Attraverso un particolare meccanismo legislativo, l’Assemblea regionale siciliana si appropria di un potere riservato all’esecutivo: la scelta degli enti a cui destinare contributi senza indicarne i criteri. Potrebbe rivelarsi una pratica incostituzionale.

Un’abitudine dura a morire

Tra le accuse che periodicamente vengono rivolte a una regione a statuto speciale come la Sicilia, vi è quella di non lesinare contributi a pioggia a enti, fondazioni, associazioni, consorzi, teatri e via elencando. Si tratta di una pratica politica che dura da diversi lustri e che, in tempo di crisi finanziaria, avrebbe dovuto subire un netto ridimensionamento.

Eppure, in ogni manovra finanziaria approvata dall’Assemblea regionale siciliana spuntano puntualmente, come funghi, contributi con nome e cognome. L’Assemblea regionale, per il solo anno in corso, sembra avere destinato un totale di oltre 13 milioni di euro a favore di non meglio definiti “interventi e programmi di promozione turistica” rivolti a un ristretto numero di beneficiari (fonte La Civetta, 1/5/2024).

Ora, senza entrare nel merito di alcuni mirati contributi che hanno animato la più recente polemica sollevata dal deputato regionale Ismaele La Vardera (ex Iena), ciò che ci induce a una breve riflessione è lo strumento giuridico utilizzato per veicolare queste forme di sovvenzione.

Mancano i criteri della scelta

In sostanza, il legislatore siciliano sembra aggirare l’ostacolo previsto all’articolo 128 della legge regionale n. 11/2010 e all’articolo 15 della legge regionale n. 7/2019, dove si stabilisce il principio secondo il quale la concessione di sovvenzioni, contributi, ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici, “non specificatamente individuati”, sono subordinate alla predeterminazione regolamentare dei criteri e delle modalità per la concessione. L’avvertenza “non specificatamente individuati”, peraltro non riscontrabile nella mutuata legge statale sul procedimento amministrativo n. 241/90, sembra essere confezionata proprio per consentire al legislatore regionale di individuare specificatamente alcuni destinatari di contributi, così evitando di delegare al potere esecutivo, e quindi alla pubblica amministrazione, l’onere di regolamentare l’assegnazione dei contributi.

Attraverso questo astuto meccanismo legislativo, l’Assemblea regionale siciliana ogni anno avoca a sé un potere tradizionalmente riservato al potere esecutivo individuando, mediante provvedimento legislativo allegato alla manovra finanziaria, direttamente sia l’importo sia gli enti che usufruiranno di contributi sostanzialmente “blindati”.

Perché si profila l’incostituzionalità

A parere di chi qui scrive, la pratica presenta profili di dubbia costituzionalità. Si tratta infatti non di semplici atti amministrativi adottati dalla Pa, ma di atti a valenza legislativa. Vero è che concretamente il contributo “specificatamente individuato” dal legislatore regionale viene erogato attraverso un atto del settore amministrativo competente per materia, ma è altrettanto vero che la necessaria istruttoria di merito in ordine alla conformità dell’ausilio finanziario con le funzioni istituzionali dell’ente pubblico sovventore non avviene a valle nella sede propria amministrativa, ma a monte in quella impropria dell’indirizzo politico-legislativo.

Dalla giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 137/2009) si ricava infatti che, qualora il legislatore emetta leggi a contenuto provvedimentale, deve applicare con particolare rigore il canone della ragionevolezza, affinché il ricorso a quel tipo di provvedimento non si risolva in una modalità per aggirare i principi di eguaglianza e imparzialità (articolo 3 Costituzione). Ne consegue che, quando il legislatore regionale pone in essere un’attività a contenuto particolare e concreto, come quello che individua con precisione il destinatario di un contributo finanziario, devono risultare i criteri ai quali sono ispirate le scelte e le relative modalità di attuazione.

In tale contesto, la condotta dell’Assemblea regionale siciliana, oltre ad apparire deprecabile all’occhio dell’opinione pubblica, finisce per violare il principio di riserva del procedimento amministrativo e, soprattutto, il principio di eguaglianza nel suo significato di pari trattamento, configurando un percorso privilegiato per la distribuzione di risorse pubbliche, con prevalenza degli interessi di taluni soggetti (non sempre puramente collettivi) rispetto a quelli, parimenti meritevoli di tutela, di altri enti esclusi, a scapito, quindi, dell’interesse generale. Difatti, né dal testo delle norme di volta in volta approvate – che contiene spesso il rinvio a un’apposita tabella – né dai lavori preparatori della legge, emerge la ratio giustificatrice del caso concreto: non risulta così che il Parlamento siciliano osservi criteri e obiettivi trasparenti nella scelta dei beneficiari dei contributi o nella programmazione e pianificazione degli interventi di sostegno.

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