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Come dare un buon governo all’Inps *

In Italia manca una riflessione sui principi su cui fondare un buon governo dei servizi pubblici. Ne è prova la discussione sulla revisione della governance dell’Inps, durata quasi vent’anni, senza che siano stati definiti i confini dell’azione e delle responsabilità dei vari attori.

UN ASSETTO DA RIVEDERE

Sono ormai trascorsi quasi quattro lustri da quando, con il decreto legislativo n.479/1994, è stato operato l’ultimo intervento di riordino organico dell’assetto organizzativo degli enti previdenziali pubblici. Da allora, a più riprese, si è discusso della necessità di rivedere l’assetto di governo originario, che risale alla legge n. 88/1989, senza però arrivare a soluzioni condivise. Con l’ultimo intervento (l’articolo 7 del decreto legge n. 78/2010) ci si è limitati a concentrare i poteri del consiglio di amministrazione nelle mani di un organo monocratico, quelle del “presidente”, violando così uno dei principi cardine per il buon governo di un’amministrazione pubblica, secondo il quale l’organismo di gestione deve conseguire un ampio spettro di competenze attraverso la collegialità.
Eppure, l’esigenza di definire un sistema di governo efficace si impone con maggior forza oggi, per recuperare e consolidare una credibilità che è fondamentale per un istituto che si occupa del futuro dei cittadini. Senza dimenticare che l’Inps rappresenta un pezzo importante del bilancio pubblico: il 37,1 per cento (295,8 miliardi) delle spese della Pa nel 2012 e impiega 4,4 miliardi di euro l’anno per il suo funzionamento.
Nel tentativo di definire le linee di intervento per la riforma della governance degli enti previdenziali, il Governo Monti incaricò un gruppo di studio che presentò la sua relazione finale all’inizio dell’estate 2012. (1) Benché riporti un’utile rassegna della governance previdenziale in alcuni importanti paesi europei, la proposta di riforma lì avanzata è inaspettatamente deludente. Innanzitutto, tra le linee guida che il Governo dovrebbe seguire nell’adozione di un nuovo assetto, mancano le indicazioni circa la scelta organizzativa preferibile nel nostro contesto: dipartimento governativo o amministrazione autonoma. Non viene espresso, inoltre, un giudizio chiaro rispetto alla novellata monocraticità dell’organo di amministrazione rappresentato dalla solitaria figura del presidente(addirittura giustificata dall’esigenza del contenimento delle spese senza prendere in considerazione i costi, che alla lunga, tale scelta può determinare). Ma, soprattutto, manca l’individuazione dell’insufficiente ruolo di indirizzo (steering) esercitato dal Governo.
Nel frattempo, anche le parti sociali hanno indicato le linee direttrici cui dovrebbe ispirarsi la revisione del modello di governance degli enti previdenziali. (2) Anche le loro proposte, tuttavia, appaiono deboli per la risoluzione del limite principale dell’attuale assetto rappresentato dalla conflittualità dell’impostazione “duale” causata da una sovrapposizione di competenze tra gli organi di governo. Le parti sociali rivendicano, correttamente, un maggior ruolo nell’attività di indirizzo politico, ma anche, molto discutibilmente, una competenza esclusiva in attività che hanno una natura prettamente gestionale quali, ad esempio, l’approvazione generalizzata dei regolamenti, dell’organizzazione e dei bilanci.
La volontà di estendere le competenze degli stakeholders oltre l’esercizio di un potere effettivo di indirizzo e controllo strategico è indicativa di quanto sia sottovalutata l’importanza decisiva che, invece, quest’ultimo può assumere nel governo della vita amministrativa di un’organizzazione pubblica. Gli interessi degli stakeholders coincidono con la verifica dell’effettività della protezione sociale e dell’efficienza delle sue modalità di offerta rispetto ai bisogni dei soggetti assicurati e gli strumenti funzionali per il loro riscontro sono quelli della programmazione e del controllo. Il tema semmai è quello di introdurre un principio di responsabilità del management tale che gli eventuali scostamenti ingiustificati dai risultati attesi non si traducano, come invece avviene oggi, in un nulla di fatto.

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I LIMITI DI OGGI E LE PROPOSTE PER SUPERARLI

I limiti dell’assetto vigente della governance possono essere così riassunti:

a) assenza di un processo di definizione del ruolo di indirizzo governativo nell’attribuzione degli obiettivi, dei vincoli e del loro monitoraggio;
b) inadeguatezza del processo di nomina dei delegati alle strutture di governance;
c) cattiva definizione delle funzioni degli organi di governo, secondo un principio di separazione delle responsabilità di indirizzo da quelle di gestione, aggravata anche dall’utilizzo di un linguaggio incoerente e ambiguo nel delineare i rispettivi ambiti di competenza che in più occasioni ha reso necessarie interpretazioni di chiarimento da parte del ministro del Lavoro;
d) carenza nella promozione e diffusione di valori etici (Nolan’s principles) tra i protagonisti della gestione e clamorosa assenza di una disciplina sui conflitti di interesse; (3)
e) mancanza di un contesto decisionale informato e consapevole derivante dalla monocraticità dell’organo di gestione;
f) improprio coinvolgimento degli stakeholders nel processo decisionale con l’attribuzione di competenze gestionali piuttosto che di supervisione strategica della reputazione e dell’effettività delle coperture previdenziali.

Se questi sono i limiti, ecco invece quello che vorremmo raccomandare al Governo nella ricerca di una good governance, capace di promuovere l’interesse pubblico e quello degli stakeholders.
1. L’introduzione di una disciplina dei rapporti con il Governo per colmare l’attuale carenza di indirizzo. Mutuando, ad esempio, dall’esperienza britannica, il Governo dovrebbe attribuire alla struttura budget e obiettivi, secondo un processo negoziale con il vertice dell’istituto previdenziale, nel quale siano concordate le modalità con cui perseguire gli obiettivi fissati che, pertanto, dovranno confluire nella programmazione delle attività. A chiusura del processo negoziale, sono individuati gli indicatori statistici o qualitativi per il controllo dei risultati da parte del Governo, in modo da sottoporre il management e gli organi della struttura alla rendicontazione delle risorse utilizzate e dei risultati perseguiti (accountability). All’interno di questo processo dovrà trovare spazio la regolamentazione della diffusione dell’informazione statistica attraverso l’attivazione, ad esempio, di un comitato per la qualità statistica, sulla falsa riga di quello dell’Istat.
2. La costituzione di una commissione per le nomine pubbliche, sulla falsa riga della britannica Commissioner for public appointments, cui sottoporre le designazioni di parte ai collegi, laddove non siano state seguite procedure di selezione aperte, per l’espressione di una valutazione, insindacabile, basata su principi di professionalità, di onorabilità e di trasparenza.
3. La riduzione del numero degli organi alla loro essenzialità, eliminandone la ridondanza e facendo confluire le competenze gestionali, ripartite oggi tra presidenza e direttore generale, in un unico organo gestionale, collegiale, composto da un numero contenuto di componenti di nomina governativa scelto tra i dirigenti generali degli enti ovvero tra persone dotate di riconosciuta competenza nelle materie oggetto dell’attività istituzionale e tra i quali sia individuata la figura del rappresentante istituzionale (presidente).
4. A completamento di una logica di accountability, l’attribuzione a una assemblea degli stakeholders del potere di indirizzo e controllo strategico rispetto alla verifica dell’effettività della protezione sociale nonché della conformità dei risultati conseguiti con quelli programmati, escludendo ogni forma di partecipazione alle decisioni gestionali. Il nuovo organismo dovrebbe essere partecipato, oltre che dai già previsti delegati delle parti sociali e datoriali a riconoscimento dell’ancora prevalente natura assicurativa del nostro sistema pensionistico, da tutti gli attori del palcoscenico previdenziale. Per cui dovrebbe vedere la presenza del Governo (con rappresentanti di alto profilo, in quanto risponde politicamente della qualità delle prestazioni erogate); di rappresentanti del management, per favorire la condivisione delle strategie programmatorie; di una piccola aliquota di esperti della materia, a garanzia di una maggiore competenza e autonomia di giudizio dell’organismo.
5. La conferma delle attuali prerogative del collegio sindacale secondo quanto previsto dall’articolo 2403 del codice civile.
Crediamo che rafforzando la separazione dell’indirizzo politico da quello gestionale e riducendo il numero degli organi alla loro essenzialità sarà possibile superare le criticità del cosiddetto sistema “duale” senza stravolgere o rinnegare le giuste intuizioni contenute nell’assetto normativo precedente.

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* Questo articolo è la sintesi di un lavoro più ampio in corso di pubblicazione. I punti di vista qui espressi sono quelli dell’autore e non implicano alcuna responsabilità da parte dell’Istituto di appartenenza.

(1) Bove, B., Valotti, G. e Volpe, C. (2012), Gruppo di lavoro sulla governance degli enti previdenziali e assicurativi pubblici- Risultati dell’istruttoria tecnica: Relazione finale”, ministero del Lavoro e delle politiche sociali, Roma.
(2) “La riforma del sistema di governance e del modello organizzativo degli enti previdenziali e assicurativi”, sottoscritto il 26 giugno 2012 da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria.
(3) “The Indipendent Commission on Good Governance in Public services”, Office for Public Management, 2004 cui si devono i cosiddetti Nolan’s principles, dal nome del presidente della Committee on Standard in Public Life, Lord M.P. Nolan: 1. Selfnessless: agire nell’interesse pubblico; 2. Integrity: non prendere decisioni per il proprio vantaggio personale; 3.Objectivity: agire con imparzialità; 4. Accountability: rendersi disponibili alla rendicontazione delle loro azioni; 5.Openness: agire con trasparenza; 6. Onesty: agire con lealtà e onestà; 7. Leadership: promuovere e sostenere tali principi attraverso la leadership e l’esempio personale.
(4) Issa (2010), “Issa good governance guidelines for social security institutions: A self-assessment toolkit”, Geneva, International Social Security Association.

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  1. Leonardo

    Complimenti per l’articolo: conciso e ben strutturato. Sperò che vengano prese in considerazione le sue idee sulla riforma della gestione del sistema pensionistico. Cordiali Saluti.

  2. eccettodoveindicatoaltrimenti

    Ancora oggi come verificare la veridicità dei certificati per i giorni di malattia o per l’invalidità civile resta un mistero. Per non parlare dei (e delle) dirigenti che non ricevono il pubblico, o solo eccezionalmente, delle guardie private dentro le sedi mentre c’è il pubblico, del clima alla Pinochet che regna all’Inps, e che si afferma nel Paese.

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