Non c’è solo la povertà economica a rendere problematico il presente e il futuro di molti bambini in Italia. Esiste anche una più subdola povertà educativa. Un piano di Save the Children per migliorare l’offerta di servizi e la partecipazione dei minori alle attività culturali ed educative.
UN INDICE PER LA POVERTÀ EDUCATIVA
In Italia, i minori a rischio di povertà economica e di esclusione sono il 34 per cento di bambini e adolescenti, una delle percentuali più elevate dell’Unione europea. (1)
Oltre a quella economica c’è però anche una povertà meno visibile, ma ancora più insidiosa, perché capace di lasciare segni profondi, a volte non rimediabili nel futuro educativo, lavorativo, emotivo e sociale dei giovani: la povertà educativa.
Per povertà educativa si intende la privazione della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare liberamente capacità, talenti e aspirazioni nei primi stadi del processo vitale, periodo in cui il capitale umano è più malleabile e recettivo.
Un’analisi della situazione in Italia, basata su una raccolta dettagliata, e in parte nuova, di dati e indicatori su vari aspetti della povertà educativa si può trovare nel rapporto di Save the Children, dal titolo “illuminante” di La lampada di Aladino.
Molti indicatori mostrano una situazione allarmante. Sul piano dei risultati cognitivi, il 17 per cento dei giovani non consegue il diploma superiore e lascia prematuramente ogni percorso di formazione. I risultati dei test Pisa per gli alunni quindicenni sono inoltre tra i più bassi dei paesi Ocse, nonostante qualche recente miglioramento. Al di là dei risultati cognitivi, ci sono altri indicatori che mostrano un rapporto debole o inesistente con la cultura e lo sport. Quasi il 90 per cento dei giovani tra i tre e i diciassette anni guarda la Tv tutti i giorni, ma solo uno su due ha letto un libro e uno su quattro non ha mai fatto attività fisica, mentre circa il 60 per cento dei bambini non ha mai visitato un museo.
Per documentare questa situazione e mostrarne la distribuzione territoriale, è stato costruito il primo e sperimentale indice di povertà educativa (Ipe): è costituito da indicatori sulla copertura dei nidi e servizi integrativi pubblici, classi a tempo pieno nella scuola primaria e secondaria, istituzioni scolastiche con servizi mensa, scuole con certificato di abilità agibilità, aule connesse a internet, dispersione scolastica, bambini che sono andati a teatro, concerti, che hanno visitato musei o monumenti o siti archeologici, bambini che praticano sport, che utilizzano internet e che hanno letto libri.
Tabella 1 – Indice di povertà educativa per Regione
La tabella ci mostra che tra le prime tre Regioni ci sono il Friuli, la Lombardia e l’Emilia Romagna, mentre tra le ultime la Campania, la Puglia, la Calabria e la Sicilia. Il ranking conferma che nelle Regioni dove vive il più alto numero di bambini in povertà economica ci sono anche i livelli più alti di povertà educativa sia in termini di offerta di servizi che di partecipazione dei minori alle attività culturali ed educative.
PIANO D’AZIONE CONCRETO
Come migliorare la situazione? Sono molte le cose che si possono fare e il rapporto di Save the Children le indica seguendo gli elementi della storia della lampada di Aladino, ma costituiscono obiettivi realizzabili.
Il primo passo è “strofina l’anello: promuovi la conoscenza e la ricerca”. Significa raccogliere dati e indicatori più dettagliati sulla situazione educativa dei bambini, completare l’anagrafe scolastica e valutare gli interventi.
Il secondo passo è “segui la luce”: è necessario iniziare da azioni basilari, come rifinanziare il piano nidi varato nel 2007 ma interrotto nel 2010, soprattutto nelle aree dove quasi non ne esistono, formare in modo continuo i docenti, intervenire contro la dispersione scolastica, pianificare per l’edilizia scolastica. Le ultime due mosse sono “strofina la lampada” e “libera il genio nei quartieri difficili”.
Proprio agli ultimi due punti, si lega il nuovo piano di Save the Children per contrastare il fenomeno: inizia da quest’anno e si chiama appunto “Illuminiamo il futuro”. Il programma prevede la creazione di centri (Punti luce) dove i bambini possono giocare e avere accesso ad attività educative e sportive. Nei Punti luce, creati nelle zone più difficili e prive di servizi del paese, bambini e ragazzi potranno attivare una loro dote educativa, che si concretizza in un piano individuale di supporto per libri, attività sportive, musicali e culturali. (2)
Il programma non solo ha un forte obiettivo di advocacy e può essere un passo importante per dare visibilità a un fenomeno che sta compromettendo il futuro dei giovani. Ma dà anche l’avvio a esperienze e attività concrete per combattere la povertà educativa. In questo percorso, sono fondamentali gli interventi a supporto di tutte le istituzioni che hanno in carico l’informazione, l’istruzione, la cura dei minori.
* “La lampada di Aladino” Save the Children Italia, Roma, maggio 2014.
**L’articolo è pubblicato anche su ingenere.it
(1) EU Survey on Income and Living Conditions 2013
(2) Per i dettagli del programma, si veda www.savethechildren.it
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Monica
Dove posso trovare i dati di Val d’Aosta, Provincia autonoma di Trento e Provincia autonoma di Bolzano?
Vincesko
Quale educazione? A chi? E quando? Ciascuno di noi è il prodotto di due fattori: i geni e l’educazione: il primo è una variabile non controllabile, un dato immodificabile, a meno che non si prenda in considerazione l’eugenetica; il secondo è invece una variabile controllabile, attraverso l’interazione con l’ambiente: familiare, scolastico, sociale. Possiamo chiamare questa interazione “educazione”.
Il processo educativo dovrebbe svolgersi
considerando, nell’ordine indicato, questi tre ambiti.
Le evidenze scientifiche ed empiriche attestano che si può andare oltre la grande intuizione montessoriana. L’educazione deve cominciare in famiglia già durante la gravidanza e nei primi 3 anni del bambino, periodo in cui, soprattutto, si sviluppano i collegamenti tra i neuroni (sinapsi ed assoni), che però si “fissano” soltanto a condizione che essi vengano stimolati dall’ambiente, cioè dall’educazione, altrimenti si atrofizzano. Io ho fatto applicare tale metodo da mia figlia: funziona! Posso sinteticamente dire che le azioni sono state:
– lettura alla bimba già durante la gravidanza (è molto importante farlo con voce dolce ed espressiva);
– fissazione, ripetizione ed applicazione del concetto base: “molto amore e disciplina congrua, la cui combinazione costruisce un carattere forte, che procurerà molto meno problemi alla madre (e al padre) in futuro”;
– assistenza effettuata da me telefonicamente per contrastare e battere – solo col dialogo – una leggera “depressione” post parto;
– fondamentale è il rapporto empatico.
PROGETTO EDUCATIVO
La mia proposta (che ho inviato l’anno scorso anche a “Save the Children”) è questa: in Italia ogni anno nascono 500.000 bambini, quindi ci sono 500.000 madri in gravidanza, occorre e conviene investire su di loro, attraverso un programma strategico pluriennale di assistenza a domicilio alle mamme in gravidanza e nei primi 3 anni di vita dei figli (e ovviamente ai padri), che poi, su questa solida base, si svilupperà – ma solo dopo – attraverso la scuola e gli altri organismi sociali.
A tale scopo, verrebbe selezionato e formato rigorosamente (con stage anche all’estero), attingendo tra gli psicologi, i pedagoghi, gli assistenti sociali, ecc., un piccolo esercito di 25.000-50.000 Assistenti-educatori a domicilio (sulla falsariga degli Health Visitor finlandesi), diretti secondo standard elevati di efficacia-efficienza-qualità e basandosi sul concetto di prevenzione, più semplice ed efficace e meno costoso degli interventi ex post. Per la copertura finanziaria (500 mln?), si potrebbero sia utilizzare risorse preesistenti, sia riorientare gli ingenti fondi attualmente (o almeno prima della crisi economica) spesi in progetti educativi inefficaci, mirati a bambini e bambine dai 6 anni in su (quando è già troppo tardi), gestiti da Regioni, Province, Comuni, organismi terzo settore, laici e religiosi, in tutte le Regioni italiane (!). Che cosa dovrebbero fare gli Assistenti-educatori? A mio avviso, principalmente, tre cose:
1. Educare che è l’amore incondizionato della madre e del padre il “mattone” fondamentale della personalità di un bambino, la materia prima per farne un individuo “forte”. Qualcuno obietterà: ma è necessario farli andare a domicilio? Io rispondo: sì, perché – come scrisse Michele Serra su “la Repubblica” e come l’esperienza insegna – “l’amore non è obbligatorio mai, nemmeno tra genitori e figli”. Solo un rapporto diretto, empatico è capace di “sciogliere” le non rare resistenze.
2. Educare ad impartire ai figli una disciplina congrua: né poca né troppa, a cui va aggiunta la trattazione di temi come: il rispetto delle regole, il senso civico, la propensione al rischio e l’abitudine negativa alla lamentela (la lamentela è peccato!).
3. Educare a dare un’informazione sessuale, o meglio, secondo Freud, in particolare per le bambine, una non repressione delle curiosità sessuali (ovviamente quando queste saranno esplicitate). Il resto, lo lascio decidere agli esperti. Aggiungo soltanto l’educazione alla lettura (cominciando da quella delle fiabe, fin dalla gravidanza), che è – non tutti lo sanno – una passione che si prende da piccoli, dopo è molto difficile.
Sono le donne (madri) le artefici del loro destino di cittadine a tutto tondo e di quello dei figli. Su questa solida base, poi potrà essere sviluppato il lavoro della scuola.