La Corte dei conti ha bocciato la delibera Cipess sul progetto del ponte sullo Stretto di Messina. Il governo intende assegnare di nuovo l’appalto ai vincitori del bando 2004, senza una nuova gara. Ma è una violazione della direttiva europea “Appalti”.

Cambiamento di natura dell’appalto

La Corte dei conti ha negato il visto di legittimità alla delibera Cipess del 6 agosto 2025 di approvazione del progetto del ponte sullo Stretto di Messina. Come si è arrivati alla decisione? 

Il Dl 35/2023, che ha normato il ripristino dei contratti per il ponte sullo Stretto di Messina, ha modificato le modalità di finanziamento dell’investimento, passando da project financing a finanziamento pubblico. A giudizio della Corte dei conti questo è “element[o] fattual[e] (…) da cui discende la necessità di un nuovo confronto concorrenziale”; si tratta di “condizioni che, se fossero state contenute nella procedura d’appalto iniziale, avrebbero attratto ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione”. O, si può aggiungere, avrebbero alterato le offerte. Governo e società concessionaria Stretto di Messina (Sdm) sostengono che le nuove modalità di finanziamento non incidono sull’esito della gara, perché il general contractor non partecipa al finanziamento né alla ricerca dei finanziatori. 

Tuttavia, lo stesso governo ha affermato in audizione che: “nel caso di specie, [in cui] l’infrastruttura è finanziata integralmente da fondi pubblici, il Pef non è [più] strutturato per assicurare l’ammortamento del costo complessivo dell’investimento [e il] pedaggio [è] sprovvisto della sua funzione remunerativa del capitale, essendo configurato esclusivamente quale provvista finanziaria volta ad assicurare la sostenibilità della fase di gestione (…)”. L’assenza di obbligo di restituzione e remunerazione del capitale determina un sostanziale cambiamento delle opportunità di gestione dell’opera, con “modificazione, oggettiva e soggettiva, dell’originario programma contrattuale a favore dei soggetti aggiudicatori”, per cui l’operazione economica sottesa all’appalto “differisce adesso, in maniera significativa, da quella originaria”, integrando “i presupposti di cui al combinato disposto del paragrafo 1, lett. e) e del paragrafo 4 dell’art. 72 da cui discende la necessità di un nuovo confronto concorrenziale”. 

Le nuove modalità di finanziamento incidono dunque sul numero potenziale di partecipanti alla gara e sulla formulazione delle offerte, rendendo necessaria una nuova procedura.

Alterazione a posteriori di patti e documenti di gara

Ai fini della rivalutazione del costo dell’appalto, il contratto iniziale del 2006 stabiliva di riferirsi all’indice Istat dei prezzi per le famiglie degli operai e impiegati (Ifoi). Nel 2009 un atto aggiuntivo modificò il riferimento, indicando gli indici Istat del costo di costruzione di tronchi stradali su viadotto e in galleria. Ne derivò un sensibile vantaggio per il general contractor, attestato dal piano economico e finanziario 2009 che, applicando il nuovo criterio, rivaluta l’appalto del 39 per cento (da  3,88 miliardi a 4,97 miliardi di euro), con incremento dovuto per 665,3 milioni ad “Aggiornamento ex contratto affidamento” e per 424,6 milioni a “Maggiorazione ex accordo 2009”, come da tabella tratta dal documento.

Tabella 1

Il Dl 35/2023 modifica ancora il criterio, riferendolo al prezziario delle ferrovie. 

Queste alterazioni sono incompatibili con l’art. 72 della direttiva 2014/24/Ue (direttiva “Appalti”) che consente esclusivamente modifiche che siano “previste nei documenti di gara iniziali” (c. 1, lett. a).  E lo schema di contratto (con relative clausole di aggiornamento prezzi) era documento di gara, inviato ai concorrenti, che avevano formalmente attestato di averne tenuto conto nella formulazione dell’offerta.

L’eventuale osservazione che la direttiva Appalti non può applicarsi alle modifiche di contratto precedenti la sua entrava in vigore (2014) è ininfluente, perché il principio della illegittimità di alterazioni delle pattuizioni o dei documenti di gara vigeva anche prima della sua introduzione, come dimostra la sentenza 29 aprile 2004 della Corte di giustizia europea (C-496/99, “Succhi di frutta”).

Superamento della soglia di rincaro del 50 per cento

L’importo del contratto iniziale era 3,89 miliardi a prezzi 2003, da rivalutare come da contratto. La delibera Cipess del 6 agosto scorso indica un costo attuale complessivo di 13,54 miliardi, con contratto lievitato a 10,51 miliardi (+170,15 per cento). Secondo quanto afferma in una intervista al Diario Infrastrutture e Ambiente Costruito l’amministratore delegato di Sdm, Pietro Ciucci, il 9 dicembre, l’incremento risulta da “diversi tipi di indicizzazione”: 1) “quello contenuto nel bando di gara”; 2) “i costi per i materiali per le opere in galleria e in viadotto”; 3) “il prezziario delle ferrovie”, concludendo: “Per noi tutte e tre sono indicizzazioni e tutte e tre vanno considerate al denominatore con il valore di riferimento indicizzato”. 

Questa impostazione, che deriva dal Dl 35/2023 secondo cui: “il costo complessivo dell’opera [è] rideterminato sulla base del costo dell’opera indicato nell’Allegato Il della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza 2012” (art. 2, c. 8, l. c, n. 5), è incompatibile con l’art. 72, che indica tassativamente e ripetutamente il “contratto iniziale” come riferimento per ogni modifica di valore intervenuta dopo la conclusione della gara. La Nadef 2012 non può costituire base per il calcolo del 50 per cento ammesso di rincaro per tre ragioni: 1) non è un contratto, ma un documento unilaterale governativo; 2) la Nadef 2012 applicava illegittimamente il criterio “rinegoziato” e non quello originario del “contratto iniziale”; 3) l’incremento di valore includeva tre varianti per lavori non compresi nel contratto, come da scheda Silos n. 65 della Camera dei Deputati.

L’applicazione dei criteri stabiliti nel contratto iniziale ne accresce al 2011 il valore di 665,31 milioni, per un importo complessivo di 4,3 miliardi e un incremento del 17,1 per cento del valore iniziale, inclusivo del previsto aggiustamento per l’incremento di costo dei materiali. Dal 2011 al 2025 l’Ifoi è cresciuto del 26,6 per cento, mentre il prezzo dell’acciaio, dopo una lunga fase di stagnazione e moderata flessione (2011-2021) e un pronunciato picco nel 2021-2022, è tornato nel 2024 a livelli sostanzialmente equivalenti al 2011, per non discostarsene fino ad agosto 2025. Applicando i criteri di aggiornamento prezzi previsti dal contratto iniziale (indicizzazione all’Ifoi) il valore a oggi del contratto iniziale è 5,45 miliardi. Aggiungendo un margine prudenziale del 10 per cento a copertura del rincaro dei materiali, si perviene a un valore prossimo ai 6 miliardi. Rispetto a tale importo, il nuovo valore contrattuale indicato dalla delibera Cipess del 6 agosto 2025 (10.508.820.773,00 di euro) determina un aumento di circa il 75 per cento, ben superiore al limite del 50 per cento. Il massimo valore ammissibile per il contratto non dovrebbe superare l’importo di 9 miliardi.

In conclusione, il passaggio da project financing a finanziamento pubblico e l’alterazione a posteriori di documenti di gara costituiscono “modifica sostanziale” dell’appalto, obbligando a nuova gara. Inoltre, l’incremento di costo del contratto eccede abbondantemente il limite di incremento ammissibile del 50 per cento e le norme adottate per il ripristino dei contratti sono (anche per ulteriori motivi) in contrasto con la disciplina europea. L’ipotesi di non rinnovare la competizione e alcuni aspetti della stessa normativa “speciale” per il ponte sembrano incompatibili col diritto europeo in materia di appalti.

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