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Autorità dei trasporti: qui comanda la politica

Il processo di costituzione della nuova Autorità dei trasporti ha compiuto un passo decisivo, ma si sono riproposti i tradizionali metodi “all’italiana” nella designazione dei vertici delle autorità indipendenti; sono metodi poco idonei per ottimizzare le scelte, e che per questo andrebbero rivisti.
CRITERIO MERITOCRATICO E QUALITÀ DELLE NOMINE
Alla fine del 2012 nell’annunciare alla Camera dei comuni la designazione del canadese Mark Carney a nuovo governatore della Banca d’Inghilterra, il cancelliere dello scacchiere dichiarò che ci si era assicurati la persona che serviva, ossia la migliore rispetto al compito. La dichiarazione era retorica: ma di una retorica che non era in contrasto con la sostanza della decisione, che di per sé rispecchiava l’adesione a un criterio meritocratico di valutazione e selezione.
In Italia, una simile retorica rispetto alle nomine alle posizioni di vertice nelle organizzazioni e aziende pubbliche suonerebbe fuori di luogo – e del resto non la si è mai sentita – perché la sottostante adesione a un criterio meritocratico (magari da attuarsi mediante il ricorso a un beauty contest) è estranea alle tradizioni italiane. Questo produce designazioni di qualità molto variabile. Ne è un  nuovo esempio la vicenda della designazione del consiglio  dell’Autorità di regolazione dei trasporti (Art).
La vicenda precedente è stata ricostruita e discussa variamente (e criticamente), anche su lavoce.info e dunque ci si può limitare a considerare il passaggio più recente, quale si è prodotto con la deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro delle Infrastrutture, relativamente ai nominativi del presidente e dei due componenti dell’Art (1), e poi con il parere favorevole espresso su quei nominativi dalle commissioni parlamentari competenti. (2)
METODI DI NOMINA
Considerata anche solo in superficie, la composizione del vertice dell’Art presenta aspetti singolari. Per un verso, le tre designazioni riguardano professionalità che, maturate nell’industria e presso l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (i cui compiti sono largamente di sorveglianza sull’applicazione della normativa), nella burocrazia pubblica e nella politica attiva, non sembrano essere le più funzionali allo svolgimento, con indipendenza e autonomia, di un’attività di regolazione economica di industrie caratterizzate da investimenti consistenti e presenza di potere di mercato. Per un altro verso, mancano le competenze più utili nella regolazione, quelle di economia, diritto e ingegneria (forse la seconda ancor più delle altre, dati i risvolti giuridici e i rischi di contenzioso giudiziario che la regolazione comporta). Non è singolare, anche se discutibile, sempre dal punto di vista dell’indipendenza e autonomia dell’autorità, che le tre designazioni siano riportabili a una logica di spartizione politica, tra i tre partiti che sostengono il governo in carica.
Il presidente della commissione trasporti della Camera aveva dichiarato, in risposta alle obiezioni apparse sulla stampa, che “la commissione [..] procederà rigorosamente alle audizioni dei candidati proposti. In quella sede valuteremo i profili, i curricula e le competenze. Solo dopo procederemo al voto”. (3)  Ma dai resoconti dei lavori delle commissioni risulta chiaro che, alla fine, sul proposito di valutare rigorosamente le designazioni, è prevalso il desiderio di non frapporre ritardi alla costituzione dell’Art. (4)
Guardando, più in profondità, alle circostanze, normative e di comportamento politico, che hanno condotto alle nomine, si vede operante un metodo inadatto a garantire la qualità dei risultati.
Il primum mobile sta nelle disposizioni di legge che presiedono alla nomina dei componenti delle autorità: la nomina avviene con una procedura che prevede una designazione del Governo, su proposta del ministro interessato, e un parere favorevole obbligatorio delle commissioni parlamentari; i componenti inoltre devono essere “scelti fra persone dotate di alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore”. (5)
La prima condizione, chiamando in causa momenti diversi di decisione collettiva, comporta trattative e scambi (e, plausibilmente, vulnerabilità all’azione delle lobby), e si traduce alla fine in diluizione delle responsabilità e anonimità delle scelte; la seconda, a sua volta, è allo stesso tempo troppo e troppo poco restrittiva nell’indicazione dei requisiti soggettivi. È troppo restrittiva nel chiedere il possesso di professionalità e competenza settoriale, quando ciò che veramente serve è una familiarità con i problemi e metodi della regolazione. Ed è troppo poco selettiva in virtù del criterio “dell’alta e riconosciuta professionalità e competenza”, che individua un campo esteso di potenziali candidati, tanto più se interpretata latamente, com’è nelle abitudini italiane.
Su questo metodo si innestano poi tradizionali abitudini di comportamento politico: la vicinanza di posizione politica (e magari la conoscenza personale, diretta o indiretta) tende a essere circostanza molto influente nella determinazione delle nomine, mentre la scarsa pubblicità di atti e motivi indebolisce le possibilità del controllo e condizionamento sociale (da parte di opinione pubblica, mezzi di stampa, esperti, think tanks). Per il primo punto, non c’è soltanto l’indicazione proveniente dal dato della spartizione politica; c’è anche la renitenza a designare esperti e tecnici provenienti da organismi europei, o studiosi, ricercatori e consulenti operanti presso università, centri di ricerca e aziende estere (tre categorie, tra l’altro, che vedono una forte presenza italiana). Per il secondo punto, non c’è l’uso di motivare le scelte e neppure quello di produrre, a loro sostegno, almeno i curricula dei prescelti.
Queste considerazioni portano a una principale conclusione: occorrerebbe modificare le procedure di designazione dei componenti delle autorità indipendenti. In primo luogo, concentrando le responsabilità delle nomine (per esempio in capo al solo ministro settorialmente competente), e introducendo stringenti obblighi di pubblicità su criteri, procedimenti e motivazioni di valutazione e nomina.
Nel frattempo, per quanto riguarda l’Art, ci sarà presto occasione di giudicarne in concreto, per le decisioni che prenderà: trovando essa, come lascito del passato, un’industria dei trasporti molto malamente regolata, ed essendoci quindi numerose esigenze e problemi di intervento.
(1) Deliberazione del 12 luglio 2013; comunicato-stampa della presidenza del consiglio n. 14 della stessa data.
(2) Decisioni in: http://www.camera.it/leg17/360?slAnnoMese=201307&slGiorno=31&shadow_organo_parlamentare=2083 ehttp://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=709841
(3) V. Santarpia, “Autorità dei trasporti, il governo ci riprova”, Corriere della sera, 13 luglio 2013.
(4) Rendiconti in: http://www.camera.it/leg17/360?slAnnoMese=201307&slGiorno=30&shadow_organo_parlamentare=2083
e http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=709841
(5) Legge 14 novembre 1995, n. 481, art. 2, commi 7 e 8.

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  1. Alberto Isoardo

    Spesso? Sono sempre nomine di dirigenti, funzionari, militari ai quali oltre alle pensioni d’oro paghiamo così altre indennità. È un sistema vergognoso che, tra l’altro, la legge proibisce imponendo tempi minimi di inattività , ma ciò nonostante queste pratiche sono comunissime.

  2. Stefano

    Per nessuna delle Autorità di regolamentazione, denominate “indipendenti” con una forse involontaria ironia, la competenza è mai stata un criterio di un qualche valore.
    Basta vedere all’autorità per la protezione dei dati personali, che ha un presidente che non ha i requisiti di legge per far parte della commissione. Con il doppio risultato che la composizione della stessa non è conforme al dettato legislativo che la istituisce.
    L’autorità per le garanzie nelle comunicazioni per esempio ha sempre avuto come criterio di composizione quello del controllo incrociato sulla comunicazione televisiva (la vicenda del commissario Innocenzi è solo la punta dell’iceberg), mentre sulle reti di telecomunicazione, e internet in particolare, ossia la parte più innovativa e in evoluzione, l’ignoranza regna sovrana.
    Nell’attuale commissione l’unico con un minimo di competenza è stato dipendente, dirigente, consulente e consigliere di amministrazione della principale società controllata. Possiamo contare su un po’ di indipendenza perchè non ha ancora digerito il fatto di non esserne diventato presidente.
    Verrebbe quasi da dire ai nostri politici: se non siete capaci, almeno state fermi, fate meno danni.

  3. giulioPolemico

    Ma il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che ci sta a fare? I suoi impiegati, che li paghiamo a fare?

  4. GFM

    Occorrerebbe comprendere le ragioni che determinano tali estreme divergenze comportamentali fra il nostro paese ed alcuni altri.
    Mi sembra di poter dire che, in linea di principio, un solido ed indipendente sistema informativo (ovvero di controllo) costituisca un incentivo alla produzione di comportamenti auspicabili in termini del perseguimento della meritocrazia ed i benefici che essa puo’ portare alla collettivita’ (anche in situazioni di limitata trasparenza). Tuttavia, e’ pur vero che tali sistemi informativi tendono ad inseguire leggi di mercato, secondo le quali notizie relative a nomine di enti tutto sommatto poco conosciuti sarebbero probabilmente ritenute scarsamente appetibili per il pubblico.
    Ma, limitandosi a nomine di enti importanti, immaginerei che la funzione di controllo di un sistema informativo libero possa senz’altro incentivare comportamenti meritocratici.
    Sul caso de Regno Unito c’e’ da chiedersi se il sistema informativo autoctono, tutto sommato libero, sia la causa oppure l’effetto di una cultura generlamente meritocratica. E se ne fosse l’effetto allora sarebbe interessante individuare gli incentivi che quel sistema sociale ha saputo sviluppare nel tempo al fine di innescare meccanismi meritocratici.
    Osservando da lontano a me pare che quando si insegue la meritocrazia in Italia, lo si faccia a colpi di decreti (scritti peraltro da individui non meritocraticamente scelti e dunque privi dell’esperienza diretta quantomeno auspicabile se non addirittura necessaria, ma anche privi delgi incentivi necessari), ignorando (o facendo finta di ignorare) che il cambiamento andrebbe eventualmente prodotto a livello sociale “bottom-up” e non certo con imposizioni “top-down” che inevitabilmente finiscono per assumere connotati grotteschi quando applicate proprio da quei personaggi che devono alla macanza di meritocrazia le loro fortune ed il potere che da essa ne deriva.
    GFM

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