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Perché non si può rinunciare all’auto elettrica

Le vendite di veicoli elettrici crescono in tutto il mondo, anche in Europa non si registrano crolli drammatici. Rimandare l’entrata in vigore delle norme europee finirebbe per ridurre ancora di più la competitività dell’automotive europeo.

Lo stato di salute dell’elettrico

Come sta il comparto dell’auto elettrica? L’articolo di Antonio Sileo mette in guardia sui rischi dell’industria automotive europea, dovuti al calo delle vendite di auto elettriche. Sileo si concentra sui dati di immatricolazione di agosto 2024, evidenziando un notevole calo rispetto allo stesso periodo del 2023. Il dato e il ragionamento che ne segue lo portano alla conclusione che “Senza dunque rinunciare all’obiettivo della neutralità climatica al 2050, ma anzi proprio per conseguirlo, è urgente affiancare altro alla strategia di sostituzione e (totale) elettrificazione”.

Per quanto i numeri riportati siano esatti, le conclusioni dell’articolo sono a nostro avviso errate e parziali. Partiamo dal contesto globale: fino a oggi, nel 2024 sono state vendute più di 10 milioni di auto elettriche a batteria. Significa che una macchina su sette è full electric. In agosto, il mese su cui si concentra l’analisi di Sileo, se si considera anche l’export, la Cina da sola ha venduto più di un milione di auto elettriche, compresi modelli a batteria e ibridi plug-in. Le vendite di auto elettriche sono cresciute anche negli Stati Uniti, con quote di mercato al 7 per cento per auto a batteria e del 2 per cento per ibridi plug-in, nella prima metà del 2024.

Cosa succede dunque in Europa? In agosto si sono vendute poche auto in generale. Le full electric hanno subito il calo maggiore, mentre le ibride sono le uniche le cui vendite sono cresciute rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nei mesi precedenti, le vendite di auto a batteria sono rimaste sulle percentuali dello scorso anno. L’andamento europeo è coerente con il quadro regolatorio, che non richiede cambiamenti nel livello di emissioni di CO2 al chilometro per le auto vendute nel 2024 (rispetto al periodo 2021-2023), mentre richiede una riduzione del 15 per cento (già prevista dal 2019) tra il 2025 e il 2030.

Il dato di agosto è poi stato influenzato da un altro aspetto: nell’agosto del 2023 in Germania la scadenza degli incentivi per l’acquisto di auto aziendali aveva generato un notevole aumento delle immatricolazioni, portandolo ad essere il mese con più auto full electric vendute (63mila). Il risultato anomalo in Germania è quello di agosto 2023 e non del 2024. Ed è un elemento che spiega quasi interamente l’anomalia delle immatricolazioni di veicoli elettrici in Europa nell’agosto 2024 rispetto all’anno precedente.

Non si tratta dunque di crollo, ma di una stagnazione dell’elettrico in Europa, legata al quadro regolatorio e sommata a una circostanza particolare e in un contesto di continua crescita delle auto elettriche in Cina, Stati Uniti e in diverse economie emergenti, che cercano soluzioni strutturali per riconfigurare il proprio settore automotive, se hanno capacità manifatturiere, come nel caso di Brasile, Messico, India e paesi dell’Asean, oltre alla Corea e – per quanto in termini diversi, e più orientato verso gli ibridi – al Giappone.

Rafforzare la competitività del settore

In questo contesto, rimandare al 2027 le scadenze previste dal regolamento europeo sulle emissioni di CO2 del 2019 non ridurrebbe solo la credibilità delle politiche, a danno di chi ha investito per essere in grado di rispettarle, ma sarebbe anche deleterio per un settore che già affronta rischi importanti e va aiutato a diventare strutturalmente competitivo, soprattutto nei confronti della Cina.

Riuscire a superare questo ostacolo richiede crescita di volumi e sviluppo di catene produttive, come sottolineato anche dal rapporto Draghi. Non richiede certamente ritardi negli investimenti verso una tecnologia – l’elettrico – che ha chiare prospettive di crescita, confermate dai dati, su scala globale, non solo europea.

In questo contesto, l’introduzione di dazi o altre barriere commerciali sulle importazioni (dalla Cina per esempio) rischia di essere un danno se non è temporanea, dal momento che potrebbe ritardare ulteriormente gli investimenti necessari al nostro sistema industriale per rispondere alla concorrenza globale. Altri fattori strutturali, come l’intensità emissiva della produzione di batterie o la trasparenza e l’uso di pratiche responsabili nelle catene di approvvigionamento, non si accompagnano solo a forme virtuose della transizione, ma vanno sfruttati per offrire all’Europa e all’Italia le opportunità per recuperare terreno.

Perché i biocarburanti non sono la soluzione

La soluzione proposta da Sileo di agire anche sulla decarbonizzazione dei carburanti rischia di portare a nuove delusioni, senza essere risolutiva né per il clima né per l’economia europea.

Non mancano le tecnologie efficienti, comprese doppie colture per aumentare la quantità totale di biomassa vegetale disponibile,  ma finora i biocombustibili non hanno portato a riduzioni significative e su larga scala delle emissioni di gas serra, sul ciclo di vita, e hanno aumentato i prezzi dei prodotti alimentari. D’altra parte, i biocombustibili non potranno rendere autonoma l’Europa da un punto di vista energetico, perché è difficile prevedere incrementi di produzione, specie da risorse non necessarie anche per la produzione di alimenti (giustamente escluse dalla direttiva europea sull’uso delle energie rinnovabili).

Nonostante gli sforzi per evitare che gli oli vegetali provengano da zone soggette a rischi di deforestazione, l’Europa oggi si trova a far fronte a difficoltà legate all’import di biocombustibili ‘fraudolenti’, specie dalla Cina.

Gli e-fuels hanno bisogno di grandi quantità di energia a basse emissioni e a basso costo per poter superare costi ancora elevatissimi e la cui disponibilità è comunque soggetta a grandi incertezze (in analogia agli stessi biocombustibili, la priorità di utilizzo dovrebbe andare al trasporto aereo e marittimo di lunga distanza, dove l’elettrificazione diretta non è competitiva).

Evidenziare i cali stagionali è come confondere meteo e cambiamento climatico. In particolare, se l’analisi dei dati è influenzata da fattori legati a specifiche condizioni politiche, di natura chiaramente temporanea, come nel caso delle vendite di auto elettriche nell’agosto 2023 in Germania. Per guardare a un futuro dell’Europa che ci mantenga competitivi e assicuri gli obiettivi climatici, la discussione sul presunto fallimento dell’elettrico non serve. Meglio lavorare su come fare in modo che una transizione ormai inevitabile risulti un’opportunità, anziché un danno.

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Autonomia differenziata a rischio incostituzionalità

  1. Ezio Pacchiardo

    Ma la crisi dell’auto è dovuta a: crisi dell’economia; ai bassi salari; ai prezzi auto molto alti; ad attesa affermazione dei veicoli elettrici; a dubbi sulla continuità della circolazione dei veicoli con motore a combustione interna alimentati con idrocarburi o idrogeno; a mancanza delle strutture di supporto distribuite sul territorio; alle difficoltà della libera circolazione in aree comunali e regionali per i veicoli con diversa alimentazione dei motori ?
    In breve la crisi dell’auto sembra essere più una crisi voluta da noi per mancanza di chiari orientamenti che non una crisi indotta da altri condizionamenti.

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