Il Parlamento ha approvato, per l’ennesima volta, un nuovo scostamento di bilancio, un passaggio necessario dopo l’introduzione del pareggio di bilancio nella Costituzione. Ma questa volta il maggior disavanzo non è’ giustificato da alcun cambiamento nel quadro macroeconomico.
Il rituale che si ripete da anni
L’11 ottobre si è consumato un rituale, l’approvazione a maggioranza assoluta di un nuovo scostamento di bilancio, che ci accompagna, ogni anno, dall’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione.
La riforma costituzionale approvata nell’aprile 2012 nasce nel contesto della crisi dei debiti sovrani, che in Italia portò alla formazione del governo Monti nel novembre 2011. In quei mesi, nuove direttive europee stabilirono l’obbligo per i paesi di dotarsi di regole di bilancio numeriche che promuovessero effettivamente il rispetto degli equilibri finanziari. La risposta italiana, diversamente da quella di altri paesi, andò oltre questa richiesta, con una riforma costituzionale che, appunto, introdusse un obbligo di pareggio di bilancio, non contemplato nella normativa europea.
La nuova Costituzione consente di accendere nuovo debito, rispetto al programma di finanza pubblica in vigore, solo al verificarsi di eventi eccezionali, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti. Dal 2014, quando la procedura ha iniziato a essere applicata, abbiamo una sequenza continua di autorizzazioni parlamentari approvate in occasione del Documento di economia e finanza di aprile (per correggere il piano presentato nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza del settembre precedente) e della Nadef di settembre (per correggere il piano del Def dell’aprile precedente). Per contare le eccezioni, le dita di una mano sono più che sufficienti.
Ci sono pochi dubbi sul fatto che la riforma costituzionale del 2012 fosse eccessivamente rigida, come fu notato da molti tecnici (tra cui chi scrive) nelle audizioni parlamentari tenute durante l’esame della riforma. Per un esempio, si può osservare come oggi nelle discussioni europee sulle nuove regole fiscali, l’Italia sostenga la necessità di una golden rule che consenta di finanziare in disavanzo gli investimenti, eppure una tale regola sarebbe in contrasto con la nostra Costituzione. Ma una specialità nazionale è quella di dotarsi di regole rigidissime a cuor leggero, assumendo che poi si potrà sempre trovare un modo per renderle più flessibili. Il danno di credibilità che ne deriva, in questo caso nei confronti dei partner europei e dei mercati finanziari, è del tutto trascurato. Al di là degli aspetti giuridici, la questione di sostanza non riguarda la discussione sull’austerità ma semplicemente il fatto che un programma di finanza pubblica (anche espansivo) ha senso se guarda a un orizzonte pluriennale e che modifiche in corso d’opera richiedono ragioni fondate. In questa direzione si muove, pur con vari limiti, la proposta della Commissione europea di riforma del fiscal compact, che prevede di basare le nuove regole europee su programmi almeno quadriennali concordati con i singoli paesi.
Uno scostamento senza motivo
Veniamo al caso specifico dello scostamento appena approvato: un maggior disavanzo di 0,6 punti di Pil nel 2024 e nel 2025 e 0,4 punti nel 2026.
La valutazione sintetica è che non c’è una giustificazione per lo scostamento. Per cominciare, tra aprile e oggi non si verificato nessun “evento eccezionale” come una grave recessione economica, una crisi finanziaria o una calamità naturale. Tuttavia, in passato si è giustificato lo scostamento anche sulla base semplicemente di un peggioramento congiunturale della fase ciclica. Cosa che qui non c’è. Le previsioni macroeconomiche della Nadef non si discostano da quelle del Def in modo rilevante. Ad esempio, per la variabile più importante per la finanza pubblica, la crescita del Pil nominale, la previsione sull’arco del triennio è identica. Lo stesso vale per l’indicatore della fase ciclica, l’output gap, che resta positivo e in linea con quanto si prevedeva nel Def in tutto il periodo.
Secondo il governo, nella sua relazione al Parlamento, l’incertezza di fondo che caratterizza la situazione economica rende necessario intervenire “per ridare slancio all’economia e assicurarle un maggior grado di resilienza”. Il rischio concreto è che lo scostamento peggiori il quadro. Innanzi tutto, mette il debito su un sentiero di riduzione molto precario, basato su proiezioni di finanza pubblica irrealistiche per importanti voci di spesa e su un programma di privatizzazioni per nulla definito. Ogni ulteriore deviazione, non improbabile, sarebbe molto costosa in termini di costo del debito. Poi c’è la questione di come verranno usate le nuove risorse. Serviranno a mitigare le debolezze strutturali dell’economia italiana, cosa che costituirebbe una garanzia di tenuta del rapporto debito/Pil? La misura principale, quella della fiscalizzazione dei contributi sociali (il cuneo fiscale), non va in questa direzione, ma semmai in quella del mantenimento dello status quo, aggiungendo peraltro il peggioramento dello squilibrio futuro del settore pensionistico (se l’obiettivo è la difesa del potere d’acquisto dei salari bassi, la strada maestra è intervenire sull’Irpef, magari compensando il fiscal drag).
* Questo articolo, in una versione leggermente diversa, è pubblicato in contemporanea su Domani.
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Savino
Durante l’epoca covid, c’era chi (Tajani?) era pronto a votare uno scostamento di bilancio al mese, per dire quanto i politici italiani prendono alla leggera il tema dei conti pubblici e del debito. Non si vuole mettere mano alla spesa pubblica, soprattutto quella corrente e improduttiva, ecco perchè si è indebitati e fragili. Ci siamo scordati delle Partecipate negli Enti, dei compensi ai manager pubblici, della spesa pensionistica. Qualcuno (alcune Regioni?) vuole anche infilare nel debito pubblico gli NPL del superbonus 110%.
Firmin
Complimenti all’autore per questa operazione verità. Che senso ha blindare il pareggio di un bilancio che non ha un vero e proprio stato patrimoniale e quindi non rispetta la logica della partita doppia? Ci si stracciano le vesti e si impegna il parlamento per votare scostamenti di qualche decina di miliardi e poi si cancellano con legge ordinaria 500 miliardi di crediti erariali difficilmente esigibili senza lasciare segni visibili sui conti pubblici. Fosse successo ad una banca, sarebbe stata obbligata a registrare la perdita ed a ricorrere al mercato degli NPL. Grazie alla stessa perversione contabile, si ricorre (con risultati risibili) alle privatizzazioni registrando solo le entrate di cassa ma non la riduzione dei corrispondenti asset. In una impresa normale questo sarebbe un tipico falso in bilancio (frequente in alcune società sportive). Capisco che i paesi “virtuosi” ricorrano abitualmente a trucchi contabili anche più sfacciati, basati sull’esclusione di una buona metà del debito pubblico dal perimetro della pubblica amministrazione rilevante ai fini dei criteri di Maastricht. Ma solo un ragioniere pazzo poteva prevedere in costituzione un “equilibrio” di bilancio su base strettamente annuale. Non a caso, la maggioranza delle imprese presenta un bilancio (fiscale) in rosso da decenni e l’analisi dei bilanci si basa su indicatori diversi dal semplice saldo finale.
Mohamed Abdel
Il punto è che non è vero. Per quanto il Governo non voglia per primo alimentare timori nei mercati il quadro macroeconomico interno ed internazionale è in peggioramento, da parte dei principali organi di monitoraggio internazionali sono state riviste al ribasso le stime di crescita italiane sia per l’anno corrente che per il 2024, entrambe unanimemente sotto l’1% al netto di ulteriori probabili peggioramenti. Verissimo che alcune misure politiche sono sbagliate (come sempre) ma in linea generale la Germania è ad esempio già in recessione tecnica (2 trimestri consecutivi), vogliamo proprio seguirla senza battere ciglio?
P.S. L’obbligo in Costituzione non è di pareggio bensì di mero equilibrio del bilancio, due cose differenti.