Sotto accusa da sempre, i sussidi all’agricoltura europea resistono nel tempo grazie alle pressioni dei gruppi di interesse. Altissimi i costi per i cittadini europei che finanziano le agevolazioni come contribuenti e come consumatori. Ma anche per i Paesi emergenti che non possono accedere liberamente ai nostri mercati. Wto e Ue, seppure con accenti diversi, sembrano ora disposti a impegnarsi per una loro sostanziale riduzione. Sarà vero? Fin dall’inizio, negli anni Sessanta, la politica agricola comunitaria (Pac) è stata aspramente criticata sulla base di uno stesso argomento: l’elevato sostegno dei prezzi agricoli con effetti devastanti sul mercato interno e su quello internazionale Agricoltura “cara” per i cittadini Sul mercato interno, gli sprechi di risorse economiche sono stati enormi, prima con la distruzione delle eccedenze (montagne di burro, laghi di latte), poi con l’imposizione di quote di produzione. Infine, con il “set-aside”, la “messa a riposo” delle terre arabili: un eufemismo dietro il quale si nasconde il fatto che i cittadini dell’Unione, come contribuenti, pagano annualmente circa 1.700 milioni di euro agli agricoltori per indurli a non coltivare quasi il 10 per cento dei loro seminativi. In questo modo l’offerta di prodotti si riduce e i prezzi rimangono alti. Cosicché i cittadini, questa volta in veste di consumatori, pagano anche l’aumento della spesa alimentare. A questa cifra si aggiungono i sussidi alle esportazioni, per oltre 5 miliardi di euro a spese dei contribuenti. Agli inizi degli anni Novanta, l’Unione europea decise di abbassare sostanzialmente il sostegno dei prezzi di mercato dei cereali e dei semi oleaginosi. Per evitare una repentina riduzione dei redditi dei produttori agricoli, si concessero “pagamenti compensativi” che avrebbero dovuto favorire l’aggiustamento strutturale delle aziende agricole e la loro riconversione verso i nuovi, più bassi, prezzi di mercato. Non furono però fissati né il tasso annuo di riduzione né entro quanti anni i pagamenti “compensativi” avrebbero dovuto essere eliminati. I gruppi di pressione agricoli sono perciò riusciti a mantenerli nel tempo, sotto nomi diversi: prima “aiuti al reddito” e, poi, con la più recente riforma della Pac, compensi per i benefici ambientali. Il sostegno al settore agricolo è ancora più o meno direttamente legato alla quantità prodotta. Di conseguenza, distorce i prezzi di mercato che dovrebbero trasmettere ai produttori le preferenze dei consumatori. E diventa impossibile una efficiente politica di aggiustamento strutturale perché gli incentivi pubblici a migliorare la dimensione delle imprese e il capitale impiegato finiscono con l’aumentare le eccedenze invendute o col richiedere un più ampio ritiro dalla produzione di superficie coltivabile. In ambedue i casi si finisce con l’aumentare il già ingente spreco di risorse economiche. La riduzione del sostegno dei prezzi è quindi non solo utile, ma assolutamente necessaria. La concorrenza sleale è degli europei A livello internazionale, questo elevato sostegno alla nostra agricoltura riduce la possibilità di accesso ai nostri mercati per produttori e paesi che hanno costi di produzione molto minori. Spesso, si tratta di paesi meno sviluppati che hanno nell’agricoltura una delle principali fonti di vantaggi comparati a livello internazionale: con le esportazioni agricole potrebbero finanziare il loro sviluppo economico. Gli impegni del Doha Round L’attuale Doha Round sulla liberalizzazione del commercio internazionale si è aperto con una dichiarazione che prevede una “sostanziale riduzione del sostegno agricolo che distorce il commercio internazionale”. Questa affermazione è citata sia dal documento congiunto dell’Unione europea e degli Stati Uniti che dalla bozza della “Dichiarazione ministeriale di Cancun”, diffusi rispettivamente il 13 e 31 agosto. Secondo la bozza presentata dal segretariato del Wto i sussidi e i crediti alle esportazioni dovranno essere smantellati, e un trattamento di favore è concesso ai paesi meno sviluppati. Il documento UE-Usa è molto meno aperto su questi due argomenti. La posizione conservatrice dell’Unione europea è nota, ma sembra che anche l’amministrazione Bush non abbia grossi problemi a rinnegare i principi del libero mercato di fronte alle pressioni dei gruppi di interesse agricoli, danneggiando anche gli interessi dei cittadini statunitensi. Come accade sistematicamente in tema di politica agraria, il danno viene subito da un numero molto grande di cittadini, nella loro veste di contribuenti e di consumatori. Non sono però organizzati sul piano politico per contrastare efficacemente l’azione dei molto più piccoli gruppi di produttori, maestri nell’influenzare i mezzi di comunicazione e chiunque abbia una parte rilevante nel processo decisionale della politica agricola. Speriamo che il Doha Round del Wto si concluda con qualcosa di più concreto, sia per noi che per i paesi più poveri. Non si può però biasimare chi non ci crede più. (1) Sugli effetti globali della Pac: J. Marsh, S.Tarditi Cultivating a Crisis, the global impact of the CAP, Consumers International, London.
Questo “capolavoro” di efficienza economica, è reso possibile dalla protezione delle frontiere, che evita l’importazione di prodotti a prezzo più basso (per zucchero, latte, carne bovina, per esempio): un sostegno ai prezzi di mercato stimato su dati Ocse in oltre 54 miliardi di euro nel 2002.
Protezione del mercato interno e dumping dei nostri prodotti sul mercato internazionale sono sempre stati osteggiati in sede Gatt-Wto.
Complessivamente i pagamenti diretti agli agricoltori ammontano a 45 miliardi di euro. Con i trasferimenti impliciti nel sostegno dei prezzi di mercato, il sussidio alla produzione agricola arriva vicino ai 100 miliardi di euro, a cui bisogna aggiungere oltre 13 miliardi spesi per servizi generali all’agricoltura. In tutto, il trasferimento annuo al settore agricolo supera i 110 miliardi, più del bilancio dell’Unione europea (95,7 miliardi nel 2002) e molto superiore al valore aggiunto netto del settore agricolo. Equivale a oltre 1.000 euro all’anno in media da una famiglia di quattro persone, oppure a un trasferimento medio di 17 mila euro all’anno per unità di lavoro agricolo.
È una concorrenza decisamente sleale specialmente verso i paesi poveri che non possono chiedere ai loro consumatori e contribuenti di sussidiare i prezzi dei loro prodotti (1).
Alcuni paesi sono costretti a compensare la mancata esportazione dei prodotti agricoli con l’esportazione regolare o irregolare della forza lavoro.
Ambedue i documenti prevedono una chiara definizione dei tempi e dei modi di riduzione del sostegno all’agricoltura. I “pagamenti compensativi” vengono ufficialmente riconosciuti, ma limitati al 5 per cento del valore della produzione entro la fine del periodo di applicazione degli accordi.
Le numerose riforme della Pac hanno sempre promesso molto, per poi ridursi a cambiamenti prevalentemente cosmetici della realtà economica. La riforma MacSharry del 1992, l’accordo agricolo dell’Uruguay Round del Gatt-Wto, le riforme di Agenda 2000, non sono riuscite a ridurre i trasferimenti generati dalla Pac per addetto agricolo, né hanno modificato la distorta struttura produttiva della nostra agricoltura.
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max michiel8
Egregio Professore,
cerco di sintetizzare gli aspetti salienti del suo contributo: le conclusioni, analoghe peraltro a quelle di altri autorevoli opinionisti (come Galli Della Loggia) portano il lettore a considerare l’agricoltura europea e italiana come un settore parassitario, che grazie alla potenza lobbistica, non solo grava pesantemente sul bilancio comunitario e delle tasche del cittadino, ma contribuisce all’impoverimento dei paesi in via di sviluppo o terzomondiali.
Sull’impoverimento generalizzato ho qualche perplessità: se ad esempio sul mercato cinese o brasiliano arrivano prodotti agricoli americani o europei a prezzi sottocosto, il danno si riflette sul produttore cinese o brasiliano ma non certo sul consumatore.
Mi domando se la ricetta è ripristinare il libero mercato globale e annullare i sussidi agli agricoltori.
Il sostegno diretto al reddito, pur poco elegante (l’industria e il terziario ricevono sostegni pubblici in modo più sofisticato, ma non meno pesante) ha fatto sì che i prezzi all’origine dei prodotti agricoli siano ora uniformi a livello mondiale (basta osservare i listini di grano, mais o soja nelle varie piazze internazionali dell’occidente e sul mercato interno locale italiano per verificare che le differenze sono veramente minime).
Anzi penso che i prezzi siano influenzati al ribasso per effetto dei sostegni al reddito, perchè inevitabilmente questo meccanismo porta ad aumentare le quantità e conseguentemente a drogare l’offerta.
L’Unione Europea sta apportando correttivi, facendo valere il principio, sicuramente più rispettoso della concorrenza, dell’invarianza dell’aiuto rispetto al prodotto coltivato.
Al consumatore e al lettore sarebbe opportuno anche far notare l’andamento dei prezzi all’origine dei principali prodotti agricoli negli ultimi decenni (prendiamo ad esempio il prezzo del frumento, confrontiamolo con quello del pane e apriamo un altro fronte di dibattito).
Se venissero annullati i sostegni al reddito agli agricoltori europei, penso che dovremmo abituarci, anche visivamente, a paesaggi incolti in tutte quelle aree dove i fattori di produzione (acqua, clima, caratteristiche dei terreni) non sono ottimali.
La produzione probabilmente si concentrerebbe nelle zone più favorevoli (credo che la pianura padana abbia caratteristiche di fertilità di assoluta eccellenza a livello planetario) e con dimensioni aziendali sicuramente più ampie di quelle attuali.
Se tutto questo si avverasse, la concentrazione dell’offerta non sarebbe, credo, neutra agli effetti della formazione dei prezzi all’origine.
L’andamento dei prezzi agricoli è legato infatti e non poco alla frammentazione e alla debolezza contrattuale dei produttori.
Non credo tuttavia che lo scenario sarà questo: credo che la lobby agricola seguirà l’esempio di quella industriale ed imparerà ad adottare mezzi più raffinati dei dazi per combattere la concorrenza dei produttori dei Paesi emergenti o in via di sviluppo.
Se oggi non è politicamente corretto accettare il pallone cucito a mano da un dodicenne della Malesia, domani i prodotti agricoli della Cina troveranno altrettante barriere sanitarie e sociali alla commercializzazione nei Paesi occidentali.
E allora probabilmente i presunti ricchi agricoltori europei e americani non verranno messi all’indice come sta avvenendo oggi.
Grazie per l’attenzione.
La redazione
Rispondo sinteticamente ai suoi numerosi quesiti:
A mio giudizio i benefici che i prezzi bassi per i prodotti agricoli portano ai consumatori dei paesi poveri sono ampiamente superati dai danni per i produttori. Questi prezzi bassi oltre a impoverire i produttori distorcono gli investimenti e frenano la sviluppo nel lungo termine. Inoltre il dumping
delle nostre eccedenze alimentari può venire interrotto in caso di carenza di alimenti a livello planetario, come accadde agli inizi degli anni settanta. In questi casi sono i consumatori dei PVS a pagarne le spese, in quell’occasione molte persone dell’Africa sub-sahariana morirono di fame.
Infine prezzi internazionali distorti riducono lo sfruttamento potenziale delle risorse agricole a livello planetario.
Non credo che “l’industria e il terziario ricevono sostegni pubblici in modo più sofisticato, ma non meno pesante” se ha informazioni in merito me le faccia sapere. Per quanto ne so io, attualmente in media un’ “Unità Lavoro Agrgricolo” (ULA) riceve circa 17000 Euro di trasferimenti complessivi
all’anno, calcoli fatti su informazioni OCSE, i trasferimenti complessivi al settore agricolo sono più elevati del suo valore aggiunto. Tenga conto che per i produttori agricoli i prezzi di mercato che cita lei sono solo una parte dei ricavi per unità di prodotto, i sussidi diretti aggiuntivi possono essere più elevati del prezzo. Considero l’argomento “desertificazione del paesaggio” in caso di riduzione dei sussidi agricoli una specie di terrorismo intellettuale abbastanza disonesto. In primo luogo ora paghiamo gli agricoltori per non coltivare la
terra, quindi senza questi sussidi una parte di seminativi verrebbe coltivata di nuovo. In secondo luogo credo credo che sarebbe come se un obeso non volesse ridurre le calorie dei suoi pasti per non morir di fame.
Possiamo benissimo dare sussidi ai nostri agricoltori nelle regioni in cui esiste un eventuale problema di deterioramento ambientale. Questi sussidi sono inclusi dal WTO nella scatola verde e non hanno limiti. Alcune barriere non tariffarie agli scambi sono oneste in quanto giustificate da un aumento del benessere complessivo dei cittadini, altre sono solo dei paraventi per bloccare le importazioni. Il loro uso dipenderà
dalla correttezza dei nostri operatori politici.
Cordiali saluti
Secondo Tarditi