Se lo stato vuole svolgere il ruolo di attore economico deve farlo investendo risorse proprie, non pilotando attori privati, come invece è accaduto nell’operazione Mps-Mediobanca. Anche in Europa c’è un uso discrezionale delle regole sugli aiuti di stato.

La scalata su Mediobanca e Generali 

L’azione della procura di Milano ha riacceso i riflettori sulla scalata a Mediobanca da parte del Monte dei Paschi di Siena, conclusasi poche settimane fa. Naturalmente, occorre estrema cautela nel valutare i reati contestati ad alcuni dei protagonisti della vicenda: le informazioni a disposizione sono parziali, perché ricavate solo dalla lettura dei giornali. La sussistenza di ipotesi di reati verrà vagliata dalla magistratura con tutte le garanzie di contraddittorio di un processo penale. Fatta questa premessa doverosa, si può ugualmente tentare di cogliere alcuni aspetti interessanti.

La vicenda è nota e basteranno pochi tratti per rammentarla. L’antefatto è la cessione da parte del Tesoro del 15 per cento del capitale di Mps al Gruppo Caltagirone e a Delfin, cassaforte della famiglia Del Vecchio (cui si affiancarono Anima e Bpm). La cessione, però, venne svolta attraverso un procedimento accelerato (accelerated bookbuilding nel gergo tecnico) mediato dalla Banca Akros, controllata dalla stessa Bpm. Al procedimento accelerato (procedura per sua stessa natura poco trasparente) non vennero invitati altri soggetti potenzialmente interessati all’acquisto, come ad esempio UniCredit.

Successivamente, Mps lancia un’offerta pubblica di scambio sulle azioni di Mediobanca (concambio di 2,3 azioni Mediobanca per ogni azione Mps), la quale si è conclusa in settembre con un’adesione superiore all’86 per cento. Al termine dell’operazione, i soci che hanno aderito all’Ops sono divenuti a loro volta azionisti della banca controllante. Tra essi figurano anche Caltagirone e Delfin, i quali pertanto hanno ulteriormente aumentato la propria partecipazione in Monte dei Paschi. 

A valle di questa catena troviamo le assicurazioni Generali, in cui Mediobanca figura come azionista principale con il 13 per cento del capitale e che, secondo la stampa e la procura di Milano, rappresenterebbe il vero obiettivo dell’operazione. 

L’ipotesi della procura di Milano è che la cessione da parte del Tesoro della partecipazione in Mps e l’Ops su Mediobanca siano in realtà fasi di un’operazione concepita unitariamente, che mirava sin dal principio a consegnare il controllo di fatto su Generali al Gruppo Caltagirone e a Delfin, attraverso lo schermo di Mps e di Mediobanca.  

Le contestazioni della procura di Milano

Dalle indiscrezioni trapelate sulla stampa, i pubblici ministeri di Milano avrebbero contestato a Caltagirone e agli amministratori delegati di Delfin e di Mps i reati di aggiotaggio e ostacolo all’autorità di vigilanza, in estrema sintesi, per avere mantenuto occulta un’azione di concerto concepita da molto tempo e finalizzata a controllare Generali attraverso il controllo di Mps e di Mediobanca. Non si può entrare nel merito di queste accuse, anche se le voci che questi attori fossero interessati a Generali risalgono già a qualche anno fa

Ma un altro protagonista si staglia all’orizzonte: il ministero dell’Economia. Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, l’operazione sarebbe stata architettata proprio assieme al governo e al ministro dell’Economia, che mirerebbero a costruire un polo bancario e assicurativo nelle mani di un nucleo stabile italiano (e, secondo voci malevole, coerente con gli orientamenti dell’attuale maggioranza). 

Non vi sono, naturalmente, ipotesi di reato nei confronti di rappresentanti politici ed è bene ribadire che non può essere certo il diritto penale il grimaldello per smontare strategie di politica industriale o politiche tout court. Le ipotesi trapelate sui giornali, però, possono essere l’occasione per una riflessione più generale sul ruolo dello stato nell’economia.

Dallo stato imprenditore allo stato sensale

La reazione più immediata che queste notizie producono nei lettori è evidente: lo stato deve restare lontano dall’economia e dalle imprese private. Però, è una reazione immotivata ed eccessiva: a ben vedere, nell’operazione contestata lo stato si sta tenendo lontano dall’economia e dalle imprese, tanto che il presunto concerto ha origine proprio dalla vendita della partecipazione del Tesoro in Mps.

Qual è la ragione e l’obiettivo della vendita? Non si può dar credito all’idea che si tratti di mere connivenze occasionali tra personalità del governo e gli attori economici in campo. Viceversa, è molto più interessante l’idea che l’operazione rientri in una strategia industriale, che mira a consolidare un polo bancario e assicurativo nazionale, isolato dalle intemperie del mercato globale. 

Del resto, la storia industriale ed economica italiana si regge in larga misura sull’investimento pubblico e sul ruolo di holding pubblica svolto dall’Iri per molti decenni (e il legame personale e simbolico con Mediobanca, retta per anni dal genero di Alberto Beneduce, rivela questa strategia in maniera lampante). 

Dove sta la differenza allora? Semplice, proprio nel fatto che lo stato non sta investendo nell’economia, anzi disinveste affidandosi ai rapporti personali e di fiducia instaurati con alcuni imprenditori o manager, al fine di trasmettere – o sperare di farlo – impulsi di politica industriale o, almeno, per difendere dal mercato globale alcuni asset strategici. 

Qui sta il vero problema: se lo stato intende svolgere il ruolo di attore economico deve farlo investendo risorse proprie, non pilotando attori privati. Ma quella strada è ormai molto difficile, a causa dell’alto indebitamento del paese e dei vincoli di bilancio europei che tornano a stringere le capacità di spesa italiane. E questo, in un contesto in cui la Commissione, invece, sta pilotando gli investimenti degli stati membri che hanno capacità di spesa (in primo luogo la Germania) in settori ritenuti strategici, esentandoli dal divieto di aiuti di stato, secondo una procedura opaca e sottratta al controllo democratico dei cittadini. Di questo bisognerebbe parlare, non di altro.

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