L’integrazione finanziaria nell’area euro diminuisce. E i Governi continuano a fornire aiuti di Stato al sistema bancario nazionale, per evitare che i problemi delle banche si riflettano sul costo del debito pubblico. Le conseguenze sulla crescita.
DANNI DA MANCATA INTEGRAZIONE
I dati mostrano che l’integrazione finanziaria nell’area euro diminuisce ancora e a una velocità maggiore rispetto ai paesi al di fuori della moneta unica. Nel frattempo, i Governi continuano a fornire aiuti di Stato al sistema bancario nazionale, per evitare che i problemi delle banche si riflettano sul costo del debito pubblico. Tutto ciò ritarda la ristrutturazione dei sistemi bancari dell’area euro e causa avversione al rischio, proprio perché non esiste un piano sistematico di gestione delle perdite ereditate dalla crisi economico-finanziaria (legacy losses). La ristrutturazione del sistema bancario sembra invece progredire velocemente in quelle nazioni in cui l’intervento è stato finanziato da istituzioni europee, quali l’European Stability Mechanism.
Come si vede dalle figure qui sotto, l’esposizione (esclusi derivati e azioni) delle banche dell’area euro verso altre banche dell’eurozona diminuisce più velocemente delle esposizioni verso istituti europei al di fuori della moneta unica e verso istituti non europei.
Figura 1 – Esposizioni delle istituzioni finanziarie dell’area euro all’interno
dell’unione monetaria comune – Milioni di euro – 2006-2013
Fonte: Bce Note: Up to November 2013.
Figura 2 – Prestiti e obbligazioni (escluse azioni) all’interno dell’area euro, con Stati membri
esterni all’area euro e con alcuni (selezionati) paesi extra-Ue – milioni di euro – ∆ Q2-2010/Q3-2013
Fonte: Bce e Bis. I paesi extra-Unione monetaria “selezionati” includono le esposizioni di banche domestiche in Germania, Francia, Spagna ed Italia verso Australia, Brasile, Canada, Cina, Hong Kong, Giappone, Nuova Zelanda, Singapore, Regno Unito, Usa.
In particolare, l’esposizione verso l’estero in strumenti finanziari continua a scendere a causa dell’avversione al rischio (home bias) legata alla potenziale fuga di capitali verso altre nazioni dell’area euro.
Figura 3 – Strumenti finanziari diversi da azioni, esposizioni non-domestiche (a) e domestiche (b) (milioni di euro), 2007- 2013.
Fonte: Bce. Note: Up to November 2013.
Dal 2010, la riduzione di oltre 200 miliardi di euro dell’esposizione transfrontaliera in strumenti finanziari è stata compensata dalla crescita dell’esposizione verso asset domestici per circa 500 miliardi di euro. E non si intravedono segnali forti di un’inversione di rotta.
L’AZZARDO MORALE DEI GOVERNI DELL’AREA EURO
Con l’introduzione della moneta unica, i capitali (i risparmi) si possono muovere liberamente nei paesi dell’Unione e gli investitori possono passare “facilmente” da un investimento transfrontaliero all’altro, ad esempio, disinvestendo da obbligazioni governative spagnole per acquistare quelle tedesche in momenti di crisi. (1) Per questo motivo, e poiché sono le politiche fiscali nazionali a farsi carico delle perdite del sistema bancario locale, i Governi agiscono strategicamente, per evitare che l’instabilità del sistema bancario nazionale si rifletta sul costo del debito pubblico. L’uso della leva fiscale per rafforzare il sistema bancario ha giocato un ruolo essenziale nell’intrappolare la liquidità all’interno degli Stati nazionali, ritardando la ristrutturazione del settore. In particolare, un massa enorme di aiuti di Stato, tramite garanzie, ricapitalizzazioni pubbliche e acquisto di esposizioni in sofferenza, ha inondato il settore bancario tra il 2008 e il 2012.
L’articolo 107.3(b) del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea dice che si possono fornire aiuti di Stato ad alcune condizioni, ad esempio se pongono “rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro”. (2) Se si considera il sistema finanziario diviso in compartimenti nazionali, allora anche una piccola banca potrebbe giustificare un aiuto di stato in situazioni di estrema crisi. Il risultato è che circa 4mila miliardi di euro si sono riversati sul sistema bancario dal 2008 al 2012, di cui 413 miliardi solo per ricapitalizzazioni. (3) Oltre il 75 per cento degli aiuti di Stato sono stati erogati da paesi dell’area euro, con Irlanda, Germania e Spagna a guidare la classifica dei più interventisti.
I RITARDI NELLA RISTRUTTURAZIONE DELLE BANCHE
Il sistema bancario rimane così molto sottocapitalizzato. (4) E il processo di ricapitalizzazione delle banche, con conseguente diluzione del valore delle azioni, è molto più lento nei paesi in cui il sistema è stato sussidiato dall’intervento del Governo nazionale. (5) Le banche in Spagna e Irlanda sono infatti quelle che portano avanti piani di ristrutturazione molto ampi e hanno visto un incremento sopra la media dell’area euro del proprio capitale e delle riserve in cinque degli ultimi sette anni. Risultati meno incoraggianti, invece, laddove c’è stato solo l’intervento dei Governi nazionali: Germania, Francia e Italia hanno ricapitalizzato sopra la media in tre anni su sette, mentre Belgio e Olanda in due anni su sette, con molta volatilità nei flussi annuali di ricapitalizzazione. (6) L’Inghilterra, che non compete sui costi del debito pubblico dei paesi euro, con tutti i problemi nel proprio sistema finanziario, ha ristrutturato molte banche e ricapitalizzato più dell’area euro in quattro degli ultimi sette anni.
Pertanto, le banche dell’area euro che hanno potuto utilizzare in qualche modo lo stato creditizio del Governo nazionale sono riuscite a ritardare ristrutturazioni importanti e forti diluzioni del valore delle azioni. Posporre la gestione delle perdite su legacy assets da parte dei Governi nazionali per limitare l’impatto sui costi di rifinanziamento, tuttavia, danneggia i canali di trasmissioni della politica monetaria e incrementa le frizioni nel mercato del credito con un forte rischio di rallentamento delle prospettive di crescita.
(1) Kopf C. (2011), “Restoring Financial Stability in the Euro Area”, CEPS Policy Brief, n. 237, March 15th.
(2) Prima del luglio 2013 non era previsto nessun contributo per le perdite da parte dei creditori della banca. Fornire garanzie non richiedeva nemmeno un piano di ristrutturazione.
(3) Il numero totale è un valore cumulato di dati annuali su garanzie per nuove emissioni, ricapitalizzazioni e acquisto di esposizioni da parte di enti pubblici.
(4) Acharya V. V. & Sascha Steffen (2014), “Falling Short of Expectations? Stress-Testing the European Banking System”, forthcoming CEPS Report.
(5) Bisogna considerare però che non c’è una definizione comune di capitale e le riserve su potenziali perdite su attivo sofferente sono diverse. Tuttavia, questo non dovrebbe stravolgere l’utilità di questi dati per la nostra analisi. Vedi anche De Grauwe, P., & Ji, Y. (2013), “Strong Governments, Weak Banks”, CEPS Policy Brief, n. 305.
(6) Valiante, Diego (2014), “Framing Banking Union in the Euro Area: Some Empirical Evidence”, CEPS Working Document, N. 389, Febbraio.
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Piero
Ok sulla prima parte e sul titolo: abbiamo una discesa dell’integrazione. La causa? La crisi del debito pubblico, inevitabile a seguito della politica monetaria scelta dalla Bce ne è la causa principale: certo i paesi nordici considerano i paesi meridionali degli indisciplinati e quindi hanno imposto il rigore e politiche di bilancio per pagare il debito. L’unione bancaria accentuerà tale problema: le banche per arrivare al patrimonio richiesto dovranno diminuire gli attivi di bilancio e vi sarà ancora meno integrazione finanziaria. Le banche dei paesi meridionali dovevano essere liberate dai titoli governativi e potevano continuare a fare il loro mestiere, invece sono piene di debiti statali, la Bce non ha aumentato la base monetaria nel sistema e i titoli sono rimasti nei bilanci bancari congelando agli istituti la possibilità di erogare credito alle imprese. L’unico paese che è uscito da tale situazione è stata la Spagna, che ha preso 50 miliardi dall’Europa e ha ripulito tutti gli attivi di bilancio delle banche. Perché non lo ha fatto anche l’Italia?