Banca d’Italia ha deciso di affrontare il nodo irrisolto delle quote delle banche nell’istituto di via Nazionale. Ma non è il momento propizio: il rischio è che si crei un’alleanza tra istituti bancari privati e governo per arrivare a una rivalutazione insensata.
LA STORIA DELLE QUOTE
A giorni la commissione di esperti incaricati di valutare il patrimonio di Banca d’Italia consegnerà il suo rapporto al governatore Ignazio Visco. Ma i principali protagonisti della cosiddetta Cabina di Regia hanno già fatto i loro calcoli e contano su questa operazione per finanziare nuove spese o riduzioni di tasse senza coperture. Vediamo prima di cosa si tratta e poi perché è un’operazione molto pericolosa, in cui le banche che detengono quote di Banca d’Italia e il Governo possono colludere ai danni dei contribuenti.
Le banche italiane che un tempo facevano parte del settore pubblico allargato detengono ancora il 94,33 per cento del capitale di Banca d’Italia. Solo il 5 per cento è proprietà di enti pubblici come Inps e Inail. È un retaggio del passato, che risale all’epoca delle banche d’interesse nazionale. Per quanto non abbiano mai consentito a queste banche, poi divenute private, la benché minima possibilità di incidere sugli indirizzi di vigilanza, né su qualsiasi altro aspetto dell’attività della Banca d’Italia, sarebbe opportuno, prima o poi, trasferire le quote ad enti pubblici oppure a una fondazione creata ad hoc, come in Francia. Del resto è lo stesso statuto di via Nazionale a contemplare che la Banca debba essere di proprietà pubblica. Ed è difficilmente immaginabile una banca nazionale posseduta da soggetti privati stranieri, quali sono già alcuni istituti bancari che detengono le quote e, presumibilmente, altri ancora lo saranno alla luce dei processi di aggregazione in atto a livello continentale dopo la crisi. Ma a che prezzo si può organizzare il trasferimento?
QUANTO VALE BANCA D’ITALIA?
A metà settembre è stata insediata una commissione di esperti con il compito di valutare il patrimonio di Banca d’Italia. Il problema è che non è chiaro come si possa valutare una banca centrale, il cui valore è solo nozionale. Al tempo stesso, gli interessi coinvolti nella rivalutazione sono molto forti e spingono nella direzione di far pagare un conto assai salato ai futuri contribuenti per soddisfare interessi di breve periodo.
Prima di analizzare gli interessi in campo, bene vedere quali siano i parametri oggettivi cui è possibile ancorare una qualche valutazione di via Nazionale. Il capitale nominale della Banca d’Italia è fissato al livello simbolico di 156mila euro, suddiviso in 300mila quote del valore di 0,52 euro ciascuna. Le banche, tuttavia, hanno iscritto nei loro bilanci valori molto superiori oltre che molto difformi tra di loro: la valutazione di una singola quota varia da 41,3 euro per Banca Carige, a 5.380 per Banca Intesa (che è il principale azionista detenendo il 26,8 per cento del capitale) a 13.781 euro per Bnl. Moltiplicando questi valori difformi per il numero di quote possedute da ogni banca si giunge a valutare il patrimonio di Banca d’Italia in circa un miliardo.
Una valutazione non dissimile la si ottiene a partire dai rendimenti che le banche ottengono dalle partecipazioni. Il dividendo che la Banca paga ogni anno ai detentori delle quote non può, per statuto, eccedere il 4 per cento delle riserve dell’anno precedente. In pratica i dividendi vengono fissati come percentuale del capitale. Negli ultimi quindici anni sono stati distribuiti in media circa 156 euro a quota (l’1 per mille del capitale nominale) per un totale di circa 46,5 milioni all’anno. Si tratta, inutile sottolinearlo, solo di una parte dell’utile netto di via Nazionale, che viene in gran parte destinato all’incremento delle riserve.
In ogni caso, il dividendo rappresenta la redditività attuale dell’asset per i detentori delle quote di partecipazione. Il valore economico delle quote, come in un titolo che dà una rendita annua perpetua di 156 euro è di poco più di 3mila euro, ipotizzando un tasso di interesse, del 5 per cento. Ciò significa che il valore complessivo delle 300mila quote è di poco superiore ai 980 milioni. Insomma, siamo sempre vicini a un miliardo di euro. Con un tasso di interesse più basso, poniamo al 3 per cento in virtù del basso grado di rischio legato a questa partecipazione, si potrebbe arrivare fino a un miliardo e mezzo, non di più.
C’è chi sostiene che le quote di Banca d’Italia dovrebbero anche tenere conto del signoraggio, i redditi derivanti dall’emissione di moneta, ma non ha alcun senso che questi redditi da monopolio vengano trasferiti ad enti privati.
L’ASSOCIAZIONE A DELINQUERE
Sono in molti al Governo a contare sui risultati di questa rivalutazione per trovare nuove coperture fantasiose ai tagli dell’Imu o alla cancellazione dell’aumento dell’Iva. Se le banche realizzassero una plusvalenza in conto capitale con questa rivalutazione, le tasse su questi capital gain fornirebbero, infatti, entrate aggiuntive allo Stato. Secondo Renato Brunetta, si veda l’intervista al Sole-24Ore, “non ci vuole grande fantasia per stabilire quanto vale Banca d’Italia. Tutti i numeri sono, infatti, iscritti a bilancio”. In una precedente intervista al Corriere della Sera aveva parlato di 4-5 miliardi che verrebbero recuperati tassando i capital gain delle banche. Con una tassazione dei capital gain al 20 per cento e partecipazioni oggi iscritte al bilancio delle banche per circa un miliardo, si possono ottenere 4-5 miliardi solo valutando il patrimonio della Banca tra i 21 e i 26 miliardi.
Una rivalutazione così cospicua e priva di qualsiasi base oggettiva farebbe ovviamente contente le banche, che vedrebbero rafforzarsi notevolmente la loro posizione patrimoniale, senza colpo ferire. Certo non riceverebbero capitale liquido, ma potrebbero avvicinarsi a soddisfare i requisiti di capitale imposti nell’ambito di Basilea 2 e richiesti dalle nuove autorità di supervisione europee. E, come si è detto, farebbe contento anche il Tesoro, che riceverebbe 4-5 miliardi da chi, per una volta, non protesta affatto pagando delle tasse.
Si è così creata una specie di associazione a delinquere che rischia di far passare in secondo piano anche il lavoro del gruppo di esperti. Il problema è che questa rivalutazione collusiva lascia un’eredità pesantissima sui contribuenti futuri, perché dovranno d’ora in poi pagare per il tramite di Banca d’Italia dividendi più alti agli istituti di credito privati. Mantenendo l’attuale riparto a un millesimo delle quote, i dividendi distribuiti salirebbero a circa un miliardo all’anno rispetto ai 45 milioni attuali. Inoltre, prima o poi, la banca centrale, quindi tutti noi, dovranno ricomprarsi le quote a prezzi che sono stati artatamente gonfiati per esigenze di breve periodo. Le generazioni future, che hanno già sulle spalle il fardello di un debito pubblico al 130 per cento del Pil, non meritano davvero di ritrovarsi anche un ulteriore punto di pil da pagare in eredità.
Banca d’Italia, per quanto sia molto ben rappresentata nel Governo Letta, non sembra essere molto influente, almeno a giudicare dai tanti provvedimenti da esecutivo balneare sin qui adottati dall’esecutivo, dalle accise sulla benzina, alle tasse sui giochi e le sigarette, alle coperture fantasiose trovate per la prima rata dell’Imu e, in cauda venenum, alla decisione di destinare, con la manovrina appena varata, le entrate dalla vendita di immobili pubblici alla riduzione del deficit (anziché all’abbattimento del debito). Via Nazionale perciò farebbe bene a rimandare i suoi piani: non c’è fretta per fare la rivalutazione: il momento non ci sembra affatto propizio.
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Enrico
Una domanda all’autore (ho provato a cercare ulteriore materiale, ma la materia non è di immediata comprensione a chi non è “del mestiere”):
le banche che detengono queste quote non hanno davvero nessun potere di intervento nelle attività della Banca d’Italia, come citato nell’articolo?
Si è parlato molto di operazioni bancarie / appoggi bancari / coinvolgimenti bancari in vari casi nefasti del passato e, come cittadino, non ho mai sentito levarsi la Banca d’Italia contro i gruppi bancari coinvolti (ovviamente *prima* che scoppiassero gli scandali).
Grazie in anticipo
Antonio Nieddu
Bello e interessante articolo che dimostra, se ce ne fosse ancora la necessità, l’ottusità maligna della nostra classe politica. Ottusità perchè non si vede (o almeno si fa finta che sia così) al di là del proprio naso; maligna perchè volta sempre a danneggiare qualcuno pur di rimanere a galla. E il professor Brunetta si rivela sempre particolarmente “maestro” in questo genere di operazioni (De Andrè aveva particolarmente ragione).
Tullio
Una piccola precisazione. Per la remunerazione ai partecipanti lo statuto sancisce all’art 39 che” sono distribuiti dividendi per un importo fino al 6% del capitale” e che “può essere distribuito ai partecipanti, ad integrazione del dividendo, un ulteriore importo non eccedente il 4% del capitale”. Si tratta di 18 più 12 milioni delle defunte lire, mentre il successivo articolo prevede che “dai frutti annualmente percepiti sugli investimenti delle riserve,può essere… prelevata e distribuita ai partecipanti, in aggiunta a quanto previsto dall’art. 39, una somma non superiore al 4% dell’importo delle riserve medesime, quali risultano dal bilancio dell’esercizio precedente.”
Può forse essere di un certo interesse osservare che da percentuali pari allo 0,1% del 1990 (2,5 miliardi di lire) si è passati nel 1999 allo 0,55% (76 miliardi di lire) per tornare poi allo 0,5% applicato anche nell’ultimo anno (70 milioni di euro – il confronto in termini reali lo tralascio per carità di patria).
Guest
“Mantenendo l’attuale riparto a un millesimo delle quote, i dividendi distribuiti salirebbero a circa un miliardo all’anno rispetto ai 45 milioni attuali”.Mi spiace, ma non riesco a comprendere il senso di questo passaggio: qualcuno mi può aiutare?
Marianna
Grazie all’economista Tito Boeri per il lessico ,che mi ha ispirato un disegno e una definizione .
Angelo Falchetti
Sicuramente nella visione miope dell’operazione c’è anche l’idea di mettere una pezza al patrimonio di INPS che ne ha il 5%!
BTW
Facciamo una proposta: ok rivalutazione, ma prima chi ha più del 5% cede eccedenza pro-quota allo Stato il 50% del totale ma al nominale! Costo 75mila€. Così torniamo un paese normale (come tutti gli altri) che controlla la sua banca centrale.
alessia degano
“L’eredità pesantissima sui contribuenti futuri che dovranno pagare per il tramite di banca d’italia dividendi più alti agli istituti di credito privati” si intende che banca d’italia dovrà sborsare più denaro alle banche per i dividendi di quote rivalutate. In che modo sono coinvolti i contribuenti?
ago.manni
Stavolta sono proprio d’accordo con lei, anche nella terminologia impiegata per definire gli autori di questo scempio. Ora che bisognerebbe fare? Poiché la battaglia è stata grande e anche il clamore suscitato è arrivato all’opinione pubblica, ci vorrebbe adesso qualcuno che minacciasse tutti i ricorsi possibili, in tutte le sedi, europee ed extra europee diffidando i beneficiari di questo furto con destrezza che tale legge verrà prima o poi abrogata e che gli effetti ricadranno su chi ora approfitta della refurtiva. Tenere alto lo scontro perché è un furto a danno di tutti gli italiani. Coinvolgere quelle forze parlamentari che sono contrarie a ripresentare a raffica proposte di legge abrogativa e tenere alta l’attenzione. Cosicché chi ora riceve il bottino sappia che lo dovrà restituire. Proporre un disegno di legge che dilazioni il termine per compiere l’operazione di 1 o 2 anni, in attesa delle conformità internazionali che verranno richieste. Poi sollevare questioni alla Corte dei Conti e a quella Costituzionale. Si troverà pure nei nostri codici qualche cavillo che impedisca operazioni di sperpero del patrimonio pubblico!
ago.manni
Neanche a farlo apposta: guarda qui cosa sta succedendo. Per fortuna non tutti stanno a dormire in Italia. http://www.wallstreetitalia.com/article/1662908/banche/rivalutazione-quote-bankitalia-denunce-a-130-procure.aspx
Piero
Boeri ha ragione: è come un gioco delle tre carte, ma in questo momento a mio avviso è un provvedimento necessario: se non viene aumentato il patrimonio delle banche, saranno costrette alla diminuzione dei loro attivi, si avrà una forte diminuzione del credito, che le imprese oggi non si possono permettere. Ricordo a tutti che con l’euro e con l’unione bancaria non abbiamo più il controllo della moneta e in questo momento il danno più grave per l’Italia è il credit crunch, ogni giorno muore un pezzo dell’economia Italia ( si sta uccidendo un pezzo di economia), ben venga una manovra che va nel verso contrario. Altro conto è che la Banca d’Italia dovrebbe essere dello stato, è sufficiente che lo stato acquisti le quote rivalutate, abbiamo liquidità per le banche che va alle imprese, abbiamo le imposte per lo stato che possono eliminare l’Imu sulla prima casa.
Mauri
Piero, concordo con la tua valutazione se poi le banche aiutano le Pmi o altri soggetti economici. Perché trovo che qui manca l’economia a fronte di una grande quantità di finanza e la prova risiede nel gioco delle tre carte. Io noto con sempre più apprensione il fatto che questo periodo possa essere ricordato come l’atto finale della vendita dei beni pubblici. Parlo di Alitalia, Poste, la stessa Bankitalia, Telecom, Fincantieri e via discorrendo. I soggetti già privati, Fiat, sono emigrati da tempo.
Mauri
Il trucco che si usa è proprio questo. Ho letto il decreto, si dice che le quote massime dopo la ricapitalizzazione che eccedono una soglia devono essere vendute. Si dice che nessuno compra le quote – anche perché non so se è programmata una vendita controllata – e quindi le ricompra Bankitalia con soldi pubblici ad un costo che percentualmente rimane lo stesso, ma si basa su un capitale aumentato di 6 ordini di grandezza.
Ivan Berton
Sinceramente secondo me la cosa si traduce con il risultato che sta nel mezzo del discorso. Mi spiego meglio: in realtà con la rivalutazione i contribuenti non danno niente nell’immediato, perché è meramente un artificio contabile, una sorta di Re Mida che moltiplica il valore (nella carta dei bilanci delle banche) senza nessun controvalore, cioè senza che nessuno lo abbia prodotto quel valore, facendo scambio di beni e servizi, ovvero aumentano il valore dal nulla. E’ sempre affascinante come le banche creano i soldi; ricapitolando, nell’immediato nessun problema, funziona tutto: le banche sono felici, lo stato (che siamo noi) è felice perché prende tanti dindi di tasse. Il problema viene dopo: interessi da dare alle banche vita natural durante, e nessun obbligo da parte delle banche di iniettare il loro nuovo capitale (che a questo punto penso possa essere a sua volta moltiplicato con la leva che posso fare) nell’economia a tassi umani, e non a tassi da boia, come fanno spesso e volentieri. Ma naturalmente questo succede in un mondo perfetto, in realtà le banche faranno sempre e solo il loro grandissimo interesse comprando titoli di stato (che siamo noi) a tassi di interesse migliori e senza rischio, magari tedeschi, chi lo sa ?
Intanto gli italioti saranno costretti come sempre a sentirsi dire che devono pagare, Imu si, Imu no, Imu forse, accise su benzina, gas, e Dio solo sa quante altre gabelle si inventeranno
alias
Il governatore Visco, ad onor del vero, riferiva espressamente in Senato (il 12.12.13, si veda il testo dell’intervento sul sito del Ministero economia e finanze) “l’ambiguità sui diritti economici dei partecipanti al capitale” precisando poi che “la maggior parte dei redditi e del patrimonio della Banca derivano dal potere di emissione delle banconote, il cosiddetto signoraggio, il cui ultimo beneficiario non può che essere lo Stato”.
Allora, perché pagare dividendi? Le partecipazioni sono in tutto e per tutto come le azioni di una S.p.A.? Parrebbe ragionevolmente di no, riconosce Visco; ma allora, la Banca può/potrebbe fallire? E’ per questo che si remunera l’investitore? Per il costo-opportunità di impiegare capitale, perché rinuncia a investire altrove? Sembra ancora di no, dopotutto i vecchi soci “storici” (Intesa) non sborsano un centesimo; e allora perché non dare un’azione a testa ai 50/60 milioni di italiani, e pure il dividendo? Visco fa poi numerosi riferimenti ad altre prassi (Usa, Giappone, Belgio, Svizzera) ma non vuol dire che così fan tutti, manca ogni riferimento alla Bundesbank o al Tesoro UK; vuol dire magari che lì i dividendi non li danno? Insomma, al di là della contingenza di Stato, la logica spiegazione latita. E meno male che abbiamo inventato noi italiani lo sconto, la cambiale e la banca moderna.
Marta
Non ho capito come si arriva a dire che dovremmo pagare 1 miliardo di euro di dividendi in seguito alla rivalutazione. I 45 milioni di euro sono calcolati moltiplicando 156×300.000. Ma se si rivalutasse a 1 miliardo il patrimonio della banca, sarebbe ben più di un miliardo quello che dovremmo pagare ogni anno. O no?
Ettore
La banca d’Italia, in un comunicato di ieri, passato tra l’indifferenza generale dopo l’indegna gazzarra scatenata dai 5 stelle su questa questione, chiarisce molti aspetti di questa vicenda facendo luce su tante sciocchezze che sono state dette e scritte. Le quote andavano rivalutate se non altro perché quel valore (156.000 euro) era palesemente anacronistico. Non è vero che quel valore era solo simbolico: 156.000 euro nel 1936 equivalgono, a prezzi costanti, a circa 2 miliardi di euro attuali. Inoltre ogni anno venivano redistribuiti circa 70 milioni di euro che equivalgono ad un rendimento superiore al 4000 per cento: assurdo! Altra considerazione a favore di questa rivalutazione. La vecchia normativa prevedeva che nel dividendo si potessero includere anche le riserve (nel limite del 4 per cento), le riserve sono circa 15 miliardi,quindi potenzialmente si sarebbero potuti distribuire fino a 600 milioni di euro l’anno. Con la riforma del decreto 133, il massimo distribuibile (che riguarderà solo i dividendi e non le riserve: le riserve non potranno mai più essere distribuite agli azionisti) sarà il 6 per cento del capitale rivalutato, ossia 450 milioni di euro al massimo. Si eliminano così due importanti ambiguità: 1) si chiarisce che le riserve sono della Banca d’Italia, quindi dello Stato, di noi tutti e non delle banche azioniste che non potranno mai accampare diritti,pretese o aspettative; 2) si attualizza quel valore del 1936 e si evita il fatto che ogni banca contabilizzava quelle quote come meglio gli pareva; lo stesso Prof. Boeri scrive che le banche contabilizzavano quel valore addirittura fino a 26 miliardi.
alias
D’accordo sull’operazione di leva a favore delle banche italiane, d’accordo sulla esigenza di copertura del mancato introito IMU. Che servano modi di obiettare diversi da quelli del M5S è sacrosanto. Ma che dividendi può pagare una Banca centrale se non persegue scopo di lucro, se non fa intermediazione e le cui “riserve non potranno mai più essere distribuite agli azionisti”? E’ la mancata rivalutazione delle quote, sinora, che ha giustificato il pagamento di quei dividendi esorbitanti, che di fatto hanno più che compensato l’esborso iniziale (i non simbolici 300 milioni di lire del 1936). E che motivo ci sarebbe di continuare a farlo, adesso che la quota si rivaluta? Al limite, la banca potrà pagare ai suoi azionisti una quota dei frutti delle sanzioni che commina (vigilanza), ma se ce lo spiegasse? Infine, a valore attuale, è vero che le quote del ’36 sono tanti soldi; ma bisognerebbe anche spiegare che nel ’36 quelle non erano, agli occhi dei sottoscrittori, partecipazioni azionarie, ma altro (appunto, quote di partecipazione in una banca centrale, a soluzione di una crisi sistemica gravissima), con ben altri requisiti rispetto a una logica da banca commerciale o d’affari. A meno che non torniamo ai ragionamenti “post hoc proper hoc”.
Ettore
La rivalutazione delle quote era già prevista dalla legge del 2005 che prevedeva la possibilità di nazionalizzare la banca d’Italia indennizzando (attraverso una rivalutazione) i partecipanti. In quel caso ci sarebbe stato un esborso di denaro pubblico cash alle banche. Inoltre c’è da evidenziare il fatto che le banche già si rivalutavano le quote a proprio piacimento,quindi ora è stato apportato un elemento di chiarezza stabilendo un valore attualizzato e un dividendo massimo. La legge 133 si muove in continuità con quelle precedenti. I detrattori (ho letto tutto il tread di noisy from Amerika degli economisti liberisti Boldrin, Bisin, Moro) sono molto critici perché sostengono, in linea con la loro impostazione radicale su tutte le questioni, che occorreva, in controtendenza rispetto al passato, rendere quelle quote simboliche (non rivalutarle: ma era già stato fatto dalla legge del 2005!) e non distribuire più alcun dividendo, per cui condividono la linea dei grillini. Secondo me al momento non si poteva fare diversamente. Teniamo anche conto che le banche anticipano circa 2,5 miliardi di euro tra plusvalenze e acconto Ires/ Irap. E probabilmente, come dice la stessa Banca d’Italia, non sara’necessario ricomprare le quote rivalutate. Se anche ciò avvenisse, verrebbero congelati i dividendi (che andrebbero a riserva e quindi nel tempo compenserebbero l’esborso) e le quote verrebbero subito ricollocate presso istituti finanziari italiani. In più la Banca d’Italia lascia trasparire che i dividendi distribuiti non supereranno quelli degli anni precedenti (quindi non il 6% ma l’1% del capitale rivalutato).