La tendenza alla concentrazione del mercato televisivo è comune a tutti i paesi perché deriva dalle caratteristiche della concorrenza tra reti generaliste finanziate con la pubblicità. L’Italia è un caso estremo per la presenza di due gruppi multicanale che rendono difficile l’ingresso di nuovi operatori anche in segmenti non coperti. E per una struttura proprietaria altrettanto fortemente concentrata. Lo sviluppo del digitale terrestre non è una soluzione, soprattutto perché non avverrà in tempi brevi.

La garanzia del pluralismo in ambito televisivo richiede come condizione necessaria l’esistenza di un numero sufficiente di canali indipendenti. Il numero di canali a sua volta rimanda alle caratteristiche della concorrenza nel mercato televisivo e alle quote di mercato, in termini di audience e di introiti pubblicitari, che gli operatori sono in grado di ottenere; in ultima analisi, quindi, al numero di canali sostenibili dal mercato.
Dato il numero di canali in grado di ottenere profitti, si pone poi un secondo problema, legato alla loro reciproca indipendenza, che rimanda agli assetti proprietari dei gruppi televisivi.

L’anomalia italiana

La tesi sviluppata nel nostro intervento è articolata in tre punti:

1. La tendenza alla concentrazione del mercato televisivo è comune a tutti i paesi europei e, in buona misura, anche al più vasto mercato nord americano. Nella tabella qui riprodotta si può osservare come in tutti i paesi europei i primi quattro canali raccolgono la gran parte della audience (e degli introiti pubblicitari).


La concentrazione in Italia appare ancora più pronunciata guardando ai telespettatori dei telegiornali, e confrontandoli con i lettori dei principali quotidiani nazionali

 Lettori dei principali quotidiani
(prim. 2003)
• Corriere della Sera   2679
• Il Messaggero          1267
• La Repubblica         2704
• Il Sole 24Ore           1227
• La Stampa               1598
Spettatori dei principali telegiornali (gen.-ott. 2003)
• Tg1                          6400
• Tg2                          2994
• Tg3                           3211
• Tg4                           1244
• Tg5                            5771
• Studio Aperto           1373
• Tg La7                         228

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La concentrazione nel settore televisivo, come argomentato su lavoce.info (Pluralismo, non solo una questione di regole), deriva dalle modalità di concorrenza tra reti generaliste finanziate con pubblicità (alti ricavi pubblicitari sono ottenibili solo con alti investimenti nei contenuti, in grado di attrarre una ampia audience) e non dall’insufficiente disponibilità di frequenze per la trasmissione.

2. L’Italia rappresenta un caso estremo per la presenza di due gruppi multicanale, che con una programmazione coordinata riescono a massimizzare la audience e a rendere più difficile l’entrata di nuovi canali in segmenti non coperti del mercato. Su questa struttura particolarmente concentrata si innesta poi una struttura degli assetti proprietari (pubblici e privati) molto concentrati.

3. Lo sviluppo della televisione digitale terrestre, capace di moltiplicare il numero di canali trasmessi, richiederà tempi lunghi per gli investimenti degli operatori nella rete di ripetitori digitali e del pubblico nelle apparecchiature di ricezione. La Legge Gasparri ipotizza uno scenario estremamente accelerato del processo, con lo switch over al digitale nel 2006, contro ogni evidenza e logica economica. Scenari più ponderati suggeriscono una transizione di 7-8 anni in presenza di incentivi pubblici e di 14-15 in assenza di essi. Inoltre, i nuovi canali digitali non saranno in grado (almeno per il prossimo decennio) di ridurre la concentrazione dei canali dominanti, e la stessa entrata nella televisione a pagamento appare difficile data la ricca offerta di Sky Italia.

Il problema del pluralismo richiede quindi di affrontare la forte concentrazione proprietaria e di mercato del duopolio attuale.


 

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