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Restano gli incentivi al processo lungo

Riproponiamo ai lettori de lavoce.info questo articolo di analisi dei motivi che rendono troppo lunghe le cause civili, aggiornato dopo il varo del disegno di legge delega di riforma del processo civile. Un progetto che non interviene sulla questione principale, gli onorari degli avvocati. Oggi sono legati al numero delle attività svolte nel corso della causa e senza una loro forfaittizzazione non vi sarà alcuna riduzione dei tempi dei processi. Penalizzando ancora la parte che ha ragione.

Contrariamente all’opinione comune, la congestione del sistema giudiziario italiano e la lunghezza dei tempi di risoluzione delle cause civili dipendono più da problemi dal lato della domanda che da carenze dell’offerta. Finora, invece, le politiche di potenziamento del sistema giudiziario sono state dirette prevalentemente ad aumentare il numero dei magistrati (il cui numero per abitante si è quasi raddoppiato dal 1950 ad oggi).

Tribunali inefficienti perché piccoli

Le principali inefficienze dal lato dell’offerta sono da imputare alle dimensioni troppo piccole dei tribunali, che impediscono di sfruttare le economie di specializzazione nell’attività dei magistrati (nelle sedi piccole uno stesso giudice si deve occupare sia delle questioni civili sia di quelle penali). L’introduzione del giudice unico, con la fusione di preture e tribunali, ha determinato un aumento della dimensione media degli uffici giudiziari e ha comportato un primo recupero di efficienza: nel 1996 circa l’89 per cento delle preture e l’ 87 per cento dei tribunali era sottodimensionato, nel 2001 tale quota è scesa al 72 per cento.

Un maggiore recupero di efficienza avrebbe richiesto anche una seria revisione della geografia giudiziaria. I tribunali sono distribuiti troppo capillarmente sul territorio. Il disegno di legge delega per la riforma dell’ordinamento giudiziario prevede espressamente una revisione della geografia giudiziaria, ma il testo della proposta non esplicita se si intende aumentare o ridurre la dimensione media dei tribunali.

Inoltre, nel nostro ordinamento, la crescita professionale dei magistrati è affidata esclusivamente alle esperienze maturate nel corso della carriera. Le politiche adottate dagli anni Cinquanta a oggi hanno fatto coincidere la progressione di carriera dei giudici con l’anzianità, eliminando così alcuni importanti incentivi di accrescimento della qualità professionale. D’altra parte, le regole di progressione di carriera hanno rilevanti e inevitabili interazioni con quelle che assicurano l’indipendenza dei magistrati: un equilibrio tra due priorità fondamentali – qualità professionale e terzietà del giudice – è difficile da realizzare. Favorire la specializzazione – che permette uno sviluppo della formazione professionale del magistrato attraverso un processo di “learning by doing” – consente di aggirare almeno in parte questa difficoltà..

Chi beneficia dei tempi lunghi

Sul lato della domanda, invece, si è fatto ben poco. Non solo negli ultimi anni, ma da sempre.
Allo stato attuale, di fatto, non vi è parità di forza contrattuale tra le due parti: la parte “in torto” gode di una situazione di maggior favore. La lunghezza stessa dei procedimenti offre vantaggi dilatori che consentono di utilizzare il ricorso al tribunale come una tattica per spuntare una transazione favorevole o una comunque una dilazione di pagamento. Vantaggio accresciuto dal fatto che gli interessi legali applicati alla somma in contesa per il periodo della controversia possono essere inferiori, e in passato lo sono stati in modo sensibile, a quelli di mercato.

In definitiva, la domanda di giustizia civile è “patologicamente” gonfiata dall’effetto combinato di diverse variabili, e in particolare dalle norme che interessano la determinazione del tasso di interesse legale e la ripartizione delle spese in giudizio tra parte vincente e parte soccombente (di fatto solo occasionalmente la parte soccombente rifonde per intero quella vincente per le spese sostenute), e dalla lunghezza stessa dei procedimenti (quanto più è elevata, tanto più rende vantaggioso il comportamento opportunistico della parte in torto).

Inoltre, le regole di svolgimento del processo (in particolare, le prove e la definizione del contenuto della controversia) conferiscono ampi poteri di gestione del procedimento giudiziario alle parti e ai loro difensori, mentre la formula, definita per legge, che determina gli onorari degli avvocati (la parcella è strettamente legata al numero di attività svolte nell’ambito del processo e pertanto alla lunghezza della causa) incentiva questi ultimi a utilizzare tali poteri di gestione per allungare il più possibile la durata dei processi.

Il risultato è che nel gioco che governa la lunghezza del procedimento ci sono cinque protagonisti (le due parti, i rispettivi difensori e il giudice): tre hanno interesse a protrarre a lungo la causa, una (il giudice) è uno spettatore spesso reso impotente dalle stesse regole procedurali, l’ultima, la parte che ha ragione, ha forti incentivi a chiudere il caso al più presto.

Come eliminare gli incentivi perversi

Gli incentivi distorti legati alla formula di determinazione dell’onorario degli avvocati sono stati un impedimento risolutivo anche in ogni tentativo di riforma del rito civile che preveda una sostanziale riduzione del numero di udienze. Lo dimostra la storia del fallimento della riforma del codice di procedura civile del 1990, naufragata per la durissima opposizione degli avvocati, culminata in circa un anno di scioperi.

Diminuire il numero delle udienze senza contemporaneamente rivedere il sistema di determinazione delle parcelle, ridurrebbe queste ultime a livelli minimi, certamente inaccettabili dagli avvocati. Peraltro, in proporzione al valore della causa patrocinata, i compensi degli avvocati italiani non sono alti: sono circa la metà della media europea e oltre otto volte più bassi di quelli del Regno Unito. È perciò possibile modificare la normativa con soddisfazione di tutti gli interessati e al tempo stesso liberare il nostro sistema giudiziario da questo groviglio di incentivi perversi. Una formula efficace richiederebbe un onorario in somma fissa. Ma l’aspetto cruciale non è tanto se il livello dell’onorario debba essere libero o regolamentato, ma che sia consentito al difensore di ottenere comunque un parte rilevante del compenso anche se le parti giungono a una transazione prima dell’avvio del processo o, al massimo, entro la prima udienza.

Lo scorso ottobre il Governo ha approvato un disegno di legge delega di riforma del processo civile. Segue il progetto elaborato dalla commissione Vaccarella, che punta a una maggiore flessibilità del rito processuale, specialmente nella fase di preparazione della causa, anche con l’obiettivo di ridurre numero di udienze e tempi del processo. Progetto già in parte recepito dal nuovo processo societario entrato in vigore lo scorso gennaio, che dunque costituisce un’anticipazione della riforma proposta dal Governo.

Secondo queste nuove regole, la prima fase del processo (l’istruzione della causa, appunto) non avviene in presenza del giudice, ma fuori dal foro.Si sostanzia in una serie, anche assai ampia, di scambi di memorie tra le parti, ossia tra i loro difensori.

La riforma si giustifica con il proposito di portare all’attenzione del giudice cause già ben documentate, con conseguente risparmio di tempo nello svolgimento del processo. L’effettivo raggiungimento di tale obiettivo, però, non è affatto garantito da questa innovazione: le memorie sono tra gli atti più remunerativi nell’attività del difensore – e al termine del lungo processo di revisione del tariffario, ancora in corso, rischiano di divenirlo ancor di più. Se le tariffe non verranno riformate nel senso di renderle forfetarie prima che questa proposta divenga legge, il risultato sarà quello di una certa lievitazione degli onorari, senza alcun vantaggio in termini di riduzione dei tempi dei processi.

Per saperne di più

D. Marchesi “Litiganti, avvocati e magistrati. Diritto ed economia del processo civile”, Il Mulino, 2003

 

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Sommario 4 marzo 2004

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  1. Franco Impalà

    Ottimo articolo, complimenti ! Approfondirei pero’ l’aspetto dell’eccesiva burocratizzazione della procedura (troppa carta, marche da bollo, etc.: si pensi per esempio alle notifiche; poca informatizzazione, scarsa preparazione del personale amministrivo) che, nella mia modestissima esperienza, nuoce tantissimo alla speditezza dei processi. In un Paese come la Francia, le cause civili di scarsa importanza economica si possono risolvere in una sola udienza, senza alcuna formalità e senza l’intervento di avvocati (cfr. l’istituto della déclaration au greffe). Cio’ permette ai cittadini di far valere diritti anche minimi – mi è capitato di citare in giudizio una casa produttrice di telefoni cellulari perchè il modello venduto non funzionava a dovere e di ottenere immediatamente ragione, e cosi’ pure nei confronti di Air France per un semplice ritardo aereo – mentre in Italia la stragrande maggioranza delle cause civili sembra essere costituita da cause di infortunistica stradale (con tanto di testimoni, perizie e prove fasulle), e i cittadini rinunciano far valere i propri diritti a causa dei costi elevati e delle lungaggini del processo.

  2. Luigi Rosi

    Ho apprezzato il suo articolo e scrivo sulla scorta di una personale esperienza. Ho riscontrato quanto lei dice a proposito della strategia dilatoria. Aggiungo che ho sperimentato anche l’imperizia e la stupidità dei giudici, la loro arroganza ed il loro cinismo. La giustizia in Italia è una ritualità farraginosa ed inutile, esercitata da corporazioni autoreferenziali che agiscono per il loro esclusivo interesse. Fintanto che non si rimette al centro la tutela del cittadino non credo che ci saranno riforme efficaci. Occorre cambiare la cultura giuridica di questo paese, modernizzarla e de-leguleizzarla. Alcune proposte per la giustizia civile:
    1. Stabilire opportuni parametri qualitativi in base ai quali il CSM possa valutare la qualità del lavoro e la produttività dei magistrati. Si potrebbe sanzionare e premiati nella salvaguardia dell’autonomia della magistratura. La quale è autonoma ed indipendente al solo fine di servire i cittadini nel rispetto delle leggi e della Costituzione.
    2. L’attività degli avvocati dev’essere valutata su basi qualitative rilevanti per il cliente, p. es. il tempo e i risultati raggiunti. Il cittadino che si avvale di un professionista ha il diritto di sapere quanto e per cosa spenderà.
    3. Le parti, assieme al giudice, dovrebbero concordare fin dall’inizio della procedura, un calendario preciso e vincolante di tutto l’iter processuale. Il mancato rispetto delle scadenze deve comportare l’immediata sanzione. Il cittadino ha il diritto di sapere come si svolgerà il giudizio e in quali tempi.
    4. Chi sbaglia paga. I risarcimenti per i ritardi della giustizia dovrebbero essere ripartiti per tre: uno a carico dello stato, un altro a carico dei magistrati e l’ultimo a carico degli avvocati. Lo stato potrebbe anticipare e poi rivalersi pro-quota su ciascun magistrato ed avvocato. Il cittadino, già privato di giustizia, non deve anche pagarsi il risarcimento!

  3. S. Slataper

    Un buon articolo. Non è, tuttavia, preciso quando dice che gli avvocati hanno un interesse significativo a far durare a lungo i processi essendo la tariffa strattamente collegata al numero di attività compiute. In realtà, se si guarda un po’ bene il tariffario ci si accorge che circa il 70% della parcella è dovuta ai compensi legati alla fase introduttiva e sopratutto alla fase conclusiva del processo (conclusionali, discussione orale etc etc). Sicché, l’incentivo a dilatare i tempi è estremamente modesto ed è, in buona parte, controbilanciato dal ritardo con cui si percepisce la parcella finale

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