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Tasse sulle rendite finanziarie, come infrangere il tabù

Il regime fiscale di favore concesso alle rendite finanziarie non fa che accentuare la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi: è giunto il momento che la politica spezzi questo tabù. 

NUMERI E TASSE

La revisione del regime fiscale di favore di cui godono le rendite finanziarie rappresenta da sempre un tabù per la politica italiana. Eppure, come ha dimostrato la reazione inesistente del mercato dei titoli di Stato alle parole del Sottosegretario Delrio, c’è spazio per una riflessione ragionata, anche perché nel resto del mondo non è considerato scandaloso trattare in maniera congruente le diverse forme di reddito, qualunque sia la loro provenienza: lavoro, impresa o, appunto, ricchezza finanziaria.
Quando si parla di tassazione delle rendite, la prima distinzione che bisogna fare è tra una tassazione patrimoniale e una tassazione reddituale. Può sembrare una distinzione ovvia, ma va chiarita visto che anche autorevoli economisti tendono a confondere nel dibattito pubblico le due forme di tassazione. La tassazione patrimoniale colpisce la ricchezza in maniera indipendente dalla capacità di creare reddito, questo vale sia per gli immobili che per gli strumenti finanziari. In Italia la patrimoniale esiste, si chiama imposta di bollo e non è nemmeno tanto “leggera” (0,20 per cento relativamente ai prodotti finanziari): in un contesto di bassi tassi d’interesse come l’attuale la patrimoniale incide per quasi il 100 per cento sul reddito prodotto da un conto di deposito a breve scadenza. Ne conseguono situazioni di regressività perché [tweetable]la patrimoniale penalizza oltremodo le forme di investimento a basso rischio e quindi a basso rendimento[tweetable], preferite dalle fasce di popolazione meno abbienti. Se prendiamo un Bot a 6 mesi, il cui rendimento è risultato pari a 0,455 per cento nell’asta del 26 febbraio 2014, l’imposta di bollo incide per quasi il 50 per cento del rendimento lordo ed è quasi 4 volte l’imposta sostitutiva. Nel caso di un Btp decennale, uno strumento che le ormai citatissime “vecchiette” non comprano non fosse altro per questioni anagrafiche, l’incidenza è inferiore al 6 per cento del rendimento (3,42 per cento ultima asta) e quindi pari a meno della metà dell’imposta sostitutiva.
La tassazione reddituale è invece rivolta esclusivamente ai redditi prodotti dalla ricchezza finanziaria, siano essi originati da cedole o da guadagni in c/capitale. Oggi, le rendite finanziarie sono tassate al 20 per cento, fatta eccezione per i titoli di Stato che sono al 12,5 per cento e il risparmio previdenziale (all’11 per cento). Lo scaglione Irpef più basso è al 23 per cento, anche se in realtà con le detrazioni decrescenti l’aliquota effettiva è già pari al 27,51 per cento a partire da 8.000 euro (1). C’è un motivo per il quale un operaio che riceve un aumento di stipendio di 1.000 euro deve pagare 230 euro di tasse in più, mentre un manager che riceve una eredità in Btp (di circa 34.200 euro) che gli rendono 1.000 euro di cedole l’anno deve pagare solo 125 euro di imposte?

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CAPITALE E REDDITO

Si dirà che il capitale finanziario, essendo frutto del risparmio e provenendo da reddito da lavoro o da impresa, è stato già tassato al momento della sua formazione e quindi è “giusto” che, quando lo si tassa una seconda volta, l’aliquota debba essere più bassa di quella Irpef. Ma il capitale umano nasce forse dal nulla? I genitori spendono per fare studiare i loro figli (e anche la collettività contribuisce in un sistema pubblico). I soldi per fare studiare i figli sono presi dal loro stipendio netto. Il capitale umano produrrà in futuro i suoi frutti e sarà tassato dall’Irpef. Un ragionamento analogo vale per il reddito da impresa o da lavoro autonomo. Prendiamo il caso di un lavoratore dipendente che ha risparmiato e decide di investire il risparmio che ha accumulato per mettersi in proprio ed aprire un negozio. Il reddito derivante dall’attività del negozio sarà forse esentato dal pagamento delle tasse?
E in tutto questo non dimentichiamo che la ricchezza finanziaria non deriva soltanto dal risparmio personale, ma deriva (e deriverà sempre di più in futuro) da eredità e donazioni. Senza toccare in questa sede il tema dell’imposta di successione, è evidente che un regime fiscale privilegiato per le rendite finanziarie accentuerà sempre di più la disuguaglianza nella distribuzione dei redditi. La distribuzione della ricchezza è infatti molto più concentrata di quella dei redditi. Stando ai dati Banca d’Italia, il 10 per cento delle famiglie più ricche detiene il 45 per cento della ricchezza complessiva mentre il 50 per cento (più povero) ne detiene solo il 10 per cento. Se invece consideriamo la distribuzione dei redditi, il 10 per cento dei top income detiene il 28,7 per cento del reddito complessivo. Veniamo adesso al tabù “politico” per eccellenza, la tassazione dei titoli di Stato. E veniamo all’argomento che è sempre stato utilizzato per bloccare sul nascere ogni discussione: aumentare le tasse sui Btp è una partita di giro; se aumentano le tasse sui Btp, aumenta in pari misura il tasso di rendimento lordo richiesto dai risparmiatori e quindi il maggior gettito viene esattamente compensato da una maggiore spesa per interessi.
Questo argomento è “falso” per due motivi. Il primo è che l’economia italiana è una economia aperta ai movimenti di capitale ed è “piccola” rispetto al resto del mondo. Questo significa che, fatta salva la componente  di default risk (che nel caso dell’Italia avrebbe effetti sistemici), il tasso d’interesse è una variabile esogena. Il secondo motivo è che gli stranieri e i grandi investitori istituzionali (banche, assicurazioni, etc.) sono “lordisti”, non pagano cioè l’imposta sostitutiva e sono indifferenti a variazioni della stessa. Una idea molto rozza del peso relativo delle forze in campo la si può avere dai seguenti numeri: a fine 2012 le famiglie italiane detenevano in via diretta titoli di Stato per circa 185 miliardi di euro (poco più del 11 per cento del totale), mentre i non residenti detenevano 663 miliardi (circa il 40 per cento); il resto era in mano a banche e istituzione finanziarie residenti.  Se non si modifica lo status fiscale dei “lordisti”, un eventuale aumento del tasso d’interesse generato dal movimento di portafoglio degli investitori retail verrà immediatamente compensato dai movimenti di portafoglio degli stranieri (e degli istituzionali), come in un tipico modello Mundell-Fleming. Se il compratore marginale sul mercato dei titoli di Stato non è l’investitore domestico retail, l’eventuale variazione dell’imposta sui titoli di Stato si traduce in una riduzione del tasso netto per i domestici retail.  Quindi, tornando nel mondo reale, se si escludono variazioni abnormi dell’aliquota o regimi fiscali punitivi, è difficile immaginare un effetto significativo sui rendimenti dei titoli di Stato. Al contrario, se i maggiori introiti per l’erario comportassero un miglioramento del quadro di finanza pubblica, si potrebbe assistere ad una riduzione dello spread. Tra l’altro, in un modello intertemporale, se prevalesse l’effetto-sostituzione, il minore tasso d’interesse dovrebbe spingere ad un aumento dei consumi, il che gioverebbe in una situazione di carenza di domanda domestica come l’attuale.

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I PRIVILEGI DEI BTP

Una parola andrebbe detta anche sul privilegio dei Btp (tassati al 12,5 per cento) rispetto alle obbligazioni private (al 20 per cento). Se il credito deve fluire all’economia reale e si vuole superare l’impostazione “bancocentrica”, un passo obbligato dovrebbe essere la riduzione se non l’annullamento del privilegio concesso ai titoli di Stato. A differenza del mercato dei titoli di Stato, che è internazionalizzato, lo sviluppo di un mercato per le obbligazioni corporate emesse non dalle grandi aziende ma da quelle medio-piccole probabilmente ha ancora bisogno del sostegno degli investitori domestici. E’ una questione di conoscenza, di barriere linguistiche e culturali che determina una segmentazione naturale del mercato obbligazionario. Qui, l’investitore marginale potrebbe ancora essere quello domestico e un regime fiscale almeno pari a quello dei titoli di Stato favorirebbe una ricomposizione dei portafogli domestici. I tassi pagati dal Tesoro non ne risentirebbero negativamente, ma l’economia reale ne potrebbe trarre beneficio.

(1) vedi Paladini R. e Visco V. “Come uscire dal pantano delle detrazioni fiscali”, Lavoce.info, 28 febbraio 2014 e Borri N., Nisticò S., Ragusa G. e Reichlin P. “Cambiare l’Irpef pensando al lavoro”, Lavoce.info, 11 febbraio 2014

 

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32 commenti

  1. Claudio

    Gira che ti rigira, in qualche modo bisogna trovare la giustificazione per mettere le mani sui risparmi degli italiani.

    • visve

      La società dei consumi incoraggia l’acquisto di giocattoli per i propri figli o di abiti di lusso per la moglie o, se volete, di crociere e champagne per qualche amica, invece che il risparmio per il futuro! Mi chiedo: se vado a giocare in qualche casinò e vinco non pago tasse (mi pare), se gioco in borsa pago la patrimoniale e le tasse su guadagni!
      Ma non mi giustificherò, non mi piace la società dei consumi!

  2. plapla60

    Non occorrono molti sofismi finanziari. Basterebbe cumulare tutti i redditi (da lavoro, immobiliari, finanziari ecc..) nella dichiarazione dei redditi per rispetto della progressività dell’imposizione come da art.53 della Costituzione. Le aliquote fisse e le cedolari secche a mio parere sono comunque incostituzionali.

    • Elefante

      Così torneremmo agli anni ’60, in cui fu fatto questo tentativo (peraltro, con aliquote progressive più basse di oggi) e tutti i capitali finirono in Svizzera. O si vuole che, di nuovo, si torni a mettere i capitali nel materasso? Quando si applica una qualsiasi forma di tassazione, oltre ai sacri principi, bisogna tener conto anche del principio di realtà. Lo insegna, da secoli, la scienza delle finanze.

      • Massimo

        Con la differenza che adesso in Svizzera non finiscono solo i capitali, ma anche le imprese e i lavoratori: in pratica tutto quello che occorre per creare ricchezza. Solo che la ricchezza non viene creata in Italia ma altrove, dove le condizioni sono più favorevoli. E quando l’ultimo lavoratore sarà emigrato, l’ultimo imprenditore fallito o suicidato, e gli ultimi capitali fuggiti insieme ai loro proprietari, cosa si tasserà?

    • Unnini

      Per cui secondo lei posso portarmi in detrazione del reddito dell’anno tutte le minusvalenze patrimoniali?

  3. Marco Dore

    Il principio di tassare egualmente tutti i redditi indipendentemente dalla loro natura e origine è sacrosanto (come ogni principio, anche questo può avere le sue eccezioni: uno stato che volesse stimolare la propensione al risparmio avrebbe motivo per ridurre le imposte sulle rendite finanziarie; ma non mi pare sia questo il tema attuale) e a contraddire – almeno in parte – chi teme che un intervento sulla tassazione delle rendite finanziarie stimolerebbe l’espatrio clandestino dei capitali stanno due fatti:
    – abbiamo sempre avuto questo triste fenomeno anche in condizioni di tassazione fortemente ridotta sulle rendite finanziarie;
    – mi pare che in Europa esistano esempi significativi di tassazione progressiva delle rendite finanziarie (se poi siete convinti che solo altri paesi possano essere virtuosi, allora emigrate).
    Fermo restando quanto sopra, vorrei osservare – in maniera neutra – che esiste un impatto importante di un eventuale inasprimento di questa imposizione che non viene mai citato. Ritengo infatti che la cosiddetta “industria del risparmio gestito” subirebbe un pesante contraccolpo dalla riduzione dei rendimenti netti, che lascerebbe minori margini su cui caricare le commissioni.

  4. Giorgio

    Sarebbe però anche corretto finalmente abolire l’assurda distinzione tra redditi diversi e redditi di capitale, con le minusvalenze generate dai primi (e mai dai secondi) non compensabili con plusvalenze di capitale. Per dire, se un fondo comune o un Etf genera una plusvalenza, è reddito di capitale e su tale reddito si versa l’imposta, se però lo stesso strumento finanziario genera una minusvalenza è reddito diverso e non è compensabile con un reddito di capitale, quindi per 4 anni bisogna pregare e sperare di riuscire a compensare questo credito d’imposta. Inoltre l’orizzonte temporale non è l’anno solare, bensì plusvalenze e minusvalenze da redditi diversi si compensano volta per volta: se a gennaio ho una enorme plusvalenza e non avevo minusvalenze pregresse, verso subito l’imposta, mentre se poi genero delle minusvalenze nel resto dell’anno devo solo sperare nel futuro. Non parliamo poi delle successioni, ove il valore di carico fiscale è quello della dichiarazione di successione e non di acquisto originario, “premiando” chi ha ricevuto un portafoglio con forti plusvalenze maturate ma non realizzate e “punendo” chi è invece erede di un portafoglio con forti minusvalenze maturate (insomma: il de cuius ha investito male? gli eredi ci rimettono due volte).

  5. Davide Gionco

    C’è una tassa molto semplice da applicare sulle rendite finanziarie. Si chiama inflazione. Per evitare che colpisca i salari, basta reintrodurre la scala mobile. I prezzi di vendita dei beni e servizi, che garantiscono il reddito alle imprese, vengono aggiornati sistematicamente dal mercato. Alla fine la tassa colpisce tutte le rendite che non dipendono dall’economia reale.

    • Trinari

      Allora il paese di riferimento per l’Italia deve essere il Venezuela, in cui quest’anno l’inflazione è al 50%. Peccato che, con questa proposta, l’Italia verrebbe ridotta alla condizione in cui era l’Albania degli anni ’70.

      • Davide Gionco

        Se la tassa è troppo alta, nessuno risparmio più il denaro.
        Una inflazione moderata del 5-10% non ha mai danneggiato nessuna economia.
        Cosa che avviene per valori più elevati.
        L’economia è questione di equilibri, non di estremismi ideologici. Negli anni ’60-’70 l’Italia è cresciuta con un tasso di inflazione medio del 5-10%. La tassa sul capitale era più alta di oggi, mentre le tasse sul lavoro erano molto più basse di oggi.
        Chi aveva denaro, lo investiva in economia reale, perché questa cresceva più dell’inflazione, cosa non garantita, invece, per gli investimenti finanziari.
        Con investimenti in economia reale sono più redditizi che quelli finanziari, in quanto i prezzi vengono aggiornati al tasso di inflazione, per cui non ci si perde (se il mercato è vivo e non si è in recessione), mentre gli investimenti finanziari rendono tassi fissi e in genere non molto elevati.
        È evidente che il motivo principale per cui la BCE tiene basso il tasso di inflazione (ha come obiettivo il 2% e siamo allo 0.5% = deflazione) è per favorire gli interessi degli investitori finanziari, a scapito dell’economia reale europea, che infatti è in depressione:
        http://www.tradingeconomics.com/euro-area/gdp-constant-prices.

        • Massimo

          Nel 2013 l’inflazione è stata dell’1,2% e quella programmata per il 2014 è del 1.5%. Siamo già ampiamente al di sopra dei rendimenti Bot. In pratica si tassano redditi che non esistono: sfido a trovare un qualsiasi investimento a basso rischio che renda più dell’inflazione, detratte tasse, commissioni degli intermediari, bolli e balzelli vari. Non so cosa voglia dire “La tassa sul capitale era più alta di oggi”: i titoli di Stato ed il risparmio postale erano esenti da ogni tassa, “presente e futura” (sic).

          • Davide Gionco

            Fino al 1981 i rendimenti dei titoli di stato erano sistematicamente al di sotto dell’inflazione:
            questo avveniva perché la Banca d’Italia agiva da compratore di ultima istanza e il Tesoro poteva fissare unilateralmente i tassi di interesse. Questo fatto consentiva di tenere sotto controllo la crescita del debito pubblico. Chi voleva investire per guadagnare più dell’inflazione, lo doveva fare in attività di economia reale. Per capire che l’inflazione è una tassa, è necessario adottare la corretta unità di misura. Il valore che resta costante è il valore del paniere dei beni e servizi ovvero quanto ci occorre per vivere. Se le tasse e le rendite le calcoliamo in funzione del valore del paniere e non del denaro, ci rendiamo conto di come l’inflazione sia una “tassa” che riduce il potere di acquisto dei detentori di denaro e aumenta il potere di acquisto di coloro che producono beni si utilità reale.

  6. Luca

    L’aumento della aliquota sulle rendite finanziarie credo sia una bestialità: prendere soldi sempre ai soliti per evitare di tagliare i veri sprechi di questo paese che fanno comodo alla classe politica.
    L’autore di questo articolo il quale appoggia l’ eventuale innalzamento dell aliquota dovrebbe ricordare che siamo il paese più tassato al mondo, e che sono demenziali altre tasse.
    Le patrimoniali ci sono già su qualsiasi cosa, punto.

    • giulioPolemico

      Concordo totalmente. Questi non sanno fare altro che aumentare le tasse. E poi si lamentano se la gente ha meno soldi da spendere e i consumi non ripartono. La stessa patrimoniale, pur auspicata addirittura anche da Confindustria, quindi non dai “comunisti”, è un errore, perché impoverirà il Paese e verrà sprecata negli stipendi dei politici e degli statali inamovibili. Qui bisogna tagliare gli sprechi e la corruzione, non applicare nuove tasse.

  7. giulioPolemico

    Oggi è di moda prendersela con i titoli di Stato, come fino a pochissimi anni fa era di moda affermare che dovevano essere tassati i consumi e non i patrimoni. Quest’ultima infatuazione ha poi contribuito al crollo dei consumi e all’aumento delle disuguaglianze.
    L’infatuazione attuale è che i titoli di Stato debbano essere tassati di più, comparandoli con la tassazione sul reddito da lavoro. Io non so se l’attuale aliquota del 12,5 % sia esattamente quella giusta, o se forse debba essere aumentata, tuttavia osservo che lo Stato si finanzia grazie a tali titoli. I soldi ottenuti dalla collocazione dei titoli di Stato, lo Stato li utilizza per far funzionare gli ospedali e le auto della polizia, e secondo me dovrebbero ricevere un trattamento vantaggioso (non così se tali soldi fossero investiti nell’immobiliare, perché non a diretto vantaggio dello Stato). Teniamo poi presente che per il risparmiatore italiano i soldi investiti in titoli di Stato sono ottenuti dal lavoro, cioè sono risparmi che il piccolo investitore lavoratore ha già avuto tassati all’origine quando erano parte dello stipendio lordo ricevuto.

  8. antonio

    Ma perchè nessuno somma alla tassazione ordinaria i bolli? O non sono Tasse i Bolli?

  9. Unnini

    Vorrei ricordare che la platea “beneficiata” dalla cedolare secca del 12,50% sono solo i privati che detengono 187 miliardi di buoni del tesoro su 1700.
    Gli investitori istituzionali (85% del totale) già oggi non beneficiano delle cedolare secca, ma gli interessi sui buoni del tesoro concorrono a formare reddito di impresa.
    Per quanto riguarda la dichiarazione del sottosegretario Delrio non interpreterei la mancanza di reazione del mercato come una riflessione sulla tassazione sui privati, ma un’alzata di spalle collettiva verso una frase infelice.

  10. giorgio

    Titoli di stato e obbligazioni non sono nel portafoglio dei risparmiatori solo per eredità o donazioni, come sembra ritenere l’autore, e neppure fanno parte solo del patrimonio dei manager e dei ricconi. Sono lo strumento con cui milioni di lavoratori anche modesti, cercano di difendere il valore dei loro risparmi e, possibilmente di incrementarlo in previsione della vecchiaia e degli altri bisogni che capitano nella vita. Tassare eccessivamente questi redditi, vuol dire colpire il risparmio e indebolire la situazione economica di milioni di famiglie che avrebbero tra l’altro difficoltà a individuare impieghi alternativi altrettanto semplici, relativamente sicuri e poco onerosi per i loro risparmi.
    Assurda l’idea che se la tassazione sui titoli di stato sale, i consumi aumentano perché verso di essi si rivolge una parte del risparmio non più convenientemente impiegabile nei titoli di stato. Provi a chiedere ad un pensionato che integra la sua modesta pensione con qualche cedola, se riducendone il valore, sarà propenso a consumare di più e a comprare meno titoli o se il minor reddito non lo renderà ancor più restrittivo nelle spese.
    Le obbligazioni delle medie imprese non sono comprate dai risparmiatori Retail non per via della tassazione sfavorevole rispetto a quella dei titoli di stato, ma perché sono difficilmente reperibili per un piccolo risparmiatore e troppo rischiose. Quando si propone l’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, bisognerebbe tener presente che non si colpiscono stuoli di fannulloni che vivono felici incassando immeritate cedole ma milioni di cittadini che nelle obbligazioni e nei titoli di stato hanno investito una parte del denaro, frutto del loro lavoro, che a fatica e sacrifici sono riusciti a mettere da parte e che vorrebbero mantenesse il suo valore reale.

  11. Enrico

    Non capisco l’affermazione riportata di seguito, si basa sull’assunto che il risparmio personale diminuisca.
    <>

    • Alberto

      Credo si riferisca al fatto che la ricchezza ereditata dai genitori si accumuli di generazione in generazione, e vada quindi ad aumentare percentualmente rispetto al risparmio personale.

  12. Camillo Moranduzzo

    Perdonate l’ignoranza: qualcuno mi può spiegare in due parole perché gli stranieri e i grandi investitori istituzionali (banche, assicurazioni, etc.) sono “lordisti”?

    • Unnini

      La cedolare secca sul risparmio 12,5% o 20,00% si applica solo ai privati, per gli investitori istituzionali gli interessi, le sopravenienze e le minusvalenze concorrono a formare reddito di impresa. Gli investitori esteri sono esenti e pagano le imposte nel loro Paese. Con effetto reciproco, gli investitori italiani di titoli stranieri pagano le imposte in Italia e non nel Paese titolato dell’investimento.

  13. Stefano

    Interessante sapere in quale paese al mondo esiste imposta simile al nostro attuale “bollo” tanto per cominciare; la tassazione progressiva esisteva (per esempio) in Germania dove tutti i redditi da capitale (superati gli 801 euro per persona, soglia esente ancora oggi) venivano sommati agli altri redditi nella dichiarazione annuale. Per “armonizzare con il resto d’ Europa” la tassazione dei redditi da capitale (dal 2009) è adesso fissa al 25% (+ addizionali del 5.5 % di “tassa solidarietà” e del 9% di tassa “per la Chiesa” ). Chissà cosa ci si inventa ancora

  14. luis

    La Costituzione tutela il risparmio, in Italia il risparmio c’è ma è visto con sospetto e da alcuni anni è preso di mira oltre che dal mercato (Parmalat, Cirio, obbligazioni strutturate, etc.) anche dal fisco che pensa di risolvere i problemi italiani rapinando gli onesti risparmiatori. Bisogna chiudere il rubinetto degli sprechi e delle ruberie, non infierire sui risparmiatori, per evitare una ulteriore contrazione dei consumi e il ricorso al materasso per proteggere il risparmio.

  15. plapla60

    Vorrei ritornare sulla tassazione progressiva. facendo un esempio per fare capire a chi non vuole. Se un dirigente con reddito annuo mettiamo di 100.000 euro acquista dei Bot non ritengo giusto che paghi la stessa aliquota di un pensionato con la minima. Questa non mi sembra equità .Ripeto: si dovrebbe ricorrere al cumulo di tutti i redditi nella dichiarazione Irpef .Questa sarebbe la proposta rivoluzionaria che aumenterebbe in modo esponenziale il gettito e sarebbe profondamente di sinistra. Anche per favorire i consumi. Altrimenti senza il mercato interno l’auspicata ripresa non avverrà mai. Se poi qualcuno vuole portare i capitali all’estero è un altro discorso. Prima occorrono leggi più giuste e poi si fanno rispettare. I mezzi volendo non mancherebbero.

    • Bumblebee

      Se il dirigente con reddito anno di 100.000 euro ne risparmia 10.000, avrà l’opzione di spenderli in consumi (per esempio in una vacanza a Capri o alle isole Bahamas) o di investirli come risparmio. In tal caso potrà, a titolo di esempio:
      – investire in azioni (italiane/ estere). Scelta rischiosa, specie per quelle italiane; chi le ha comperate 10 anni fa, lo sa bene. Magari dividendi buoni (3-4% netti all’anno), ma perdite in conto capitale.
      – investire in obbligazioni. Quelle private presentano rischi (vedi Parmalat) o sono poco liquide (vedi obbligazioni bancarie). Quelle pubbliche, fino a tre anni di durata, rendono pochissimo.
      – investire (dopo congruo accumulo) in un immobile in Italia: qui troverà un regime di tassazione che, negli ultimo anni è divenuto sempre più incerto e pesante; meglio, forse – se ha i capitali -, comperarselo all’estero. I redditi degli immobili (affitti) sono già sottoposti ad imposta progressiva, visto che vanno cumulati al reddito Irpef. Anche se gli inquilini non pagano. Chi propone di aumentare le imposte e di introdurre la progressività anche per i redditi non deve utilizzare argomenti declamatori, come “sarebbe profondamente di sinistra”, ma prevedere le conseguenze reali di queste scelte fiscali e valutare se, nel suo insieme, l’Italia avrebbe da guadagnare o perdere dalle scelte fatte dal governo. A titolo di esempio delle “proposte di sinistra” applicate recentemente in Italia si vedano i risultati dell’imposta sullo stazionamento delle barche e la “Tobin tax” applicata alle transazioni finanziarie, con risultati controproducenti e fallimentari. Le proposte “rivoluzionarie/di sinistra”, applicate a suo tempo nei paesi delle “democrazie socialiste”, Albania compresa, avevano come effetto di distribuire la povertà fra i cittadini. La “scienza delle finanze” non è ideologia; ha come unico fine l’incremento del reddito di un paese, non la sua compressione.

      • Bumblebee

        Dimenticavo di dire che questo dirigente (lavoratore dipendente) che ha guadagnato, in un anno 100.000 euro, ne ha già versati al fisco circa 40.000, come trattenuta alla fonte. Se è riuscito a risparmiare 10.000 euro, questo importo, a livello marginale, (aliquota Irpef del 43% + 2% addizionali regionale e comunale) corrisponde ad euro 18.181 lordi. Quindi, prima di comperare il Bot da 10.000 euro ne ha già versati 8.181 euro al fisco; mi sembra che siano già abbastanza.
        Ai tassi di interesse di oggi (circa lo 0,4%), e con l’imposizione fiscale odierna, su base annua il Bot da 10.000 euro gli avrebbe dato un interesse lordo di 40 euro, cui andrebbero detratti 8 euro per l’attuale tassazione del 20% sugli interessi e altri 20 euro per la attuale patrimoniale di 2/1.000 sul capitale. Alla fine, al nostro ricchissimo dirigente rimane il favoloso guadagno annuale di 40-8-20 euro, pari a 12 euro! L’enorme guadagno dell’1,2 per mille, che non copre neanche il tasso di inflazione.
        Trattiamolo male, questo capitalista! Se è sano di mente, investirà altrove questa somma, e non la presterà allo Stato italiano.
        Quando si fanno delle proposte basate non sui fatti, ma sui pregiudizi e sull’invidia sociale contro i presunti “ricchi” non si fa l’interesse del proprio paese.

        • Bumblebee

          Confesso il mio peccato. All’esempio del dirigente investitore ho applicato due parametri inesatti: il tasso di interesse sui Bot di appena lo 0,4% e la tassazione degli interessi al 20%, invece di quello vigente oggi, il 12,5% (ma che già i tassatori/giustizieri pensano di portare al 20, o, possibilmente al 25%, che sicuramente sarà introdotto entro qualche mese, con ragioni che saranno accuratamente (?) motivate).
          Ecco i risultati ricalcolati:
          – interesse annuo allo 0,5% di 10.000 euro: 50 euro
          – tassazione al 12,5%: 6,25 euro
          – patrimoniale sul capitale al 2 per mille, detta pudicamente: “bollo”: 20 euro
          Quindi, il calcolo finale: 50-6,25-20 = 23,75 euro. Un po’ più di prima, ma il rendimento del Bot, già bassissimo, è ancora quasi dimezzato.
          La patrimoniale del 2 per mille (da pagarsi ogni anno) morde, e come morde. Quando Amato, in una notte si prese il 6 per mille, fu ritenuto da tutti un bandito, e molti se ne ricordano ancora. Qui, in appena tre anni, l'”effetto bandito” viene raggiunto, e poi verrà superato!

      • plapla60

        Per aumentare i consumi interni occorre che tutti i cittadini di questo povero paese abbiano la possibilità di consumare almeno per l’acquisto dei generi di prima necessità. Un pensionato con 500 euro al mese può giusto chiedere la carità altro che vacanza a Capri. Occorrerebbe introdurre una no tax area di almeno 15.000 euro annui per tutti i redditi senza fare distinzione (incostituzionale) tra reddito dipendente, autonomo o quant’altro.
        E per chi non arriva a quella cifra, si integra con il reddito di cittadinanza. Altro che viaggi a Capri o alle Sechelles! Un paese dove degli anziani sono costretti a cercare nell’immondizia e altri hanno pensioni da 30.000 euro al mese senza i contributi necessari, a mio avviso non è un paese civile.
        Se si aumenta il reddito complessivo della nazione e se lo pappano i soliti noti la tanto auspicata crescita non avverrà mai più.

  16. Pippo

    Faccio presente che fra le rendite finanziarie, che più correttamente chiamerei redditi di capitale, ritroviamo anche i dividendi societari che altro non sono che gli utili realizzati da una società e pagati ai soci. E qui viene il bello, e cioè che quei dividendi prima di arrivare nelle tasche del socio sono già stati tassati mediamente del 50% se non di più in capo alla società e poi ancora di un ulteriore 26% in capo al socio. Questa distorsione che un tempo veniva evitata con il famoso credito d’imposta pari all’Irpef pagata dalla società oggi è al livello di incostituzionalità per evidente duplicazione di imposizione, ma questo nessuno lo dice. Nessuno dice che mediamente i dividendi sono tassati al 76% e non al 26%.

  17. Gianfr0

    L’assimilazione del risparmio investito in capitale umano o nell’attività d’impresa a quello in capitale finanziario è poco calzante. Forse rileggere Einaudi su questo tema non sarebbe male per capire perché è assolutamente normale che i proventi del risparmio siano tassati meno di quelli da lavoro. Ma in Italia basterebbe che le due fonti di reddito fossero eguagliate abbassando le tasse sul lavoro, cosa impossibile nella realtà. Ecco dunque che si cerca la soluzione opposta: portare la tassazione sul risparmio al pari di quella sul lavoro.

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