Il tassello che ha aperto la strada verso la vera e propria unione bancaria europea è la Efsf che cesserà di esistere a luglio 2013 per lasciare il posto all’Esm. L’Esm non è solo un fondo salva-Stati, ma anche salva-banche. E i suoi interventi si realizzeranno sulla base di memorandum d’intesa che dovranno prevedere una dettagliata disciplina delle modalità e dei tempi della ricapitalizzazione, oltreché dei controlli da effettuare sul loro rispetto. Diventa perciò assolutamente necessario che si costruisca rapidamente una struttura in grado di prevenire e gestire i rischi.
La storia è nota: il vertice europeo del 28-29 giugno scorso ha chiesto ai membri dell’Eurogruppo di attivarsi nel brevissimo termine per definire un sistema di supervisione comune delle banche europee, coinvolgendo la Bce; di siglare un protocollo di intesa per il salvataggio del sistema bancario spagnolo; e soprattutto di adoperarsi per tutelare la stabilità finanziaria utilizzando l’ European Financial Stability Facility (futuro European Stability Mechanism). Successivamente, il Parlamento europeo ha emanato una risoluzione in cui, tra la altre cose, chiede di seguire i suggerimenti contenuti nel documento “Towards a genuine economic and monetary union” predisposto dal presidente del Consiglio europeo. Quel documento propone un sistema integrato di supervisione, meccanismi comuni di tutela dei depositi e procedure uniformi per i salvataggi bancari.
FONDO SALVA-STATI
Il primo tassello di questo nuovo assetto, anzi quello che in qualche modo ha aperto la strada verso la vera e propria unione bancaria è la European Financial Stability Facility (Efsf) che cesserà di esistere a luglio 2013 per lasciare il posto, Corte costituzionale tedesca permettendo, allo European Stability Mechanism (Esm). Vediamo in sintesi cosa sono e le principali differenze.
La Efsf è una società di diritto lussemburghese costituita nel 2010 con lo scopo di dare temporanea assistenza finanziaria a quei paesi membri che ne avessero bisogno perché non in grado di avere accesso a finanziamenti sul mercato a tassi “accettabili”. Per avere accesso al finanziamento, il governo richiedente deve presentare – in accordo con la Commissione e l’Fmi – un “country programme”, accettato dai ministri delle Finanze dell’area euro. A quel punto si sigla un protocollo d’intesa a cui segue l’erogazione del prestito da parte della Efsf. L’intero processo dura circa un mese. La Efsf si finanzia sul mercato emettendo strumenti di debito garantiti in maniera irrevocabile e incondizionata dagli Stati membri partecipanti. La garanzia sul debito è data dall’ammontare di capitale già versato dagli Stati a cui deve aggiungersi quello che può essere erogato successivamente in caso di bisogno in misura proporzionale alla partecipazione di ciascuno Stato (cosiddetta Efsf Key).
L’emissione del debito ha la forma del prestito sindacato (che prevede quindi la partecipazione di una bancalead manager), gli strumenti hanno una maturità che va dai sette anni e mezzo ai quindici e trenta anni e sono sottoscritti principalmente da investitori istituzionali. Se lo Stato non ripaga il debito, intervengono i garanti; se non rispetta le condizioni imposte nel piano, il prestito si interrompe ed è necessaria una revisione del protocollo di intesa. Finora la Efsf è intervenuta a sostegno di Portogallo, Grecia, Spagna e Irlanda e interverrà a sostegno di Cipro. (1) In termini di gerarchia nel rimborso del debito la Efsf è alla pari con gli altri Stati (cosiddetta pari passu clause).
L’Esm avrà, invece, una veste diversa in quanto il trattato istitutivo lo qualifica, con qualche ambiguità, come “istituzione finanziaria internazionale”. Qui le parole contano perché da un lato è una qualifica che lascia aperta la possibilità, al momento esclusa, di una operatività del tutto assimilabile a una banca, ma dall’altro è di fatto riconducibile a una organizzazione intergovernativa per la quale è “difficile cancellare la dimensione schiettamente pubblicistica”. (2)
I meccanismi di aiuto sono sostanzialmente gli stessi, ma cambiano le procedure di concessione del prestito, all’interno delle quali assume un ruolo di rilievo l’Fmi.
A seguito della richiesta di aiuto da parte di uno Stato, Commissione e Bce valutano l’esistenza di un rischio per la stabilità finanziaria nell’area euro, la sostenibilità del debito pubblico e le effettive necessità di finanziamento, con il supporto dell’Fmi. Successivamente negoziano un piano di aggiustamenti macroeconomici siglando un protocollo a seguito del quale il board of directors dell’Esm approva il finanziamento. La commissione, la Bce e l’Fmi monitoreranno l’attuazione del piano. Il board of governors dell’Esm può, peraltro, decidere di concedere linee di credito in misura precauzionale qualora lo ritenga necessario. In entrambi i casi verranno inserite le ormai famose Collective Action Clauses (Cac’s) ai fini di una eventuale rinegoziazione ordinata del debito.
COSA SONO LE CAC’S
Assurte agli onori della cronaca a seguito della crisi della Grecia, ma in realtà ben note ai “tecnici” perché in voga sin dalla fine del 1800, le Cac’s (Collective Action Clauses) sono clausole, incluse nei prospetti delle emissioni sovrane, che dovrebbero contribuire a una ristrutturazione “ordinata” del debito. Il ricorso a queste clausole è divenuto nel corso del tempo sempre piu massiccio proprio perché non vi è alcuna legge che disciplini l’insolvenza degli Stati. Vi sono invece due tipi di “approcci” generalmente seguiti, quello americano (New York law) e quello inglese (English law). Il primo prevede di solito il coinvolgimento dei tribunali perché avviene o a seguito di class actions o per l’attivazione di altri meccanismi di ristrutturazione del debito (Sdrm). Il secondo, invece, rimette la ristrutturazione all’autonomia dei privati e, in sintesi, si basa su un’offerta che prevede o l’utilizzo delle Cac’s o il cosiddetto exit consent, per cui gli obbligazionisti che aderiscono a una offerta di scambio acconsentono anche alla modifica di certi termini del bond.
Le Cac’s permettono a una certa maggioranza di debitori privati di rinegoziare l’obbligazione, per esempio modificandone il tasso di interesse, la maturità o l’ammontare (cosiddette reserved matters). (3)
Anche in questo caso, la disciplina è stata affidata agli usi di mercato, non essendovi una specifica legislazione. Nel 2010 una raccomandazione dell’Eurogruppo stabiliva che a partire dal giugno 2013 tutte le emissione di debito pubblico avrebbero dovuto contenere Cac’s. (4) Questa, riaffermata nel 2011, richiedeva Cac’s standardizzate e identiche, coerenti con quelle diffuse nella pratica inglese o americana, e che avrebbero dovuto contenere “aggregation clauses”.
Queste ultime sono clausole che permettono di ovviare a un inconveniente delle Cac’s, per cui l’assemblea degli obbligazionisti si esprime su tutti i titoli di debito in circolazione per evitare di dover convocare un’assemblea per ogni singola emissione. L’obbligo di includere le Cac’s in tutte le emissioni pubbliche superiori a un anno è ora previsto dall’articolo 12 del trattato istitutivo dell’Esm, che stabilisce inoltre la necessità di assicurare un identico “legal impact” tra tutti gli stati membri. (5)
FONDO SALVA BANCHE
Oltre agli Stati, l’Esm può salvare le banche (articolo 15 del trattato), attivando gli strumenti prima descritti a fronte di una specifica richiesta di capitalizzazione dello Stato membro di appartenenza. Non esiste, quindi, un rapporto diretto con gli intermediari, ma le risorse passano attraverso i governi nazionali, i quali con le stesse modalità procedurali previste per gli interventi sul debito pubblico, si impegnano a identificare i destinatari, indicando per ciascuno le risorse necessarie. Ed è proprio questa la ragione per la quale l’Esm di fatto apre la strada alla (o potremmo dire per certi versi obbliga la ) unione bancaria. È evidente, infatti, che i memorandum of undestanding, in base ai quali si realizza l’intervento, dovranno prevedere una dettagliata disciplina, sia di modalità e tempi della ricapitalizzazione, sia dei controlli da effettuare sul rispetto di tali modalità. In qualche modo, si affaccia sul terreno comunitario una forma di controllo sulle banche salvate che però corre il rischio di non essere adeguatamente supportata da un più solido apparato di vigilanza europeo. Il pericolo è che i salvati dopo poco tempo debbano essere nuovamente salvati e che, soprattutto per le condizioni dei debiti pubblici (e anche per qualche lassismo interessato di alcuni paesi membri), ci sia un ricorso eccessivo al rubinetto dell’Esm. Per metterla in altri termini, se l’Esm sancisce per l’Europa il definitivo passaggio “dalla comunità dei benefici, alla comunità dei rischi” diventa assolutamente necessario che rapidamente si costruisca una struttura in grado di prevenirli e gestirli. (6)
Si renderà in futuro necessario un non facile lavoro per integrare l’Esm nell’apparato in fase di costituzione (ad esempio coordinandolo con la disciplina comunitaria sulla gestione delle crisi e la disciplina sugli aiuti di Stato) così come potrà richiedere profonde modifiche la struttura stessa del Fondo, se, come si è proposto, si prevedessero anche interventi sulla liquidità. (7)
La strada, comunque, è aperta e la vera sfida per il futuro starà nella capacità, con tutta la gradualità del caso, di percorrerla fino in fondo e con coraggio, senza arrendersi alle inevitabili resistenze che nella nuova comunità dei rischi, prima o poi verranno fuori.
(1) http://www.efsf.europa.eu/about/operations/index.htm
(2) Giulio Napolitano, “La nuova governance economica europea: Il meccanismo di stabilità e il fiscal compact”, in Giornale di diritto amministrativo, n. 5, 2012, p. 462.
(3) Le Cac’s sono in realtà di vari tipi. Quella più utilizzata è però proprio la “majority action clause” che, se di diritto inglese, richiede in prima convocazione la presenza di tanti obbligazionisti che rappresentino il 50 per cento del debito in circolazione. Se non si raggiunge quel quorum, in seconda convocazione è richiesto il 25 per cento, e la deliberazione è assunta con il voto positivo del 75% dei presenti. Di fatto una piccola maggioranza, inferiore al 20 per cento del debito, può determinare modifiche rilevanti ai termini dell’obbligazione vincolanti per tutti gli obbligazionisti. Si veda L. Bucheit e M. Gulati, “Drafting a model collective action clause for eurozone sovereign bonds”, in Capital Markets Law Journal, 2011.
Quando i debitori sono altri Stati invece, si applicano di solito le pratiche del cosiddetto Paris club.
(4) Non la prima raccomandazione in materia, si veda quella del 2002 del G10.
(5) Si veda R. Olivares-Caminal, The EU architecture to avert a sovereign debt crisis, OECD working paper, 2011 disponibile qui http://www.oecd.org/finance/financialmarkets/49191980.pdf
(6) Edoardo Chiti, “Le istituzioni europee, la crisi e la trasformazione costituzionale dell’Unione”, in Giornale di diritto amministrativo, n.7, 2012, p. 785.
(7) Daniel Gros, Thomas Mayer, Liquidity in times of crisis: Even the Esm needs it, CEPS Policy Brief, n 265, marzo 2012
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