Cresce la quota di lavoratori che usufruisce dei permessi retribuiti garantiti dalla legge 104. Li richiedono in prevalenza le donne. Mentre le differenze territoriali non seguono il tradizionale divario Nord-Sud. Per l’assistenza servono più strumenti.
Aumentano le richieste di permessi retribuiti per l’assistenza
Che l’Italia stia diventando sempre più un paese di vecchi ce lo dicono i dati, compresi quelli sull’uso dei permessi a favore di chi ha familiari in condizione di disabilità, disciplinati dalla legge n. 104 del 1992. La normativa prevede diverse forme di sostegno per i lavoratori, tra cui tre giorni di permessi al mese per chi assiste genitori o parenti con disabilità grave, pienamente retribuiti e fruibili sia in modalità oraria che giornaliera.
Analizzando i dati sulle richieste di permessi retribuiti, suddivise per genere e settore, emerge un trend fortemente crescente: la percentuale di lavoratori che ne usufruisce nel settore privato extra-agricolo è passata dallo 0,26 per cento nel 2005 al 2,3 per cento nel 2022 (figura 1). L’aumento può essere attribuito a diverse cause, tra cui l’invecchiamento della popolazione e il peggioramento delle condizioni di salute in età avanzata. Infatti, con l’allungarsi della vita, cresce anche la probabilità di dover assistere genitori o familiari non autosufficienti. Secondo i dati Istat del 2021, il 28,4 per cento degli over 65 soffre di gravi limitazioni motorie, sensoriali o cognitive e il 10,6 per cento riferisce difficoltà significative nelle attività quotidiane. Queste limitazioni aumentano con l’età: se solo l’1,6 per cento delle persone sotto i 44 anni denuncia gravi difficoltà nelle attività quotidiane, la percentuale sale al 3,7 per cento per la fascia 45-64 anni, al 7,1 per cento per i 65-74 anni e raggiunge il 20 per cento tra gli over 74 (Istat, 2023).
Le richieste arrivano più dalle donne che dagli uomini
Dalla figura 1 è evidente che l’incidenza nell’utilizzo dei permessi è maggiore tra le lavoratrici e il gap tra l’incidenza del ricorso alla misura tra lavoratrici e lavoratori tende ad ampliarsi nel corso del tempo. Se nel 2005 il divario era di soli 0,06 punti percentuali, nel 2022 raggiunge quasi 0,7 punti percentuali, suggerendo che all’incremento nella domanda di lavoro di cura sono chiamate a rispondere in misura maggiore le donne rispetto agli uomini.
Figura 1
Le differenze territoriali
Le nostre analisi evidenziano notevoli differenze territoriali, a conferma della grande diversità che caratterizza l’Italia sia sotto il profilo socio-demografico che di offerta di servizi per gli anziani e disabili, e che si riflette anche nelle esigenze di assistenza.
I dati mostrano variazioni significative nell’utilizzo dei permessi della legge 104, con una distribuzione territoriale che, come indicato nella mappa sottostante, presenta differenze rilevanti, ma non ricalca il tradizionale divario Nord-Sud. L’incidenza maggiore si riscontra in alcune province del Centro e del Nord. Al primo posto c’è Perugia con una percentuale del 4,44 per cento, seguita da Roma e Terni rispettivamente con il 3,73 e il 3,55 per cento, mentre la provincia con l’incidenza più bassa risulta Bolzano con un valore dello 0,69 per cento, seguita da Agrigento e Prato (rispettivamente 0,74 per cento e 0,85 per cento). I fattori che spiegano la variabilità territoriale possono essere legati alle caratteristiche delle imprese e del mercato del lavoro locale (i lavoratori potrebbero avere una maggiore propensione a utilizzare i benefici previsti dalla 104 quando hanno contratti a tempo indeterminato e quando sono occupati in imprese di più grande dimensione) e anche alle condizioni locali in termini di presenza di reti di aiuto intergenerazionale da parte di familiari non occupati o di disponibilità di altre forme di assistenza.
Figura 2
L’assistenza alle persone non autosufficienti
Questi dati evidenziano chiaramente come l’attuale struttura demografica dell’Italia stia generando una crescente domanda di assistenza per le persone non autosufficienti. Mostrano, inoltre, come la domanda e i corrispondenti strumenti di risposta possano avere differenziazioni territoriali piuttosto marcate. Ad esempio, nei comuni delle aree interne (quelle che soffrono maggiormente dello spopolamento) si registrano alte percentuali di popolazione ultraottantenne e un accesso più difficile ai servizi di assistenza. Inoltre, come evidenziato da diverse ricerche (si veda qui), l’offerta dei servizi pubblici è spesso frammentata e disomogenea, con servizi di assistenza domiciliare che risultano limitati non solo nel numero di persone bisognose che riescono a raggiungere, ma anche in termini di intensità e qualità del sostegno effettivamente fornito.
Uno scenario così complesso richiede risposte adeguate da parte delle istituzioni e della società civile, che devono affrontare sfide sempre più pressanti legate alla cura dei familiari anziani e disabili. Strumenti come la 104, pur restando cruciali, difficilmente saranno sufficienti, considerando che nel corso del tempo la dimensione delle famiglie si è ridotta e con essa la platea di coloro che possono richiederli. È fondamentale avviare una pianificazione territoriale che permetta di dotare ciascuna comunità delle reti di supporto necessarie per rispondere alle esigenze di assistenza, specialmente in aree con alta concentrazione di popolazione anziana. Le differenze territoriali e di genere, inoltre, sottolineano l’importanza di politiche che tengano conto anche del carico di cura sproporzionato che grava sulle donne. Bisognerà ottimizzare l’efficienza dei servizi pubblici esistenti, riducendo frammentazioni e disomogeneità e garantendo una gestione coordinata tra diverse amministrazioni e istituzioni locali. Tuttavia, migliorare i servizi richiederà inevitabilmente anche un aumento delle risorse, una sfida considerevole vista la limitata capacità di spesa pubblica. Si potrebbe pensare all’integrazione di capitali privati e alla creazione di sistemi assicurativi misti per la long-term care, ma anche in questo caso, data la forte pressione fiscale che grava sui lavoratori italiani, non sarà facile trovare soluzioni sostenibili che non acuiscano ulteriormente il carico fiscale.
* Le opinioni qui espresse e le conclusioni sono attribuibili esclusivamente agli autori e non impegnano in alcun modo la responsabilità dell’Istituto di appartenenza.
Questo articolo viene pubblicato in contemporanea su Menabò di Etica ed Economia.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Savino
Bisognerebbe, anzitutto, assumere di più i giovani, per ridurre la platea dei caregiver- lavoratori. E, poi, bisognerebbe ottimizzare e rendere più accoglienti e a dimensione d’uomo e di umanità proprio i luoghi fisici in cui si svolge la prestazione lavorativa, dotarli di comodità interne e collegarli meglio con l’esterno, sia per il caso di figli che di parenti anziani a carico.
loredano
E’ comune esperienza che molti dei permessi 104 costituiscono solamente un “ipotetico diritto a ferie aggiuntive ” da lavoratori che non seguono i familiari
Mancano dei controlli stringenti sul fatto che effettivamente il tempo venga dedicato alle figure piu’ deboli e non solo che c’è un familiare con necessità ( esempi? il nipote che ” segue da remoto” il nonno pur abitando molto distante .. l'”invalida” che si presenta sul luogo di lavoro chiedendo notizie sulla figlia che in quel momento è in permesso 104 per seguirla ? nella programmazione dei turni: mettimi quando vuoi in104 che non voglio perdere un giorno di ferie aggiuntive…)
Una gestione come quella attuale è insufficiente per il “104” veri che hanno un notevole gravame mentre è una pacchia per quelli fasulli
Marco
Di fronte all’invecchiamento ed alla riduzione delle dimensioni delle famiglie occorre ridurre l’orario di lavoro che è fermo al 1968 quando sono state stabilite le 40 ore in modo che le persone abbiano più tempo per l’assistenza e non gravare sulle finanze pubbliche.
Inoltre con la riduzione delle pensioni dovute all’entrata a regime del sistema contributivo ed al mancato recupero del fiscal drag delle pensioni che va avanti dal 2008 nonché l’età pensionabile è stata portata a 67 anni molti non anticipano o non sono in grado di andare in pensione per assistere i familiari.
Il carico fiscale è elevato anche per chi abbandona il lavoro per assistere i familiari contando su interessi ed affitti perché non è prevista nessuna no tax area (infatti se uno ha 2.000 euro di interessi da un conto deposito o da obbligazioni della banca deve pagare il 26% più l’imposta di bollo che con bassi tassi di interesse può portare il carico fiscale complessivo verso il 40%).
Savino
I pensionandi potrebbero anche fare un part-time. L’impressione è che nessuno vuol rinunciare a niente e, ripeto, la vera soluzione al problema sarebbe quella di assumere i giovani, molti dei quali hanno genitori 50-60enni autosufficienti e sani, figli adolescenti che escono da soli di casa o entrambe le situazioni.
Giuseppe Bellina
A mio avviso alcuni diritti inalienabili del lavoratore quali possono essere la Legge 104 e la legge che prevede il part-time per le donne con bimbi in eta’ scolare sono poco bilanciati in termini di fruizione. Se da un lato la popolazione invecchia e la legge 104 diventa uno strumento indispensabile per i figli che devono portare assistenza ai genitori disabili, dall’altro verso i part-time sono in numero considerevole anche se a livello demografico si registrano sempre meno nascite. Vero che il part-time puo’ essere un vantaggio sociale per le donne e in taluni casi e’ richiesto direttamente dall’azienda all’interno del contratto di lavoro. Vero anche pero’ che in una situazione lavorativa di servizio al pubblico, spesso servizi della PA o degli EELL, questa situazione puo’ arrecare disguidi ai colleghi di lavoro che debbono sopperire e mettere pezze, se non addirittura arrecare disservizio a scapito dell’utente. Il part-time a mio modesto parere dovrebbe venire concesso esclusivamente alla donne con bimbi piccoli e’ in eta’ scolare, come aspetto di legge. Altro punto: spesso si critica la legge 104 in quanto comporta tre giorni al mese di assenza pagata dal lavoro senza perdere i contributi, questo comporta pero’ un vantaggio sociale in termini economici. L’assistenza che i figli portano ai genitori sgrava di spese gli enti e le strutture pubbliche a cui il disabile non si rivolge perche’ direttamente assistito dal famigliare.