Essere entrata a far parte di un grande gruppo garantisce a Ita importanti vantaggi. A partire dalla flotta, con aerei più moderni e capienti, che consumano e inquinano di meno. Fa ben sperare anche il fatto che l’ad sia un uomo del settore.
Le prospettive industriali dell’integrazione
Il lungo percorso della privatizzazione di Ita Airways, avviato a inizio 2022, si è concluso a metà gennaio 2025 con l’ingresso di Lufthansa nel capitale sociale, con una quota del 41 per cento. Quali sono le prospettive industriali che derivano dall’integrazione nel grande gruppo tedesco? Per comprenderle conviene ragionare sui vantaggi competitivi che un vettore aereo può acquisire nel tempo grazie al progresso tecnologico.
In una tipica impresa manifatturiera il progresso si manifesta nelle due forme dell’innovazione di prodotto e nell’innovazione di processo. La prima consiste nel produrre beni nuovi o comunque migliori, più apprezzati dai consumatori e dunque di maggior valore economico. La seconda nel produrre i beni in maniera più efficiente e meno costosa, tipicamente utilizzando impianti tecnologicamente innovativi e in grado di generare più output a costi unitari più bassi. Basta pensare alle differenze tra una moderna fabbrica di spilli e quella descritta da Adam Smith all’inizio de La Ricchezza delle nazioni.
Come si modificano queste possibilità se transitiamo dalla produzione di beni a quella di servizi, com’è il caso del trasporto aereo? Nell’industria dei viaggi aerei le possibilità di innovazione di prodotto sono limitate. Si tratta pur sempre di trasportare un passeggero da un aeroporto di partenza a uno di destinazione, con maggiore o minore confort, con più o meno bagaglio, assistito da personale più o meno cortese: in fin dei conti, il servizio ha un range di caratteristiche limitato e poco variabile nel tempo.
L’importanza della flotta
È invece fondamentale il ruolo del progresso tecnologico, che si manifesta in quello che, nel settore, è l’equivalente dell’impianto nell’industria manifatturiera: l’aeromobile. L’enorme sviluppo dell’aviazione commerciale è stato consentito in primo luogo e per lungo tempo dall’evoluzione tecnologica degli aerei e solo negli ultimi decenni dal mutamento delle regole dei mercati, dalle liberalizzazioni, che hanno permesso modalità innovative del loro utilizzo, ideate e messe in pratica in particolare dai vettori low cost. In ogni caso, il vantaggio competitivo di un vettore risiede in larga misura nell’adeguatezza, quantitativa e qualitativa, della flotta, nel costo al quale l’ha acquisita e nelle modalità con cui la utilizza.
Alitalia decollò nel 1947 con una piccola flotta raccogliticcia di aerei con motori a pistoni, adattati dal periodo bellico, con pochi posti a bordo e soggetti a frequenti problemi tecnici. Sinché non riuscì a liberarsene, transitando ai più moderni aeromobili DC4 della Douglas, ebbe inevitabilmente bilanci in perdita. Ma il vero salto avvenne con l’adozione di velivoli a turboelica prima e a reazione dopo. Alla fine degli anni Sessanta, all’apice del suo successo e con bilanci stabilmente attivi, Alitalia fu il primo vettore europeo a volare con una flotta interamente jet, assumendo il ruolo di compagnia leader nel beneficiare del progresso tecnico raggiunto dall’industria.
Il vantaggio di essere grandi
Chi per primo riesce a mettere in flotta un gran numero di aerei più moderni e capienti, che consumano e inquinano molto meno, si mette all’avanguardia nella corsa competitiva. Ma vi riesce di più chi sta crescendo di più e dunque può farlo incrementando la flotta, anziché sostituendo aeromobili tecnicamente inferiori ma che non è ancora conveniente eliminare. E vi riesce di più chi, oltre a crescere molto, è già grande in partenza e può ordinare ai costruttori, i duopolisti Airbus e Boeing, numeri consistenti di uno stesso modello. Si tratta dei maggiori vettori, sia quelli tradizionali, che in Europa si sono consolidati nel tempo nei tre grandi gruppi Iag, di British e Iberia, Air France-Klm e Lufthansa, che i grandi low cost, non certo i piccoli e neppure i medi.
Questo è il principale vantaggio dell’aggregazione di Ita in Lufthansa, in un’industria nelle quale le dimensioni contano e decidono chi vince e chi perde. Prima di conteggiare i quasi cento aerei di Ita, il gruppo Lufthansa aveva flotte di oltre 700 aerei, per quasi il 90 per cento di proprietà, e ordini per più di 250, con opzioni per portarli fino a oltre 400. Come tutti gli altri big può dunque ordinarne la costruzione di nuovi in gran numero, ad esempio cento alla volta, ottenendo sconti rispetto al prezzo di listino che possono arrivare al 50 per cento, data la discriminazione di prezzo praticata dai costruttori. Si sussurra che per Ryanair si arriverebbe anche al 60 per cento: il condizionale è d’obbligo perché questi dati sono gelosamente custoditi dalle parti. Se invece l’ordine è di pochi aerei, ad esempio dieci o quindici, lo sconto è limitato e probabilmente non va oltre il 10 o 15 per cento. I vettori in concorrenza sui cieli italiani ed europei possono pertanto volare con aerei identici in tutto, a parte il prezzo al quale li hanno acquisiti, fattore che fa una grande differenza. Tra l’altro, acquistarli alla metà del prezzo di listino implica che qualora siano rivenduti dopo pochi anni per passare a modelli più nuovi e performanti non subiscono di fatto svalutazioni di prezzo. Di conseguenza, il loro ammortamento pesa sui bilanci in maniera irrisoria.
Disporre di flotte nuove e all’avanguardia permette di ridurre i consumi, la frequenza delle manutenzioni e i relativi costi. Oltretutto i grandi vettori, tra cui Lufthansa, le realizzano in casa a costi molto inferiori rispetto all’affidamento a società esterne, come sono invece obbligati a fare i piccoli e talvolta i medi, che non hanno neanche potere di mercato nella contrattazione. In questo modo si riducono in maniera significativa i costi di esercizio. Flotta, manutenzioni e carburante rappresentano circa la metà del costo totale di esercizio di un vettore di medie dimensioni ed è evidente quanto sia rilevante assumere un vantaggio competitivo su queste voci, ottenibile solo attraverso adeguate dimensioni aziendali.
Ai costi precedenti, necessari per volare, si aggiungono quelli per l’assistenza al volo, fornita dai gestori degli spazi aerei nazionali, i quali non sono oggetto di contrattazione, ma regolamentati e uniformi tra i vettori; e quelli per l’assistenza aeroportuale, ai passeggeri, ai bagagli e agli aeromobili, il cosiddetto handling. Anche questi servizi sono solitamente autoprodotti dai vettori maggiori, quanto meno nei loro hub. Quando sono acquisiti sul mercato, è evidente che le dimensioni del contratto, e dunque quelle del vettore richiedente, contano ai fini del prezzo che si riesce a ottenere.
I vantaggi di Lufthansa
Accanto ai vantaggi dell’integrazione derivanti dai risparmi di costo, occorre considerarne altri due: dal lato dei ricavi e dal lato della capacità manageriale di conduzione dell’azienda. Riguardo al primo aspetto, i vantaggi attesi non possono ovviamente riguardare, se non in misura limitata, i prezzi praticabili, che sono principalmente decisi dal grado di concorrenza su ogni segmento di mercato. Ma possono ben riguardare la capacità di vendita, soprattutto sui mercati esteri, che il network di un gruppo di così grandi dimensioni è in grado di conseguire. Ci si aspetta dunque un effetto sulle quantità, sui passeggeri imbarcati, che su voli non pieni può essere ottenuto accrescendo il load factor a un costo incrementale prossimo allo zero.
L’integrazione è ovviamente vantaggiosa per il gruppo Lufthansa, che con l’acquisizione di Ita diviene il primo gruppo europeo per dimensioni di flotta (passa da 700 a circa 800 aeromobili), passeggeri trasportati e fatturato, e il quarto al mondo. Acquisisce poi un nuovo hub, Fiumicino, che si trova molto più a sud dei suoi ed è un’ottima porta per i collegamenti verso il Medio Oriente, l’Asia meridionale, l’Africa e il Sud America. Con l’hub acquisisce anche una posizione di assoluto rilievo, con una quota stimabile nel 17 per cento dei passeggeri, in un grande mercato come quello italiano, le cui prospettive di crescita nei prossimi anni sono migliori rispetto ai mercati più maturi del centro Europa in cui Lufthansa è radicata.
Riguardo alla capacità di conduzione di un’impresa di trasporto aereo, non dobbiamo dimenticare che l’ultimo manager aeronautico italiano formatosi nel settore è stato Domenico Cempella, arrivato al vertice di Alitalia nel 1996 e fautore del suo risanamento oltre che dell’accordo pionieristico con Klm. Con Joerg Eberhart, nominato amministratore delegato di Ita lo scorso 17 gennaio, si torna per la prima volta a una guida aziendale totalmente formatasi nell’industria del trasporto aereo, nel quale è entrato come pilota civile per poi passare alla carriera manageriale. Nel passato abbiamo visto che le competenze possono fare la differenza nei risultati, è ragionevole aspettarsi altrettanto per il futuro.
*Ugo Arrigo è stato consigliere di amministrazione non esecutivo di Ita Airways da novembre 2022 a luglio 2023. Attualmente non riveste alcun incarico nell’ambito del trasporto aereo.
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