Passerà alla storia come la grande sanatoria del 2002. Ed è un dramma, quello dell’immigrazione clandestina, di cui proprio non ci si può dimenticare: troppo spesso capita di leggere di navi di disperati alla deriva al largo delle nostre coste …..
Passerà alla storia come “la grande sanatoria del 2002”. Ed è un dramma, quello dell’immigrazione clandestina, di cui proprio non ci si può dimenticare: troppo spesso capita di leggere di navi di disperati alla deriva al largo delle nostre coste. Eppure, della sanatoria degli immigrati appena conclusa si sente poco parlare. Quasi ci si vergognasse di averla fatta. Ma non deve passare in silenzio, perché sono molte le lezioni da trarre. Riguardano il valore dell’immigrazione per il nostro paese, le ipocrisie della politica e cosa bisognerebbe fare per evitare di dover varare una nuova sanatoria di qui a breve.
IL VALORE DELL’IMMIGRAZIONE
Erano in molti, tra le file dello stesso Governo, a pensare che la sanatoria avrebbe coinvolto circa 200.000 persone, come nel 1998. Invece quella che si profila all’orizzonte è la più grande sanatoria mai attuata nel Vecchio Continente, comparabile, con le dovute proporzioni, solo alla mega-amnistia del 1986 negli Stati Uniti. Quasi 700.000 le persone di cui si chiede la regolarizzazione, poco meno del 3 per cento della nostra forza lavoro. I cittadini italiani per la sanatoria hanno versato volontariamente nelle casse dell’INPS circa 350 milioni di euro, un sesto del gettito dell’eurotassa, che era servita per entrare nell’euro. Presumibilmente molti avrebbero fatto domanda pagando di più, anche molto di più. Quei 700 miliardi di vecchie lire versati sono, dunque, solo un limite inferiore del valore economico di trattenere queste persone in Italia. Non possiamo fare a meno degli immigrati perché essi tengono insieme un mercato del lavoro altrimenti spaccato a metà, l’una senza lavoratori, l’altra senza lavori. Il 95% degli immigrati risiede nei mercati del lavoro dinamici del centro-nord, da cui, non a caso, provengono 4 su 5 domande di regolarizzazione. Nella sola Lombardia sono state depositate più domande che nell’intero Mezzogiorno. Senza questa manodopera mobile, pronta a rispondere al richiamo dei posti vacanti, i costi del nostro dualismo – in termini di mancata crescita e inflazione – sarebbero molto più alti. Gli immigrati, inoltre, tappano alcuni dei buchi del nostro sistema di protezione sociale: è proprio dalla mancanza di servizi per i non-autosufficienti che nasce quella domanda di “badanti” (si veda Ranci) che molti non sospettavano e che ha grandemente contribuito a gonfiare i numeri della sanatoria.
LE IPOCRISIE DELLA POLITICA
La sanatoria testimonia, una volta di più, le ipocrisie su cui si reggono le politiche dell’immigrazione. Sembrano fatte solo per non essere applicate. Si fa credere agli elettori che sia possibile chiudere le frontiere, sapendo bene che, più forti sono le restrizioni ai flussi, più ampia è la sanatoria che, prima o poi, dovrà regolarizzare ex-post chi è entrato comunque, a dispetto dei divieti. Nonostante il rallentamento congiunturale, quest’anno si è invertita la tendenza alla riduzione degli sbarchi clandestini, proprio mentre venivano ridotte le quote di immigrati ammessi regolarmente (soprattutto al netto dei lavoratori stagionali). In ciascuno degli ultimi cinque anni abbiamo avuto circa 100.000 nuovi arrivi tra flussi programmati e sbarchi: quando diminuivano i primi, salivano i secondi, quasi a compensarne la mancanza. Ora si dice che questa sanatoria sarà davvero l’ultima. Ma c’è qualcuno disposto a crederci davvero?
REGOLARI NEL SOGGIORNO, NON NEL LAVORO
Per smaltire le pratiche della sanatoria, per decidere chi regolarizzare e chi no, ci vorrà come minimo un anno, come massimo – basta moltiplicare per tre i tempi dell’ultima sanatoria che aveva coinvolto un terzo di individui – quattro anni e mezzo. Dati i tassi di turnovercui sono soggetti i lavori degli immigrati (nel Nord-est cambiano lavoro in media ogni sei mesi) molti dovranno cambiare lavoro prima ancora di essere regolarizzati. Quindi la domanda di regolarizzazione sarà per molti solo l’anticamera di un nuovo impiego irregolare. Già oggi circa due terzi dei lavori irregolari di stranieri sono appannaggio di immigrati regolarmente residenti in Italia. E con le complesse procedure introdotte dalla legge Bossi-Fini (si veda segnalazione “un altro art.18 di fronte alle imprese“) per gli immigrati che cambiano lavoro, c’è da scommettere che l’occupazione irregolare di immigrati tenderà ad aumentare. Regolari nel soggiorno, irregolari nel lavoro è la peggior combinazione possibile per le finanze pubbliche perchè significa che gli immigrati possono solo ricevere, non dare.
COSA BISOGNEREBBE FARE E NON VIENE FATTO
I controlli sui posti di lavoro volti a scoraggiare l’impiego irregolare di immigrati, assieme all’intensificazione degli scambi commerciali con i paesi di origine degli immigrati (si veda Faini), sono gli unici strumenti efficaci per contrastare l’immigrazione irregolare, come insegna la pluridecennale esperienza statunitense (si veda Boeri-Spilimbergo). Ma i controlli sui posti di lavoro non vengono fatti. Secondo le stime della Caritas su dati degli Ispettorati del Lavoro e dei Carabinieri, ogni anno vengono “ispezionate” non più di 25.000 imprese, circa 1 su 200. Peccato perché in media, tra le aziende ispezionate, solo tra il 20 e il 30 per cento degli stranieri impiegati viene trovato “in regola”. Al tempo stesso, il Ministro dell’Economia, colui che più di tutti nel Governo dovrebbe capire che chiusura degli scambi commerciali significa più immigrazione, si erge a paladino del protezionismo nei confronti dei “paesi che non impongono ai produttori i doveri sociali”, gli stessi paesi da cui provengono le navi dei clandestini.
Le sanatorie servono solo se preludono a rotture, a cambiamenti nelle politiche rispetto al passato. Tutto invece lascia presumere che, dopo la “grande sanatoria del 2002”, il nostro governo ci stia solo preparando ad una nuova sanatoria. Il vero quesito è quando e come avverrà.
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