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Un bilancio sulle elezioni amministrative

Oltre a vinti e vincitori, il dato politico di queste elezioni è sicuramente l’astensione, che ha superato il 45 per cento su base nazionale al primo turno e ha raggiunto quai il 60 per cento al ballottaggio.

Con i ballottaggi di domenica 26 giugno si è concluso un turno elettorale che ha coinvolto 971 comuni italiani, di cui 142 con popolazione superiore a 15.000 abitanti (26 capoluoghi di provincia, 4 capoluoghi di regione: Genova, L’Aquila, Catanzaro e Palermo). Erano chiamati al voto 8.854.549 milioni di italiani ma hanno partecipato ben pochi.

Il turno elettorale del 12 giugno e i ballottaggi del 26 giugno

Il primo turno delle elezioni amministrative si è tenuto domenica 12 giugno, in concomitanza con i cinque referendum sulla giustizia (che non hanno raggiunto il quorum). Si è votato in 142 comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti e in 829 comuni con popolazione inferiore. Dal punto di vita elettorale, come probabilmente molti sanno, la differenza è che, nel primo caso, ove nessun candidato sindaco raggiunga il 50 per cento dei consensi (più uno), si ricorre a un secondo turno di ballottaggio tra i due candidati più votati mentre nel secondo caso è eletto direttamente al primo turno il candidato più votato, indipendentemente dalla percentuale raggiunta. Fa eccezione la Sicilia, dove il quorum per non andare al ballottaggio è fissato al 40 per cento: per questa ragione, i sindaci di Palermo e Messina, pur non avendo raggiunto il 50 per cento dei voti, sono stati eletti al primo turno. Nei comuni più grandi, sono stati assegnati 83 sindaci su 142 mentre si è andati al ballottaggio nei restanti 59 casi. Limitandosi ai 26 capoluoghi di provincia (si veda la tabella allegata), hanno ottenuto la vittoria al primo turno 13 candidati sindaci: 9 del centrodestra, 3 del centrosinistra (in due casi in coalizione con il Movimento 5 stelle) e un candidato di liste civiche (Messina). I ballottaggi si sono tenuti domenica 26 giungo. Per quanto riguarda i restanti 13 comuni capoluogo, al ballottaggio hanno conquistato la carica di sindaco 7 candidati di centrosinistra (in 5 casi alleati con il movimento 5 stelle), 4 candidati di centrodestra e 2 candidati di Liste civiche. In totale, dunque, un risultato di sostanziale parità a livello di sindaci dei comuni capoluogo: 13 al centrodestra e 10 al centrosinistra; scompare il Movimento 5 stelle, se non come alleato (più o meno determinante) del centrosinistra in alcuni casi.

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Chi ha vinto?

È sempre molto difficile tradurre i risultati di elezioni amministrative in dati politici. La maggior parte dei commentatori e dei giornali guardano alle percentuali locali aggregate a livello nazionale. Una visione certo interessante ma che distorce un po’ il messaggio. Spesso infatti, in questi casi, più che al valore dei numeri e delle percentuali è più istruttivo guardare a eventi specifici ed eclatanti quali il cambio di colore nelle grandi città, la capacità di una coalizione di vincere (o perdere) quando si presenta con una forma diversa da quella sperimentata a livello nazionale, l’exploit di outsider e, naturalmente, la partecipazione generale alle elezioni. Da quest’ultimo punto di vista, è emerso un ulteriore aumento dell’astensione: un dato piuttosto normale per quanto riguarda i turni di ballottaggio ma piuttosto sorprendete per quanto riguarda il primo turno. Vale la pena di riflettere sul dato generale delle elezioni amministrative, che si sono sempre contraddistinte per un tasso di partecipazione piuttosto elevato, rispetto, per esempio, alle elezioni regionali, provinciali (quando si tenevano) o europee. Una delle ragioni di questo successo è sempre stata considerata la legge elettorale che permette, come illustrato poco sopra, la scelta diretta del proprio sindaco. Fino al 1993, anno di entrata in vigore della legge 81, non era affatto così: erano i consigli comunali a eleggere, al loro interno, il sindaco. In questi trent’anni, il modello “grandi città”, come è stato spesso chiamato, ha addirittura influenzato il dibattito politico fino a far proporre, a stagioni alterne, l’utilizzo di una legge elettorale simile sia per eleggere i parlamentari, sia, con la necessaria modifica costituzionale, il Presidente del consiglio (per l’occasione chiamato “Sindaco d’Italia”). Il sistema elettorale continua a funzionare molto bene: poter sapere chi ha vinto le elezioni poche ore dopo la chiusura dei seggi è infatti uno dei suoi pregi principali. Ma se ciò non serve ad avvicinare i cittadini alla politica, allora forse vale la pena che ci si interroghi (anche, ma naturalmente non solo) sulla sua efficacia. Per quanto riguarda gli altri punti, non si segnalano outsider particolari: l’effetto Movimento 5 Stelle sembra essersi concluso. Se questa conclusione sarà definitiva, molto dipenderà da come il Movimento reagirà all’ultima scissione voluta proprio da uno dei suoi membri storici, vale a dire Luigi Di Maio. Le coalizioni sperimentali, in generale (e non è sorprendente), portano male: rinunciare all’unità della coalizione penalizza i candidati sindaci. Un risultato non sempre ovvio, in quanto al secondo turno gli apparentamenti tra liste politicamente vicine sono sempre possibili. Tuttavia, non sempre queste operazioni vengono effettuate e, anche quando lo sono, non sempre gli elettori rispondono alle indicazioni ricevute dai partiti. E questo è ancora più vero quando, tra il primo e il secondo turno, l’affluenza cala ulteriormente. Infine, nelle 26 città capoluogo, la situazione prima delle elezioni vedeva 18 sindaci del centrodestra, 6 sindaci del centrosinistra e 2 sindaci di altri partiti, tra cui il sindaco di Parma, Pizzarotti, del Movimento 5 stelle. Il centrosinistra ha un guadagno netto di 4 sindaci rispetto al passato: più precisamente, il centrosinistra strappa 6 città al centrodestra (e Parma al Movimento 5 stelle) mentre ne perde 3 a favore del centrodestra. Il centrodestra, a sua volta, perde anche 2 comuni a favore di liste civiche (Como e Viterbo) e ne strappa 3 al centrosinistra.

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Tabella 1 – Risultati alle elezioni amministrative del 12 e 26 giugno 2022

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Come ringiovanire la politica

  1. Savino

    Ha centrato in pieno: si è smarrita anche l’inerzia delle leggi elettorali del 1993 sugli enti locali minori. La cattiva politica è riuscita persino a scavalcare l’illusione che con l’elezione diretta fosse tutto più agevole. Il momento storico particolare ha fatto il resto in termini di disaffezione. Probabilmente, proprio per le difficoltà intrinseche e storiche da affrontare, sarebbe auspicabile un ritorno ad un sindaco o ad un presidente di Regione che si conquisti la stima giorno per giorno, attraverso un vivo dibattito assembleare nei consigli comunali e regionali, anzichè avere potere incontrastabile per 5, alle volte interminabili, anni (vedasi quanto accaduto per Raggi a Roma o Appendino a Torino).

  2. Firmin

    C’è qualcuno che ha calcolato il numero di cittadini governati dai vari schieramenti prima e dopo le elezioni? In fondo, è quello il numero che conta davvero. Da un calcolo molto approssimativo, in base a questo criterio, mi sembra che ci sia stato un sostanziale pareggio. Quindi non capisco la ragione dell’esultanza o della frustrazione dei due principali schieramenti. Il vero risultato è che la maggior parte degli elettori non si sente rappresentata da nessun partito o ritiene che tutti perseguano lo stesso programma e quindi non vale la pena di scomodarsi a votare.

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