Con una crescita rallentata e deboli segnali di ripresa, i mercati europei hanno bisogno di ancorare le proprie aspettative di stabilità dei prezzi a un riferimento numerico che assegni la stessa importanza al rischio di inflazione e a quello di deflazione. Per la Bce, così legata alle politiche anti-inflazionistiche, è una nuova sfida. In queste settimane, sia in Europa che negli Stati Uniti, si sente parlare sempre più di rischi di deflazione. La grande novità è che anche la Bce, nella sua ultima comunicazione alla stampa , ha riconosciuto formalmente che questo rischio esiste. Lo ha fatto introducendo una revisione formale della propria strategia di politica monetaria, in particolare nella definizione di “stabilità dei prezzi”. Letteralmente si legge che “(..) nel perseguire la stabilità dei prezzi la Bce si pone l’obiettivo di mantenere tassi di inflazione vicini al due per cento nel medio-periodo”. Un obiettivo esplicito di inflazione La sostanza è nei dettagli. Finora si era sempre parlato di “tassi di inflazione al di sotto del due percento”. Nelle intenzioni della Bce, la nuova formula “vicini al due per cento” sarebbe sufficiente a generare un margine di sicurezza rispetto ai rischi di deflazione che stanno emergendo. È sufficiente però leggere gli estratti dalla conferenza stampa seguita all’emissione del bollettino, per farsi già un’idea della confusione che questa revisione potrebbe indurre nei mercati. Un punto appare comunque chiaro. La Bce non si decide a fare quello che tutti (economisti e non) da tempo ritengono urgente: stabilire esplicitamente un obiettivo di inflazione (per esempio, due per cento). Con un ulteriore cruciale dettaglio. Questo obiettivo numerico deve essere il valore mediano di una banda di oscillazione simmetrica, e non, come è stato finora, il valore massimo di riferimento. L’annuncio di un intervallo di valori simmetrico attorno alla definizione quantitativa del due per cento permetterebbe alla Bce di guadagnare anche una reputazione anti-deflazionistica che, senza compromettere i risultati delle politiche degli anni Novanta, permetta di fronteggiare l’attuale situazione economica, in particolare quella della Germania. La deflazione, pericolo di oggi Torniamo per un attimo a vedere le cose in prospettiva. Dopo aver vinto la loro lunga guerra contro l’inflazione degli anni Settanta, Ottanta e Novanta, è possibile che in realtà siano le stesse autorità monetarie (e non per esempio gli effetti dell’economia post-bolla finanziaria) le vere responsabili dei rischi di deflazione odierni? Le crisi petrolifere degli anni Settanta avevano segnato una svolta. Per la prima volta, la riduzione dell’inflazione diventava l’obiettivo primario della politica economica dei paesi industrializzati. In particolare, indurre i mercati e i consumatori ad aspettative di bassa inflazione si era rivelato uno strumento indispensabile per la credibilità dei programmi anti-inflazionistici. In quest’ottica vanno lette le esperienze degli anni Ottanta e Novanta, con aperture senza precedenti nella trasparenza e nell’indipendenza delle banche centrali di tutto il mondo. Paradossalmente, il successo e la lezione di quegli anni rischiano di diventare oggi una difficile eredità per la politica monetaria. L’annuncio e il tenace perseguimento di politiche anti-inflazionistiche hanno generato nel lungo periodo aspettative di bassa inflazione che sono andate al di là degli obiettivi delle banche centrali. Nel breve periodo, questo è stato un bene perché la politica monetaria non ha dovuto offrire al pubblico una definizione quantitativa di stabilità dei prezzi, ma ha potuto semplicemente far leva sull’argomentazione intuitiva che l’alta inflazione fosse un male. Tuttavia, quando con gli anni Novanta l’aumento dei prezzi è tornato sotto controllo, le aspettative di politiche anti-inflazionistiche hanno avuto un effetto boomerang che ha spinto le economie di molti paesi sull’orlo della deflazione. Capire che l’esperienza anti-inflazionistica degli anni Novanta nasconde una pericolosa asimmetria nel conseguimento di uno stabile livello di inflazione è fondamentale per elaborare oggi una politica monetaria che prevenga nuove spirali dei prezzi, in entrambe le direzioni. Di qui la lezione. Mentre in periodi di elevata o media inflazione stabilire obiettivi simmetrici di inflazione è sostanzialmente irrilevante, tale esigenza si fa cruciale quando l’inflazione raggiunge valori molto bassi. È questa la nuova sfida per le autorità monetarie. La Bce è chiamata a dare una risposta chiara e risolutiva che faccia tesoro delle esperienze del passato. La tentazione di voler costruire la propria reputazione sulla credibilità unicamente anti-inflazionistica della Bundesbank rischia di consegnare all’Unione monetaria l’obiettivo giusto nel momento e nel modo sbagliato. Con una crescita rallentata e deboli segnali di ripresa, i mercati europei hanno bisogno di ancorare le proprie aspettative di stabilità dei prezzi a un riferimento numerico che assegni la stessa importanza al rischio di inflazione ed al rischio di deflazione. A questo punto, il fatto che la dirigenza della Bce abbia mosso un passo solo timido e confuso nel riconoscere l’esistenza di un rischio di deflazione, potrebbe rivelarsi addirittura controproducente. Poiché gli operatori e i mercati sanno che le revisioni della strategia di politica monetaria non accadono di frequente, è molto facile che leggano l’ultima mossa della Bce unicamente come un’ennesima occasione perduta. Per saperne di più: L’ultimo rapporto del Fondo Monetario Internazionale, pubblicato il 18 maggio 2003, sul pericolo deflazione in Europa. Un altro documento utile presentato recentemente alla Commisione Europea è “Public finances in EMU 2003“
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Libero Pensiero
Leggendo i quotidiani specializzati e non, noto come in questi giorni si rischi di fare una grande confusione terminologica. Personalmente sono convinto che, prima ancora di addentrarsi nelle complesse tematiche relative al futuro delle economie mondiali, non sia lezioso tentare di mettersi daccordo sul significato dei termini utilizzati.
E così che, mentre mi appare abbastanza condiviso il significato di cosa sostanzialmente sia linflazione e la recessione, non mi pare che altrettanto si possa dire sul termine deflazione.
Vi è chi associa direttamente la deflazione alla recessione e chi invece tiene nettamente separati i due fenomeni economici. In realtà, tali concezioni si prestano entrambe a forti equivoci e, proprio per questo, credo necessario chiarire bene a quale fenomeno si intenda fare riferimento.
Sarebbe lungo spiegare le ragioni e le origini storiche di tali equivoci, ed allora dico semplicemente che intendo assumere con il termine deflazione lesatto contrario dellinflazione e nientaltro che questo. La deflazione è quindi in questo senso solo una costante e continua diminuzione dellindice dei prezzi nel tempo.
Detto questo, qual è il rischio che le economie mondiali possono correre? Il rischio è quello di una nipponizzazione mondiale, così come ben descritto nel saggio di Lester C. Thurow Giappone oltre la crisi. Qual è lincidenza che le autorità monetarie possono avere in questo contesto? Poca o nulla. Meglio: possono solo aggravare il problema, ma non certo contribuire a risolverlo. Perché? Perché le forze deflazionistiche provengono dal mercato reale (quello dei beni e dei servizi) e non da quello monetario.
La BCE può solo tentare di arginare le spinte inflazionistiche, ma non può nulla per ostacolare i movimenti deflazionistici, proprio perché le cause sono di natura reale e non monetaria. So bene che alcuni potranno dire che linflazione è un fenomeno di natura essenzialmente monetaria e che linflazione da domanda non esiste, se non nella testa di Keynes o dei neokeynesiani. Mi piacerebbe allora ricordare che la Grande Depressione degli anni 30 si aggravò proprio a causa di politiche reticenti ad allontanarsi dallortodossia classica e neoclassica, considerata come inconfutabile.
Consapevole di aver dovuto sintetizzare concetti che avrebbero tutti meritato un maggiore approfondimento, mi preme solo aggiungere che il vero pericolo odierno è quello della stagdeflazione, ovvero di una stagnazione dei consumi e del reddito accompagnati da un tasso di inflazione stabile o in discesa. Se così fosse (non ritengo certo di avere la palla di vetro ), mi sembra che occorra al più presto ritornare a riscoprire il valore delle politiche keynesiane di stimolo della domanda aggregata, unitamente al controllo necessario sullevoluzione delle spinte inflazionistiche che senza dubbio questa comporta. Per fare questo la BCE (o le autorità monetarie in genere) non basta: come noto, si può avvicinare il cavallo alla fonte, ma non si può certo obbligarlo a bere.
Mi farebbe piacere sapere quale è la Vostra opinione in merito.
Cordiali saluti e complimenti per il lavoro svolto.
Libero Pensiero Massimo Bocchia
liberopensiero@saltodelcanale.it
La redazione
Sono d’accordo sul fatto che va chiarito che deflazione si refirisce solo al comportamento dei prezzi (prezzi tecnicamente in calo ). Spesso lo si usa come sinonimo di recessione (produzione / reddito in calo). I due fenomeni frequentemente si accompagnano ma non sono certo la stessa cosa. Non e’ chiaro pero’ perche’ mai se la eventuale deflazione tedesca avesse origine reali la BCE non potrebbe fare nulla. In realta’, e per fortuna, le banche centrali, pur muovendo strumenti nominali come i tassi di interesse, hanno effetti sulle variabili reali (cioe’ sulla domanda aggregata in genere).
Riccardo Fabiani
Il problema della deflazione attuale è anche il problema di una politica monetaria unica divisa però in 12 diverse politiche fiscali, del lavoro ecc. Inevitabilmente ci saranno nei vari paesi diverse esigenze, diversi tassi d’inflazione, diversi rischi: pensare di imporre un unico tasso d’interesse in questo contesto è piuttosto pericoloso, e non so se reggerà nel lungo periodo; obiettivo dell’UE dovrebbe essere l’unificazione della politica economica in tutti i suoi aspetti.
rfabiani1@yahoo.it
La redazione
Sicuramente il fatto che la BCE debba gestire la politica monetaria di 12 paesi diversi potrebbe essere un vincolo in piu’ nell’affrontare il problema deflazione. In particolare la BCE potrebbe essere portata a sottovalutare il problema in Germania. Ma non c’e’ nessuna ragione di credere che ne sia stata la causa.
Per le politiche fiscali l’unificazione e’ ovviamente una chimera. Ma rafforzare e migliorare il coordinamento attraverso una riforma mirata del Patto di Stabilita’ e’ certamente problema non ulteriormente rinviabile.