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La falsa privatizzazione dell’Aem

Con la vendita di un’altra quota di azioni, il Comune di Milano scenderebbe al di sotto del 51 per cento nella ex municipalizzata. Il prezzo fissato per l’operazione è sostanzialmente corretto. Eppure in molti gridano allo scandalo e lo stesso Palazzo Marino teme la perdita del controllo dell’azienda, tanto da riproporre una qualche forma di golden share. Una pessima idea, che riduce il valore dell’impresa e che ritarda una privatizzazione “vera”. Ma anche il segno della difficoltà delle amministrazioni pubbliche ad accettare i più semplici principi del mercato.

Il Comune di Milano vuole vendere un’altra quota delle sue azioni nell’Aem, la ex “municipalizzata” che gestisce luce a gas nel milanese. Scenderebbe al di sotto del fatidico 51 per cento e questo fa gridare allo scandalo l’opposizione (ulivista). Qualcuno ritiene addirittura “suicida” vendere un’impresa che va bene. Come se fosse facile venderne una che va male.
Ma a parte questo folklore, quali possono essere le argomentazioni a sostegno di una tesi o dell’altra?

Si tenga conto che quando si vendono le azioni di un’impresa si cede il diritto ai profitti futuri di tale impresa.
La scelta per il Comune se sia più vantaggioso tenere gli utili futuri, o se invece sia meglio capitalizzarli per effettuare investimenti, pertiene strettamente alla sfera della decisione politica. Entrambe le alternative sembrano a priori legittime.

Un prezzo conveniente?

Ciò premesso, vendere può essere o meno un buon affare a seconda del prezzo, che sarà adeguato al valore atteso dei profitti a cui si rinuncia in futuro.
Il prezzo a cui pare si voglia effettuare l’operazione è in linea con il prezzo di mercato, che riconosce ad Aem una capitalizzazione attorno ai 2,7 miliardi di euro. L’attuale momento del mercato azionario forse non premia la società, ma Aem viene da un periodo di solida crescita del prezzo (circa +20 per cento nel 2003).
L’ultimo bilancio (2002) si è chiuso con un utile netto consolidato di 112 milioni di euro; buono, ma non colossale. Peraltro, il 2003 sembra essersi concluso con utili molto superiori. In parte dovuti al subentro di Aem nelle zone di distribuzione Enel a Milano e Rozzano. Ma non ci si deve illudere, perché la principale voce di variazione è dovuta alla cessione di Fastweb con una sostanziosa plusvalenza (225 milioni di euro).
Se anche l’espansione di Aem in quella che prima era una zona servita da Enel è un elemento permanente, pensare a utili “a regime” di ordini di grandezza molto superiori ai 250 milioni sembra a tutt’oggi molto avventuroso, anche per le incertezze sull’evoluzione del mercato elettrico nazionale.

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Ma allora, se si immagina un utile medio futuro di questo tipo (molto superiore al 2002, ma non esorbitante ) e se ne calcola il valore attuale (considerando diverse ipotesi ragionevoli sul premio per il rischio), si ottengono valori poco superiori all’attuale capitalizzazione di Borsa.
Il mercato sembra quindi già scontare (non sorprendentemente) una buona parte di quanto verosimilmente vedremo a partire dal bilancio 2003. Un maggiore ottimismo è legittimo, ma lo è anche la cautela del mercato.
In altri termini, l’attuale valore di mercato sembra in linea con quanto è prevedibile al momento. Anche se per valutare l’operazione servirebbero ben altri elementi, nulla fa pensare che il prezzo sia irragionevole.

La golden share resuscitata

Allora, l’unica materia seria del contendere è se sia giusto cedere la maggioranza dell’impresa.
L’Aem fa, essenzialmente, due tipi di cose: vende energia in settori regolati (con prezzi soggetti a controllo pubblico) e opera in settori contigui (vendita di energia elettrica o gas) dove la concorrenza comincia a essere effettiva, e ove Aem non è certo una grande impresa. Vi sono solo poche cose che Aem potrebbe fare e per le quali, data la loro scarsa osservabilità da parte di un outsider, un qualche controllo interno potrebbe (forse) essere utile; la qualità del servizio, ad esempio, ma per osservare questi comportamenti non è necessario avere il controllo dell’impresa. E comunque non si deve esagerare la rilevanza di questi temi.

Se il Comune dovesse perdere il controllo dell’impresa non vedrei quale problema questo potrebbe far sorgere.
Il Comune sembra invece preoccupato dalla eventuale perdita del controllo: lascia molto perplessi il suo tentativo di modificare lo statuto in modo da mantenere il controllo dell’impresa anche con una partecipazione di minoranza. Azioni che contano più che proporzionalmente? Ricorda un po’ la golden share, fattispecie che l’Unione europea sta cercando di limitare il più possibile, ma che il Comune di Milano vorrebbe invece resuscitare e potenziare, non importa molto sotto quale forma.
È evidente che questa vendita non è una privatizzazione. La Aem è (e in questo modo resterebbe) un’impresa in mano pubblica.
È curioso che proprio un’amministrazione “liberista” voglia negare il principio che chi ha la maggioranza delle azioni ha il diritto/dovere di determinare la politica dell’impresa. Ci sembra una pessima idea, che chiaramente riduce il valore dell’impresa (e quindi il valore del patrimonio del Comune), che ritarda una privatizzazione “vera” (la cessione del controllo ai privati) che non si vede per quale ragione sia temuta, a destra come a sinistra.

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Così fan tutti

È un esempio istruttivo almeno per due ragioni. Da un lato, evidentemente anche le amministrazioni che paiono più orientate al mercato faticano a digerire (o far accettare ai loro elettori) i principi più semplici: che la proprietà pubblica non serve, se non in casi estremi; che il mercato ha delle regole che non è “sano” distorcere; e che la valorizzazione del patrimonio pubblico richiede che l’amministrazione pubblica faccia un passo indietro.
Ma anche l’opposizione non ne esce bene: a Roma si lamenta perché non si privatizza, a Milano perché si privatizza. L’Italia resta un paese molto interessante.

 

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Sommario 22 gennaio 2003

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Sbagliata l’analisi, sbagliata la cura

  1. Giorgio Di Maio

    A proposito della “falsa privatizzazione dell’Aem” credo che sia molto importante per i cittadini milanesi, e certamente lo è per me, capire innanzitutto perché sia necessaria o opportuna la cessione di un’ulteriore quota del capitale dell’Aem da parte del Comune di Milano e se i risultati di una completa, e vera, privatizzazione dell’Aem non saranno alla fine negativi così come negativi si sono dimostrati gli effetti della privatizzazione delle autostrade (vedi lavoce.info del 20 gennaio).

    • La redazione

      Caro sig Di Maio,
      non so se la privatizzazione in se sia un bene o un male. La teoria economica non dà indicazioni univoche, l’esperienza pratica è piena di esempi sia pro, sia contro.
      Aem da un lato opera in mercati concorrenziali dove comunque la presenza pubblica è imponente (Eni, Enel), e dove Aem – rispetto al mercato nazionale – non ha molto potere di mercato. Privata o no, i prezzi saranno
      più o meno gli stessi. Dall’altro, Aem opera in mercati ove i prezzi sono fissati da un’autorità pubblica, che dà anche incentivi alla qualità del servizio ed effettua un
      certo monitoraggio di quanto fanno le imprese. Forse in questi mercati un’impresa privata sarebbe semplicemente più capace di ridurre i costi di quanto potrebbe fare un’impresa pubblica. E questo sarebbe un bene per tutti.
      L’unico problema sono le cose meno osservabili da fuori, ovvero la frequenza della manutenzione delle reti. Ma avere un controllo specifico su questo sarebbe probabilmente più che sufficiente, e a questo fine non serve avere la maggioranza…In un mercato di questo tipo, la privatizzazione è una scelta praticamente neutrale rispetto alle cose che contano per i consumatori. Il problema delle Autostrade non è stata tanto la privatizzazione, ma come il settore è stato regolato da quel momento in avanti. E problemi di questo
      genere oggi nei mercati energetici, grazie al lavoro del prof. Ranci che fino a poche settimane fa ha gestito l’Autorità per l’energia, non ne abbiamo.
      Da qui in poi, è solo un problema finanziario: è meglio avere i quattrini oggi, o aspettare di ricevere ogni anno i dividendi? Su questo ci possono essere pareri diversi, ma riguardano la gestione delle risorse dal punto di vista finanziario, non altro. Le guerre di religione sulla privatizzazione proprio non le capisco.
      Cordiali saluti

      Carlo Scarpa

  2. Massimo Biondi

    1. una privatizzazione “vera” (la cessione del controllo ai privati) può riguardare un’azienda che opera in un mercato libero. Non è il caso di AEM, visto che per tutti i clienti privati vige il monopolio. A me sembra che non abbia nulla a che fare col mercato e col liberismo la privatizzazione di un’impresa che opera in regime monopolistico. Prima facciamo il mercato, se si riesce. Poi privatizziamo.

    2. non ci sono prove del fatto che i privati gestiscono sempre meglio del pubblico. Non ci sono prove nemmeno del fatto che l’azionista pubblico non possa indirizzare la gestione verso criteri di stampo privatistico. Che non lo faccia spesso è vero. Che non lo possa fare no.

    3. la diffusione acritica di idee non provate caratterizza le guerre di religione. E’ il dubbio semmai (privatizzare si o no, quando, come) che non appartiene alle religioni.

    Massimo Biondi
    mail@massimobiondi.it

    • La redazione

      Caro lettore,
      mi spiace avere dato l’impressione di essere un liberista sfrenato (che non sono), ma il suo messaggio mi consente di fissare un po’ di punti utili.
      1. Una privatizzazione vera può riguardare anche mercati regolati. Su questo, non ho dubbi. Il mondo è pieno di esempi in materia (si pensi al sistema elettrico inglese, ma non è certo l’unico caso) e se l’autorità di regolazione è abbastanza attenta il consumatore è più che tutelato. D’altronde, il peggiore episodio di mal fuzionamento di un sistema elettrico lo abbiamo avuto proprio in Italia con il black-out, e la rete di trasmissione era di gestione pubblica…
      2. Il confronto pubblico-privato non consente di dire con certezza chi dei due funzioni meglio, verissimo. Ma allora il punto è: serve veramente (proprio perchè non abbiamo ragioni per credere che il pubblico “sia meglio”) mantenere
      la proprietà in mano comunale o statale? In pratica sospetto che una privatizzazione aiuterebbe a recuperare un po’ di efficienza rispetto all’attuale situazione, ma su questo non ho certezze e non voglio iniziare guerre di religione.
      3. Sull’ultimo punto, restituisco l’osservazione al mittente. Si rilegga con calma il pezzo…
      con i migliori saluti
      carlo scarpa

  3. RICCARDO MARIANI

    La privatizzazione di Aem è difesa sostenendo che 1) non esistono pericoli di monopolio 2) il prezzo è congruo. Questi sono gli argomenti canonici nel perorare la dismissione di imprese pubbliche. Sono senz’ altro i più utili per convincere i sostenitori di tesi contrarie. Nonostante cio’ osservo:

    1) solo un’ idea statica dell’ economia si concentra sui risparmi nel costo di produzione che il privato puo’ realizzare. L’ azione del mercato è innanzitutto quella di scoprire soluzioni innovative (esempio: il telefonino come alternativa ai cavi). Ma per sfruttare queste potenzialità domani può essere necessario sopportare forme di monopolio (naturale) oggi. E’ il monopolio con ampia possibilità di entrata per i concorrenti che indirizza correttamente le risorse sulle alternative a sè stesso. Esempio: i recenti blackout USA segnalano come la regolamentazione molto forte che esiste sulla gestione di rete non indirizzi correttamente gli investimenti in quel settore.. Inoltre il mercato della generazione locale di energia elettrica è fiorente laddove la gestione della rete (grid) non è pubblica o soggetta a concessione pubblica (negli USA gli operatori di questo settore hanno fatto causa al Governo per concorrenza sleale. Quest’ ultimo nella sua attivita’ di regolamentazione e’ sostenuto dal big business: 17 milioni di dollari investiti dal 1997 al 2000 per finanziare la lobby favorevole alla regolamentazione stando a quanto riferisce John Mintz sul Washington Post). Effettivamente dire che il monopolio accumula e indirizza al meglio il capitale per l’ innovazione non rende nel confronto con le tesi contrarie. Questo perchè la privatizzazione colpisce soggetti precisi per avvantaggiarne altri indeterminati, l’ argomento dell’ innovazione amplifica questo inconveniente. Se però lo accettiamo allora privatizzare significa perdere il controllo della società (golden share) ma anche rinunciare ad una stretta regolamentazione delle tariffe.
    2) Privatizzare e vendere non sono la stessa cosa. Una buona vendita può essere una cattiva privatizzazione. Addirittura per taluni privatizzare significa “restituire” più che vendere: per esempio consegnare le azioni della Rai a chi ci lavora dentro può essere una buona privatizzazione. Il bene pubblico è il bene di tutti e non solo degli utenti non c’ è assoluta equivalenza tra “pubblico” e “consumatori”. Se si accetta questo allora anche le osservazioni sul prezzo congruo non chiudono il discorso.

    Su questi temi l’ ostentazione ideologica è sconveniente, le guerre di religione sono da evitare accuratamente ma anche l’ utilitarismo di breve periodo è controproducente se alimenta speranze che potrebbero andare deluse. Questo rischio rende timorose anche le amministrazioni più orientate al mercato.

    Saluto cordialmente.

    • La redazione

      caro lettore,
      cerco di risponderle, seguendo il filo delle sue argomentazioni.
      Quanto al suo primo punto, non mi risulta che i segmenti monopolistici dei settori gas ed elettricità (gestione delle reti) siano particolarmente innovativi, e in ogni caso non vedo come il cambio di proprietà rilevi a riguardo. Il confronto tradizionale (con poche presunzioni di avere la
      soluzioni ottimale) è tra concorrenza e monopolio, mentre sul confronto pubblico-privato in proposito sappiamo ancora meno…
      Sul secondo punto, l’accenno alla Rai mi fa venire alla mente la vendita di Alitalia ai suoi dipendenti. Anche sulla base di quella (pessima) esperienza, temo di non essere molto favorevole. E i tentativi di avere azionariato diffuso
      (ad esempio quelli dell’Inghilterra della Thatcher) non hanno mai sortito grandi risultati: dopo poco, i piccoli azionisti hanno sempre venduto a soggetti di maggiori dimensioni.
      Effettivamente, evitare le posizioni ideologiche e guardare alle esperienze concrete può essere preferibile…
      Con i migliori saluti
      carlo scarpa

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