La ripresa del finanziamento alle aziende è fondamentale per la ripresa del paese. Non solo attraverso le banche. Destinazione Italia propone alcune misure per indirizzare verso l’impiego produttivo parte del risparmio nazionale e per catturare l’interesse di investitori qualificati internazionali.
LE DINAMICHE ATTUALI E PROSPETTICHE DEL CREDITO BANCARIO
I primi e ancora incerti segnali di inversione del ciclo economico rischiano di non trovare adeguato accompagnamento se non supportati dalla ripresa del finanziamento all’impresa. I recenti autorevoli appelli del Presidente Napolitano e del governatore Visco hanno richiamato l’attenzione sulla centralità del tema in un’ottica di rilancio dell’economia italiana.
Per molti anni il credito bancario alle imprese è cresciuto in misura ben superiore alla dinamica dei fondamentali economici, fino a raggiungere un picco nel novembre 2011. Da quel momento, gli impieghi si sono ridotti di 85 miliardi di euro, 45 miliardi solo negli ultimi dodici mesi. Più ancora della successiva caduta, impressiona la crescita del credito negli anni pre-crisi.
Anni in cui, nonostante la temuta tagliola di Basilea 2, il credito ha assunto connotati da variabile indipendente: è divenuto sempre più una commodity da vendere indistintamente, senza badare troppo ai requisiti dei prenditori, come lasciato intendere dallo stesso direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, in una recente dichiarazione sulla dubbia meritocrazia nei criteri di erogazione del credito. Una dichiarazione che mette in dubbio l’efficienza nell’allocazione delle risorse da parte del sistema bancario in un quindicennio di bassa crescita economica.
Certamente l’adozione della nuova normativa di Basilea 2 e la progressiva entrata in vigore di Basilea 3 non hanno prodotto i risultati sperati. Non solo per il loro evidente effetto pro-ciclico sul credito. Ma anche perché l’adozione dei modelli interni di rating non sembra aver contribuito al miglioramento della qualità dei portafogli creditizi né, sfruttando proprio la credibilità – e spendibilità esterna – dei rating interni, ha spinto le banche verso modelli di business più orientati al mercato. Insomma, un’occasione mancata che ci lascia con una combinazione complessa di regole sempre più severe su capitale e liquidità, con portafogli creditizi estremamente deteriorati (il credito deteriorato supera il patrimonio netto tangibile delle banche) e con un imponente magazzino di rischio di difficile smaltimento. Questa miscela rende il nostro sistema bancario ingolfato e impacciato nell’erogazione di nuova finanza.
Il deleveraging degli attivi bancari potrebbe quindi continuare e assumere connotati non solo più ampi, ma soprattutto di natura permanente e strutturale.
La stretta creditizia attuale e prospettica si scontra con l’esigenza delle nostre imprese di tornare a investire nei fattori reali di competitività: ricerca, innovazione, digitalizzazione, proiezione internazionale. Secondo uno studio di Prometeia le sole imprese manifatturiere, per allinearsi nel prossimo biennio a quelle tedesche, avrebbero bisogno di investire almeno 150 miliardi, a fronte di un flusso di nuovo credito bancario che non supererà i 60 miliardi. Il funding gap tra raccolta e impieghi è dunque destinato ad ampliarsi, facendosi particolarmente stringente e severo proprio sulle esigenze finanziarie a medio-lungo termine.
COME MODERNIZZARE E RAFFORZARE LA FINANZA D’IMPRESA
Occorre dunque trovare una exit strategy in grado di superare il modello banco-centrico, non più in grado di far fronte in solitudine alle esigenze di finanziamento per il rilancio dell’economia reale. Occorre agire su un duplice fronte.
Da una parte, rafforzando i livelli di patrimonializzazione delle nostre imprese, e in questa direzione va accolto con favore il potenziamento dell’Ace previsto dalla Legge di stabilità, un incentivo alla capitalizzazione che per essere più efficace dovrebbe essere reso mirato e selettivo (immaginando ad esempio benefici fiscali maggiori sul rendimento nozionale per le imprese che si quotano).
Dall’altra parte, è imprescindibile aprire tutti i canali di finanziamento alternativi o complementari al credito bancario, completando la liberalizzazione delle emissioni obbligazionarie da parte delle società non quotate e favorendo ancor più l’accesso delle piccole e soprattutto medie imprese al mercato dei capitali.
Le misure di liberalizzazione entrate in vigore alla fine del 2012 hanno già consentito di raddoppiare il numero di aziende italiane che si affacciano sul mercato internazionale dei capitali, rendendo possibili emissioni obbligazionarie per un ammontare complessivo di circa 5 miliardi di euro e con un taglio medio superiore ai 200 milioni. Le operazioni in corso di strutturazione e prossime al perfezionamento indicano che c’è un potenziale da sfruttare per destinare alle eccellenze del quarto capitalismo l’ingente liquidità dei portafogli degli investitori nazionali e internazionali.
Esiste oggi un bacino di imprese molto significativo per numero e solidità (circa 35mila imprese, secondo recenti stime prodotte da Cerved) con tutte le carte in regola per accedere al mercato dei capitali.
Misure di ulteriore liberalizzazione delle emissioni obbligazionarie potrebbero contribuire a indirizzare stabilmente verso il meglio del nostro tessuto imprenditoriale parte del risparmio a lungo termine che si sta accumulando sui pilastri previdenziali, sulle riserve delle compagnie di assicurazione e nei portafogli di altri investitori istituzionali, risorse che finora vengono quasi esclusivamente allocate su asset “sovereign” o sul corporate estero e che molto raramente prendono come destinazione l’impresa italiana. Parliamo di un potenziale pari a circa 1.300 miliardi di euro.
Nel piano Destinazione Italia (misura 18) si propongono azioni mirate a rendere più efficace il sostegno alle forme di finanziamento a medio e lungo termine alternative e complementari a quelle concesse dal sistema bancario in chiave di attrazione di capitale finanziario sul corporate Italia. In particolare, il piano intende agire su tre fronti:
1) Facilitando l’accensione di garanzie sul credito a medio lungo termine alle Pmi, anche in forma obbligazionaria, mediante un intervento sulla fiscalità indiretta applicata alle garanzie accessorie. Si propone, in particolare, di rendere opzionale l’applicazione dell’imposta sostitutiva e di estendere l’ambito di applicazione anche alle obbligazioni. In altri termini, sarà meno costoso accendere una garanzia nella forma del pegno (su azioni, su quote, su crediti, su proprietà intellettuale o sull’inventario). Inoltre, si intende creare un ulteriore pareggiamento competitivo fra gli strumenti di finanziamento, estendendo agli obbligazionisti la possibilità, oggi prevista solo per le banche, di ottenere privilegi speciali sui beni mobili dell’azienda. Queste misure dovrebbero assecondare l’emissione di obbligazioni in forma secured consentendo alla Pmi di ottenere migliori condizioni.
2) Favorendo la costituzione di fondi di credito specializzati o di società di cartolarizzazione per sostenere l’aggregazione e la selezione professionale di portafogli di obbligazioni di Pmi (i cosiddetti minibond) su cui sollecitare il mercato dei capitali. In particolare, si intende disapplicare la ritenuta del 20 per cento sugli interessi e gli altri proventi (oggi prevista sulle obbligazioni che non vengono quotate) corrisposti a fondi partecipati da investitori qualificati che investono prevalentemente in obbligazioni, riducendo così i costi di emissione. Per le medesime finalità, si propone anche di semplificare il ricorso alle cartolarizzazioni e di estenderne l’applicabilità anche alle obbligazioni e ai titoli similari.
3)Incrementando la quota di investimenti di soggetti istituzionali nel corporate Italia, attualmente assai limitata. A tale scopo, si propone di considerare gli investimenti in obbligazioni, in titoli di cartolarizzazione o in quote di fondi che investono prevalentemente in obbligazioni e titoli similari – anche quando non quotati e privi di rating – come compatibili con le disposizioni dell’Ivass in materia di copertura delle riserve tecniche delle compagnie di assicurazione e in materia di limiti di investimento dei fondi pensione.
In sintesi, queste misure intendono ampliare la platea di emittenti, ridurre i costi di emissione per le Pmi e sviluppare un settore finanziario specializzato, moderno e indipendente. Si creeranno così le condizioni per indirizzare parte del risparmio nazionale di lungo periodo verso l’impiego produttivo nel meglio del capitalismo italiano e per catturare l’interesse degli investitori qualificati internazionali.
* Marco Calabrò e Stefano Firpo fanno parte della Segreteria tecnica del ministro dello Sviluppo economico, membri della task force Destinazione Italia. È possibile commentare o integrare le proposte discusse nell’articolo partecipando alla consultazione pubblica sul piano Destinazione Italia.
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Piero
Se si afferma che gli impieghi sono diminuiti di 45 miliardi, abbiamo meno liquidità nel sistema di pari importo, la cosa allarmante, inutile le lamentele di Napolitano e Letta, ciò è’ stato provocato dall’euro gestito dai tedeschi con la politica dei compitini a casa propria dettata dalla Merkel appoggiata da Napolitano in primis e dai suoi alfieri Monti e. Letta.
Cosa fare oggi, se i nostri politiche non sono competenti, copiare la Spagna, con la bad bank ha immesso nell’economia in un anno oltre 50 mld, oppure utilizzare la 662 in modo automatico per garantire i fidi alle imprese, naturale non con i limiti attuali e i requisiti stringenti previsti, utilizzare la CDP per prestiti di liquidità alle imprese garantiti con immobili ecc; naturale questi sono i provvedimenti se la Bce non cambia politica monetaria, e’ sufficiente che la Bce programmi un programma di QE decennale di titoli dei paesi euro sul secondario per almeno 500 mld, in tale modo le cose vanno tutte al loro posto, ciò sarà sempre avversato dalla Merkel, non è in linea con la politica dei compitini a casa propria, a tale punto o esce la Germania dall’euro o vi sarà la rottura dell’area valutaria in due zone.
carlo
Cari signori le vostre sono analisi fantasiose e prive di alcun aggancio alla realtà. Sapete i costi dei bond emessi ad oggi dalle PMI? oltre il 7%.
Altro credo non dico.
Piero
Vogliamo fare interventi “seri” per il credito alle imprese, il governo non ha vie d’uscita se non a quelle di seguito riportate, dobbiamo considerare l’attuale stato delle nostre banche che sono piene di titoli di stato, dobbiamo considerare la scarsa qualità degli attivi delle banche e dobbiamo considerare la scarsa patrimonializzazione delle stesse, ciò precisato, gli interventi da prendere subito sono:
1) utilizzo della legge 662 in modo automatico, ossia in presenza di un bilancio in utile e di un impegno al mantenimento occupazionale per il prossimo triennio vi deve essere una garanzia statale da spendere sui crediti bancari di almeno il 30/40% del fatturato dell’ultimo anno, ciò permetterà alle imprese sane di avere il costo del denaro simile a quelle tedesche e quindi di essere competitive anche sul loro mercato, ricordo che la garanzia deve essere automatica, ciò deve essere gestita con il portale del Mediocredito direttamente, massimo tempo di concessione 15 giorni, tuttalpiù lo stato potrà pretendere la certificazione del bilancio da un revisore contabile.
2) per le imprese che non abbiano i bilanci in utile, lo stato dovrà intervenire con la concessione di prestiti da parte della Cdp, naturale qui non vi deve essere nessun automatismo, queste imprese devono essere ristrutturate, potranno dare in garanzia per i prestiti di liquidità i loro asset materiali o immateriali, naturale qui la ristrutturazione dovrà avvenire di concerto con le organizzazioni sindacali, anche qui si devono prevedere dei percorsi di massimo trenta giorni.
3) pensare di creare misure alternative per le pmi e’ un sogno, anche i mini bond, che non sono altro che obbligazioni, devono essere collocate tutte personalmente dall’impresa prima di arrivare in borsa, quindi si capisce che la pmi non si può rivolgere al mercato ma deve rivolgersi solo agli investitori istituzionali. Queste potranno essere misure per il futuro ma non per l’emergenza attuale.
Ricordo a tutti che in presenza di crisi delle banche Monti non esito a dare una garanzia statale al collaterale dato dalle banche in garanzia degli Ltro, garanzia data senza fare accantonamenti al bilancio statale, con lo stesso provvedimento elevo la garanzia alle imprese da 1,5 milioni a 2,5 milioni, elevazione che abbisognava di un decreto ministeriale uscito dopo 24 mesi, ora a parte la ridicola misura in cui intervenne Monti all’epoca, ma oggi non dobbiamo commettere questi errori la legge in questo momento di crisi non deve rinviare a provvedimenti che escono in ritardo, non si può più aspettare, poi non occorre fare accantonamenti al bilancio per tali provvediment, come non sono stati fatti per le banche.
Paolo
Interessante il grafico, dove ha incremento geometrico del credito erogato non ha corrisposto analogo aumento né degli investimenti né della produzione industriale. Dire dove sono finiti i soldi prestati dalle banche alle imprese?
Mie ipotesi: 1) a pagar tasse 2) a sostituire utili incamerati dai soci di capitale.