Tariffe sul caffè, una sorpresa per il mercato

Gli Stati Uniti non producono caffè e quindi nessuno si aspettava che fosse sottoposto alle tariffe trumpiane, che puntano a favorire le industrie Usa. Invece, il dazio è arrivato. Il mercato ha reagito con un’altalena dei prezzi che non si vedeva da tempo.

Tariffe per proteggere la produzione negli Usa

Nel 2024, quando Donald Trump era ancora solo un candidato alle presidenziali americane, gli analisti hanno iniziato a valutare il possibile impatto delle politiche protezionistiche sulle materie prime che il tycoon annunciava in campagna elettorale. Alcune previsioni si sono rivelate accurate, altre hanno sorpreso il mercato. In particolare, nessuno si aspettava che tali politiche avessero un effetto significativo sul caffè, una materia prima poco adatta alla coltivazione negli Stati Uniti.

Il consenso generale era che le tariffe commerciali statunitensi avrebbero influenzato significativamente quelle merci che sono sia prodotte a livello nazionale che importate. L’aspettativa era giustificata dalla convinzione che l’intento dell’amministrazione fosse quello di favorire le industrie domestiche limitando i flussi di importazione.

Il caso dell’alluminio e quello della soia 

La dinamica è stata confermata nel mercato dell’alluminio, ad esempio, dove la produzione statunitense rappresenta solo il 14 per cento del consumo domestico. L’imposizione di una tariffa d’importazione del 25 per cento nel marzo 2025, seguita da una tariffa del 50 per cento a partire da giugno, ha portato a un significativo aumento del prezzo di consegna sul mercato interno: si è alzato del +190 per cento da gennaio e dell’80 per cento da marzo.

Un altro gruppo di materie che ci si aspettava subisse l’influenza dei dazi è quello per cui gli Stati Uniti sono un importante esportatore. Gli analisti prevedevano infatti che l’imposizione delle tariffe statunitensi avrebbe portato a misure di ritorsione da parte dei partner commerciali, causando un’escalation delle tensioni commerciali e una diminuzione della domanda di esportazione statunitense, con conseguente abbassamento dei prezzi (l’opposto di quanto osservato nel caso precedente). 

Il mercato dei cereali rientra in questa categoria, perché gli Stati Uniti sono il secondo esportatore globale di soia, con la Cina e il Messico come principali partner commerciali. Le tariffe statunitensi sul Messico sono state imposte a gennaio 2025, ma sono state revocate a marzo in conformità con le regole di origine dell’Usmca, mitigando così l’impatto della politica commerciale.

Per quanto riguarda la Cina, dopo vari cicli di misure statunitensi e di tariffe di ritorsione cinesi, la soia Usa attualmente affronta una tassa del 34 per cento da parte di Pechino, rendendola meno competitiva rispetto alla soia brasiliana. È probabilmente il motivo per cui le importazioni cinesi sono diminuite del 40 per cento dall’inizio dell’anno.

Questa tendenza sembra confermare gli sforzi in corso della Cina per ridurre la propria dipendenza dai prodotti agricoli statunitensi, una strategia in atto sin dalla prima presidenza di Trump. All’epoca, le importazioni di soia cinesi dagli Stati Uniti erano diminuite di oltre il 50 per cento a seguito di una tassa del 25 per cento imposta nel 2018.

Cosa è successo con il caffè

La sorpresa è però il mercato del caffè. La pianta è coltivata in climi tropicali e subtropicali lungo l’equatore, in una regione nota come “coffee belt”, che si estende tra il Tropico del Cancro e il Tropico del Capricorno. Di conseguenza, è improbabile che possa essere coltivata su larga scala nel suolo statunitense.

All’inizio di agosto, a causa crescenti tensioni politiche con il governo brasiliano, gli Stati Uniti hanno imposto una tassa del 50 per cento sulle importazioni provenienti dal Brasile, includendo il caffè, di cui quasi il 40 per cento è importato proprio da quel paese.

Da quando è stata introdotta la tariffa, il mercato dei derivati del caffè Arabica – di cui il Brasile rappresenta il 30 per cento della produzione mondiale – ha vissuto una notevole volatilità, che non si registrava dalla crisi finanziaria globale del 2008. Nelle prime sei settimane, il mercato ha avuto un’impennata del 50 per cento, avvicinandosi ai prezzi record toccati nel febbraio 2025. Successivamente, il mercato ha subito una rapida correzione a seguito della notizia di possibili piani dei legislatori Usa per esentare le importazioni di prodotti a base di caffè dalle tariffe.

Figura 1

Il notevole aumento dei prezzi registrato ad agosto non è stato causato da una potenziale riduzione dell’offerta di caffè, che di solito ne rappresenta il principale catalizzatore. In teoria, l’imposizione di una barriera commerciale dovrebbe alterare i flussi commerciali più che ridurre la disponibilità dell’offerta. Di conseguenza, ci si aspettava che gli Stati Uniti sostituissero le importazioni dal Brasile con caffè proveniente da altri paesi con tariffe più basse, come Colombia o Messico, mentre il caffè brasiliano avrebbe trovato mercati alternativi, limitando gli effetti sul prezzo del mercato globale. 

La teoria è stata smentita. Dall’inizio di agosto si è registrata un’ulteriore riduzione delle scorte di Arabica, già ai minimi storici, detenute dalla Borsa nei magazzini statunitensi ed europei. Questo suggerisce che i torrefattori americani sono stati colti di sorpresa dall’annuncio delle tariffe e si sono affrettati ad acquistare le scorte della Borsa di origine messicana. Il forte calo delle scorte, a sua volta, ha incoraggiato gli speculatori a prendere posizioni lunghe (a sostegno dei prezzi), in previsione di ulteriori aumenti, innescando così un ulteriore incremento dei prezzi.

Certamente, il mercato dell’Arabica non è estraneo a una elevate volatilità. Negli ultimi quattro anni, ha spesso raggiunto livelli storicamente elevati a causa di uno squilibrio tra domanda e offerta, influenzato da una serie di eventi meteorologici sfavorevoli che hanno limitato l’offerta. Senza questo sbilanciamento, il mercato probabilmente non avrebbe mostrato la recente volatilità. Tuttavia, l’impatto della politica commerciale degli Stati Uniti sul caffè è stato in gran parte imprevisto.

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  1. Savino

    C’è da dire che il dazio è sul transito ed il bene non deve essere necessariamente materia o produzione del Paese che tassa,

  2. Gentile Autrice,
    ma lei crede siano dazi? A me sembra che da un po’ di anni si stia dicendo sottotraccia che non siamo in grado di mantenere le produzioni massive di caffè, cacao, té e tabacco ed essendo questi prodotti nient’affatto essenziali per cibarsi si potrebbe anche farne a meno coltivando e allevando sulle superfici oggi destinate a loro.

    Una volta è un aumento, l’altra la moda delle tisane, l’altra quella dei succedanei, capsule delle macchinette domestiche “sino al 4% di caffè” incluse, una volta è una campagna “pro salute”, ma poco alla volta mi pare che si cerchi di far sparire queste monocolture e si cerca di far lo stesso anche con l’uva da vino.

    Sarebbe interessante approfondire questi aspetti, in particolare cosa si pensa di fare delle superfici oggi così coltivate, più che preoccuparsi di dazi che concretamente non interesseranno granché la popolazione, specie quella USA.

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