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Vivere in un Paese, votare in un altro

Una situazione sempre più frequente. E molto illogica. Perché chi vive all’estero elegge nel Paese di nascita rappresentanti che decideranno su temi e questioni che non lo toccano, mentre non ha nessuna voce in capitolo per scegliere chi prenderà decisioni che lo interessano da vicino. Nonostante i proclami sulla cittadinanza europea, nessun partito politico si fa paladino di una revisione del sistema di voto. Sarà il mercato a imporre i cambiamenti necessari.

I referendum sull’articolo 18 e sugli elettrodotti sono stati la prima occasione per i cittadini italiani all’estero per esercitare il diritto di voto che la nuova legge garantisce. Nello stesso tempo, il dibattito sulla Costituzione europea è finalmente entrato nel vivo. Da italiano all’estero da quasi dieci anni, ho perciò iniziato a riflettere sull’effettiva portata del mio “diritto di voto” nell’Unione europea. La mia conclusione è che l’attuale quadro giuridico che regolamenta il voto dei cittadini esteri non è adeguato alla nuova realtà europea.

Brian e me

Facciamo il mio caso (ma è un caso replicabile all’infinito): abito in Inghilterra, lavoro e pago le tasse in Inghilterra, i miei figli frequentano una scuola inglese, mi servo dei mezzi di trasporto inglesi, quando mi ammalo mi rivolgo al sistema sanitario inglese. Insomma, non vedo nessuna differenza tra la vita della mia famiglia e quella di Brian, il mio vicino di casa. Eppure, Brian può votare per l’elezione dell’Mp (onorevole) della nostra circoscrizione (che contribuirà a determinare il livello di tassazione, il curriculum scolastico, gli investimenti nel settore dei trasporti, la riforma del settore sanitario) mentre io no. La differenza tra Brian e il sottoscritto: lui è nato in Inghilterra, io in Italia. Rovesciata, si verificherebbe la stessa situazione, se Brian e io abitassimo in Italia. Però posso votare per le elezioni (e i referendum) italiani, anche se non vivo in Italia.

Ha senso tutto questo? La mia risposta è no. Il diritto di voto basato sul luogo di nascita è anacronistico in un’Europa che ha nella libertà di movimento dei lavoratori uno dei suoi pilastri portanti. Tanto per restare nel “mio” esempio. Chi può dare un voto più informato e cosciente in Inghilterra: io, che quotidianamente vivo in quel Paese, o il nipote di un signore inglese emigrato in Namibia cento anni fa e che dell’Inghilterra magari conosce solo il Manchester United?

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Ci penserà il mercato

Eppure, nessuno solleva questo problema, perché? Molto semplicemente, perché una revisione del sistema di voto secondo le linee “vivi in un Paese, paghi le tasse in quel Paese, voti in quel Paese” comporterebbe la fine degli stati nazionali. Ma non è un bene questo se vogliamo costruire un’Europa unita? A mio parere, sì. Ma allora, perché nessun partito o uomo politico si fa paladino di questa causa? Perché, evidentemente e malgrado tanti pronunciamenti politici sull’Europa unita, nessuno vuole che siamo cittadini europei.

A questo punto, ci penserà il mercato a correggere questa stortura. Quando la migrazione intra-europea avrà fatto sì che tanti cittadini avranno due o tre passaporti e potranno quindi votare in due o tre Paesi, i politici dovranno o cambiare le regole per i voti nazionali o dare più potere al Parlamento europeo. Ma invece di legiferare sotto la pressione del mercato, non sarebbe meglio anticiparlo e preparare un quadro legislativo di riferimento per il voto nazionale? Per quanto mi riguarda, la definizione del diritto di voto è molto semplice: ricordate “no taxation without representation”?

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  1. Carlo Danzi

    Condivido quanto esposto, ma non limiterei la questione ai paesi, e alle persone, facenti parte della comunità europea.

    • La redazione

      Ho paura che si debba iniziare dall’Unione Europea per questioni politico/sociali, ma sono pienamente d’accordo con Lei che non ci dovrebbe essere discriminazione tra comunitari ed extra-comunitari.
      Giancarlo Perasso

  2. Graziella Bertocchi

    Modena, 26 agosto 2003

    Condivido con Gianfranco Perasso l’ interesse per la questione del diritto di voto per chi non e’ cittadino. Con la mia collega Chiara Strozzi, sto infatti scrivendo un lavoro proprio sulle leggi che regolano l’attribuzione della cittadinanza. L’ articolo di Perasso contiene pero’ alcune inesattezze, cruciali per comprendere la questione.
    Prima di tutto, non e’ vero che in generale il diritto di cittadinanza, e quindi di voto, viene attribuito in base al luogo di nascita. Esistono infatti due distinte tradizioni. Soltanto secondo lo jus soli, applicato per esempio nel Regno Unito e negli altri paesi di common law, la cittadinanza dipende dal luogo di nascita. Ma secondo lo jus sanguinis, in vigore in Italia e negli altri paesi di civil law, la cittadinanza viene ereditata dai genitori indipendentemente dal luogo di nascita. Quindi, se Perasso fosse nato in Italia da genitori inglesi, sarebbe inglese, e non italiano. Cosi come se i figli di Perasso fossero nati a Londra, resterebbero comunque cittadini italiani (a meno che la madre non sia inglese).
    C’e’ poi da aggiungere che i problemi legati al diritto di voto e cittadinanza per stranieri sono stati gia’ largamente affrontati, anche se sicuramente non risolti. Dalla fine dell’800 ad oggi la legislazione dei vari paesi ha apportato continui correttivi ai due principi basilari sopra descritti, in risposta principalmente proprio alla pressione dei flussi migratori. Per esempio negli anni ’80 l’ Inghilterrra ha posto limiti al fiscalmente troppo inclusivo jus soli, mentre l’ Italia ha da poco facilitato la naturalizzazione per i residenti nati da stranieri. Recentissima e’ poi la radicale riforma della legislazione in Germania, i cui confini geopolitici solo dopo l’ abbattimento del muro hanno raggiunto una stabilita’ tale da consentire l’ abbandono dell’esclusivo principio dello jus sanguinis. In generale, laddove esistano rilevanti flussi migratori e una sufficiente stabilita’ geopolitica, si e’ assistito di fatto a una graduale convergenza delle diverse legislazioni verso un mix dei due principi basilari.
    Anche la questione della doppia cittadinanza, lungi dall’ essere lasciata al mercato, e’ pure regolata dagli stessi corpi legislativi, che hanno infatti gradualmente introdotto una crescente tolleranza nei confronti di questa specifica condizione che appare sempre piu’ diffusa.
    Non si puo’ nemmeno sostenere che i politici non abbiano dedicato attenzione a questa questione. In Italia da poco e’ stato agevolato l’esercizio del diritto di voto ai cittadini residenti all’ estero, pur senza tenere conto del fatto che nel nostro paese il quadro legislativo e’ ancora essenzialmente regolato dallo jus sanguinis: di fatto il diritto di voto e’ stato quindi esteso anche a cittadini italiani che sono tali solo in quanto discendenti, anche indiretti, di cittadini italiani. In questa luce, sarebbe probabilmente necessario un correttivo alla recente legge che introducesse dei precisi requisiti in termini di residenza almeno per alcuni anni precedenti all’emigrazione.
    Per finire, nell’ affrontare questo argomento occorre distinguere tra elezioni politiche ed elezioni locali. Per queste ultime, ci sono paesi (e stati degli USA) in cui i residenti non-cittadini possono votare. E spesso sono queste elezioni a determinare tasse e trasferimenti nel settore scolastico, sanitario e dei trasporti. Quindi, nel rivendicare – come giusto – un ulteriore adeguamento del quadro legislativo, occorre tenere ben presente questa distinzione.

    • La redazione

      Ringrazio la professoressa Bertocchi per i suoi commenti perche’ mi permette di (spero) chiarire il senso del mio articolo. Mi sembra che la professoressa Bertocchi associ il diritto di voto alla cittadinanza. Al contrario, il mio articolo (senza alcuna pretesa scientifica) evidenzia il seguente quesito: chi ha gli incentivi maggiori per votare in modo
      informato: A) una persona che vive, lavora, paga le tasse in un certo paese (INDIPENDENTEMENTE dalla sua nazionalita’) oppure B) una persona che e’ cittadino di quel paese (per “jus soli” o “jus sanguinis” e’ irrilevante) ma che ormai da anni o da generazioni (se vale lo “jus sanguinis”) vive all’estero e non ha contatti con il suo paese? La mia risposta e’ che la
      persona A) ha gli incentivi maggiori per votare in modo informato e che quindi l’attuale quadro normativo non e’ adeguato alla situazione europea di fatto, caratterizzata da totale liberta’ di movimento. Ben vengano quindi, studi accademici sull’argomento, sperando che alimentino il
      dibattito sulla questione.

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