.
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Lalu Invernizzi
Sono sempre più convinta dell’inutilità di redistribuire la ricchezza aumentando l’imposizione fiscale ai ricchi per dare più servizi ai poveri in quanto questo è un paese che ha dimostrato e dimostra da decenni di non avere senso civico ovvero quanto sono veritiere le dichiarazioni dei redditi della maggior parte degli italiani forse lo sono solo quelle dei lavoratori dipendenti regolari e perciò tassate alla fonte tramite l’uso del datore di lavoro come sostituto d’imposta.E coloro i quali con un lavoro autonomo hanno facoltà di “farsi” pagare anche in nero??..o altri comportamenti nostri e altrui che ben conosciamo..Allo Stato dovrebbe interessare aumentare la base imponibile e contributiva creando le condizioni affinchè si realizzi la piena occupabilità regolare delle persone e ognuno contribuisca in base al suo.Non c’è niente da fare , sono sempre i soliti modi di pensare e parlare che ci hanno portato a questo punto.A parole siamo perfetti ma quando si deve passare dalle parole ai fatti non c’è nessuno che faccia le cose giuste..a parole siamo per l’ambiente pulito e tutelato e allora perchè i cigli delle nostre strade sono sempre piccole discariche?
Non ci credo più
Federico
Bisogna ridurre le inefficienze. vera spending review. L’Italia spende 40 miliardi di euro più della Germani (istituto Bruno Leoni).
E tagliare il cuneo fiscale, per trasferire potere d’acquiisto a chi lavora, e produce.
Saluti
Federico
marco
Le politiche ridistribuitive non possono che influenzare positivamente i consumi e la giustizia sociale, ma non risolvono il problema – Come insegnano la ME-MMT (Me-MMT.info) e il circuitismo solo lo Stato può creare ricchezza al netto attraverso la creazione di moneta – Fin che l’Euro impedirà agli Stati di spendere a deficit e di esercitare la loro sovranità monetaria non ci sarà crescita in Europa se non attraverso l’export – Non si può analizzare la situazione economica di oggi partendo dai postulati degli economisti classici scritti quando la moneta era vincolata all’oro e ai metalli, è metodologicamente sbagliato