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Cosa ci sarà al posto delle province?

Il Ddl di riforma dell’amministrazione locale è lontano dagli obiettivi di semplificazione e razionalizzazione che dovrebbe perseguire. L’assetto istituzionale appare frammentato, mentre non c’è chiarezza sulle funzioni attribuite a ciascun ente. Alla fine anche le province potrebbero rinascere.

COME CAMBIA L’AMMINISTRAZIONE LOCALE
Due tipi di città metropolitane, due tipi di unioni di comuni, province depotenziate e un intrico di competenze e funzioni ad assetto variabile e imprevedibile.
Il quadro di insieme del disegno di legge di riforma dell’amministrazione locale presentato dal ministro Graziano Delrio è quanto meno complicato, in ogni caso abbastanza distante dal cogliere gli obiettivi di semplificazione e razionalizzazione che pure si vorrebbero perseguire.
L’assetto istituzionale è quanto mai frammentato. Le città metropolitane che sorgeranno subentreranno e assorbiranno totalmente le province. Si profila, così, un primo modello di ente locale, caratterizzato dalla commistione delle competenze proprie del comune e delle province, con diverse attribuzioni di funzioni in più, prevalentemente connesse alla valorizzazione delle infrastrutture e delle relazioni addirittura internazionali.
Ma nell’ambito territoriale delle città metropolitane potrebbero risorgere delle vere e proprie province: infatti, si dà modo ai comuni che non intendono aderire alla città metropolitana di costituire province ex novo, più piccole, che avranno le medesime competenze limitate di tutte le altre. Le province “depotenziate” limiteranno le loro funzioni di base a pianificazione territoriale di coordinamento, tutela e valorizzazione dell’ambiente, servizi di trasporto, autorizzazione e controllo del trasporto privato, costruzione classificazione e gestione delle strade, programmazione provinciale della rete scolastica. E, tuttavia, l’intrico delle competenze è molto più complesso.
Poi, le unioni di comuni. Un primo tipo è composto dalle unioni “ordinarie”, regolate dal testo unico degli enti locali, delle quali possono far parte tutti i comuni di ogni dimensione demografica. Vi saranno anche le unioni di comuni “obbligatorie”, che debbono necessariamente essere costituite dai comuni con meno di 5mila abitanti (o meno di 3mila, se abbiano fatto parte di comunità montane).
L’elencazione delle nuove forme di ente locale non è comunque finita, perché il disegno di legge prevede uno status particolare per la città metropolitana di Roma Capitale.
LE FUNZIONI DELLE CITTÀ METROPOLITANE
Letta dal lato della gestione delle funzioni, la riforma appare ancora più complessa.
Le città metropolitane svolgerebbero contemporaneamente le funzioni del comune; funzioni delle province; nuove funzioni proprie della città metropolitana.
All’interno del territorio della città metropolitana, però, può aversi una quarta forma organizzativa: il conferimento ai comuni o alle unioni di comuni di alcune funzioni (con contestuale assegnazione di risorse); tale conferimento può avvenire in forma differenziata, creando ulteriori sotto tipologie di modalità gestionale.
Non solo: i comuni che ne fanno parte potranno, a loro volta, attribuire alla città metropolitana proprie competenze, sempre trasferendo le risorse.
Ancora, le città metropolitane potrebbero creare proprie articolazioni interne: delle specie di sub-città metropolitane, con propri organismi di coordinamento.
Infine, Stato e Regioni possono assegnare alle città metropolitane ulteriori funzioni, in applicazione del principio di sussidiarietà fissato dall’articolo 118 della Costituzione.
Le province residue svolgerebbero poche funzioni “proprie”. Tuttavia, Regioni e comuni potrebbero decidere di attribuire loro le competenze, prima provinciali, che avessero acquisito al loro posto, mediante una specifica delega. Quindi, anche per le province la definizione del lotto di funzioni da gestire risulterebbe molto incerta e variabile di Regione in Regione.
Per altro, il Ddl presentato dal ministro Delrio ripresenta il medesimo problema interpretativo posto dal decreto “salva Italia” e rimasto irrisolto: stabilisce che con legge dello Stato passeranno ai comuni o alle unioni di comuni (senza però indicare sulla base di quali criteri assegnarle agli uni o alle altre) le funzioni che vennero a suo tempo attribuite alle province con legge statale. Invece, saranno leggi regionali ad assegnare a comuni o unioni di comuni le funzioni provinciali a suo tempo assegnate con leggi regionali. Poiché non risulta ancora a oggi noto quali siano tali funzioni, il Ddl, esattamente come la manovra del Governo Monti, rinvia a un futuro Dpcm l’elenco delle diverse funzioni: nella precedente legislatura, quel Dpcm non vide mai la luce.
A rendere ulteriormente multiforme il quadro delle competenze, c’è il fatto che le Regioni potranno decidere di svolgere direttamente alcune funzioni provinciali.
E I RISPARMI?
Il disegno di legge consegnerebbe un nuovo ordinamento locale nel quale per cittadini, imprese e le stesse amministrazioni risulterebbe estremamente complicato capire chi farebbe cosa. Da un territorio all’altro i soggetti competenti e le funzioni svolte potrebbero variare moltissimo. Per avviare una pratica, occorrerebbe una complessa preistruttoria, finalizzata a capire con certezza quale sarebbe l’ente preposto a gestirla. Il rischio di giri di valzer kafkiani appare evidente.
L’eliminazione delle province dovrebbe essere occasione di maggiore linearità del sistema. E il Ddl, se dovesse mantenere questa impostazione, appare un’occasione mancata. È fondamentale che, abolite le province, si stabilisca con certezza e chiarezza quale ente subentri: la scelta di puntare sui comuni o le unioni di comuni appare asfittica, in quanto i confini delle mura cittadine sono di per sé inidonei alla gestione di funzioni di “area vasta”.
Un’ultima annotazione riguarda i risparmi. Il disegno di legge non li quantifica, riproponendo la questione di quanto la manovra sulle province contribuisca al risanamento dei conti pubblici. Poiché le cariche di città metropolitane, province e unioni di comuni sarebbero gratuite, l’unico risparmio certamente quantificabile è la cifra dei 104,7 milioni che oggi le province spendono per indennità e gettoni di presenza.

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12 commenti

  1. Antonio Nieddu

    L’articolo centra il problema in pieno. E dimostra l’incompetenza di chi sta sempre a riproporre questo come rimedio ai mali dell’Italia. E la conclusione (che è ciò che ci interessa in definitiva) è correttissima: l’unico risparmio sarebbero solo i gettoni degli amministratori (che non è poco, ma è meno di quanto si pensi).

  2. Piero

    I provvedimenti di Monti devono subito essere eliminati per salvare l’Italia.

  3. alessandro

    Eliminare le provincie è un grave errore! la provincia è l’entità locale, sia per dimensioni che per senso di appartenenza della popolazione, più sensata e riconosciuta (quando si va all’estero e ti chiedono di dove sei, tutti rispondono con il nome della provincia). La vera riforma degli enti locali è quella della eliminazione delle regioni, entità locali incomplete e spesso in conflitto con lo stato, quindi centralizziamo a livello statale alcune funzioni vitali (es. sanità che è l’area più fuori controllo, sia sui costi che sull’efficienza; oppure la qualifica degli alberghi attualmente regionale ed anarchica, ecc.) e decentralizziamo alle provincie le altre funzioni di importanza locale. Eliminiamo il comune quale entità elettiva e trasformiamolo in municipio quale organo di gestione amministrativo/tecnica del territorio (es. anagrafe, ecc.) , struttura decentrata della provincia. Quindi basta con nuove idee di città metropolitane e unioni di comuni che servono solo a generare ulteriori costi e confusione, come giustamente rilevato nell’articolo. La soluzione esiste già solo che i nostri complicati demagoghi non la vedono: rafforziamo le provincie! Figuriamoci poi se i nostri sindaci “superstar mediatiche” saranno disposti a fare un passo indietro!

  4. Francesco Lavezzi

    Gent.mo dott Oliveri,
    i miei complimenti per la sintesi efficace e chiara sul tema Province. Le lascio il link ad un pezzo che ho inviato ad un collega giornalista di Ferrara, nel quale scrivo compiutamente ciò che penso della questione (se può essere di interesse): http://posta.libero.it/cp/WindMailPS.jsp?rndPrx=1183200064
    Cordialmente.
    Francesco Lavezzi

  5. Pino Fattori

    Il problema Italia, è che si pone il focus sempre, o quasi sempre, volutamente, sul problema sbagliato, per dettare in tal modo l agenda che si vuole o che si può affrontare.
    L’abolizione delle province è un tema che la politica è disposta a trattare per accontentare il malcontento popolare vs il sistema, visto che gli costerebbe solo qualche gettone, vs un ritorno di immagine significativo.
    “Abolire province per poi fare due tipi di città metropolitane, due tipi di unione dei comuni, province depotenziate, e un intrico di competenze e funzioni ad assetto variabile e imprevedibile”, quando la soluzione è paradossalmente il problema, ovvero il mantenimento delle province e l’abolizione dei comuni, con i dovuti aggiustamenti del caso, ove necessari e indispensabili.
    Ma forse, volendo parafrasare A. Einstein, è solo l’ idea di uno sprovveduto……

  6. pitocco

    CRedo che il problema delle provincie non verrà mai risolto in toto. Il primo punto è la voce di spesa del personale che, a quanto pare, verrà riassorbito in altre mansioni (quali siano non si sa), la spesa in questo senso rimarrà tale, e non è poca cosa. Per ciò che riguarda le mansioni delegate la questione si fa estremamente nebulosa, non si sa chi farà cosa e questo è la chiave di volta dell’intero sistema parassitario. E’ evidente pertanto, dal mio punto di vista, che non c’è la volontà del cambiamente se non quella melliflua e diabolica di soggiogare ancora una volta la popolazione italiana.

  7. giulioPolemico

    Il problema non sono solo le Province (eliminandole si avrebbe un livello in meno di tangenti nei lavori pubblici, e un livello in meno di burocrazia (oltretutto spesso conflittuale con gli altri livelli della PA), quindi un risparmio ci sarebbe) ma l’impossibilità a licenziare i loro dipendenti, essendo il cadreghino statale sacro e inviolabile. …licenziamenti che invece nel privato (soprattutto “piccolo”) avvengono, con le buone o con le cattive…

    • pitocco

      Per licenziare il pubblico, come avviene nel privato, serve una legge. Vuoi tu che il parassita promulghi una legge che va contro i suoi interessi? Teniamo presente che dai 3,4 milioni di impiegati pubblici quelli che hanno un maggior guadagno senza muovere foglia sono i sindacati tutti, da destra a sinistra.

  8. Mario

    In italia il PIl è di circa 1600 MLD le tasse al 50% tirano fuori 800 MLD dalle tasche di chi produce, ma proviamo a fare 2 conti: 4 mil di dipendenti con un costo medio di 40000 €/anno (dico poco) fanno 200 MLD/anno, 500000 persone dietro alla politica per un costo medio (per difetto) di circa 50000 €/anno fanno 25 MLD, 15 mil di pensionati per un costo medio di 15000 €/anno fanno 225 MLD/anno, 15 MLD/anno il costo della sola politica. Alla fine solo di stipendi la PA paga 465MLD/anno malcontati. Mettiamoci poi i costi degli edifici, degli affitti, della corruzione ecc, ecc, noi non abbiamo mai avuto un bilancio in pareggio penso dal famoso bilancio del 1875 o giù di lì. Allora mi chiedo come si vuole risolvere il problema senza portare le tasse al 100% del PIL che forse basterebbe per andare in attivo, ma c’è un problema! Sottrarre denaro ai profitti della produttività vuol dire togliere la possibilità di continuare ad essere produttivi e si ottiene fatalmente che più si aumentano le tasse più calano le entrate fiscali fino al collasso definitivo. Mi meraviglio che ancora questo paese stia in piedi!!!!!

    • Luigi Oliveri

      Complessivamente, il costo dei dipendenti pubblici ammonta a 163 miliardi (dati del Conto annuale del Tesoro). Il costo del personale politico. Il personale delle province costa 2,3 miliardi; gli organi di governo 104,7 milioni.

  9. Paolo

    Lo sapete che le Province hanno in tutto 51.000 dipendenti su 3.500.000 circa di dipendenti pubblici (insegnanti, forze dell’ordine, pompieri, serizio sanitario, ecc.)? E gli amministratori degli enti che vanno a sostituire le Province lo faranno a titolo gratuito?

  10. Mario Donnini

    si può fare cambiandogli nome. Del resto facciamo le guerre chiamandole “di Pace”.

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