Dopo il voto in Spagna, potrebbero aprirsi nuovi scenari anche per lUnione europea, con una ripresa delle trattative sulla bozza di Costituzione. Ma il fallimento della Conferenza intergovernativa non può essere ricondotto solo a una partita a quattro: Madrid e Varsavia contro Berlino e Parigi. Piuttosto, è mancata allora una comune visione politica del futuro dellEuropa. E se la scelta integrazionista resta una strada obbligata per Germania e Francia, la definizione di uno nocciolo duro di paesi disponibili da subito a una maggiore integrazione non è affatto scontata. La rottura delle trattative alla Conferenza intergovernativa è stata quasi unanimemente imputata all’opposizione tra Parigi e Berlino da una parte e Madrid e Varsavia dall’altra, con l’Italia a fare da onesto sensale e l’Inghilterra a pensare a sé stessa. Una partita due contro due? All’apertura del semestre italiano il testo di Costituzione era oggetto di diffuse critiche da parte dei Governi. Il nostro ministero degli Esteri aveva registrato un disaccordo di fondo su almeno ottanta punti. Ai primi di dicembre, alla chiusura del conclave dei ministri degli Esteri a Napoli, la situazione era diversa. Un accordo era stato trovato sulla quasi totalità degli aspetti tecnici e su alcuni elementi di alto significato politico, vuoi dalla presidenza (ad esempio in materia di approvazione del bilancio), vuoi dall’azione di alcuni Stati (il memorandum sulla difesa preparato da Francia, Germania e Regno Unito). Nonostante il ristretto numero di questioni aperte, il negoziato non era affatto semplice. Il negoziato era destinato al fallimento? Un elemento salta agli occhi nella strategia negoziale della presidenza italiana durante il vertice di Bruxelles: l’Italia non ha mai seriamente condotto un’azione di isolamento della Spagna e della Polonia. Scenari possibili Non è il caso di sottovalutare le implicazioni del fallimento della Cig sotto presidenza italiana. La sconfitta del partito popolare spagnolo si è consumata proprio attorno ad una questione di consenso e funge oggi da monito per quei governi che intendono giocare d’azzardo.
Sembra opportuno tornare a riflettere brevemente su tre punti:
1. Dove siano finiti tutti gli altri membri dell’Unione, prima e durante il vertice conclusivo di Bruxelles.
2. L’inevitabilità o meno del fallimento del negoziato costituzionale.
3. Gli scenari possibili e futuri.
Il disaccordo, profondo, permaneva sui punti noti: composizione della Commissione, procedure di voto del Consiglio ed estensione del voto a maggioranza. (vedi Passarelli “ )
Ben lontano dall’essere uno scontro a quattro, la fase finale del negoziato è stata una partita che ha coinvolto tutti: alcuni paesi nordici e l’Inghilterra contro Francia e Germania sull’estensione del voto, la Polonia e la Spagna contro quasi tutti sulla doppia maggioranza, i piccoli e i grandi Stati membri sulla composizione della Commissione.
La trattativa è poi ufficialmente fallita sul sistema di voto, ma nulla assicura che, superato quello scoglio, il Trattato sarebbe stato firmato.
È mancata una comune visione politica sul futuro dell’Unione.
Bruxelles 2003 non è stata Roma 1990. La prospettiva di firmare un trattato a ventitre contro due, concedere una pausa di riflessione costituzionale ai due membri dissenzienti e inchiodare Madrid e Varsavia alle loro responsabilità era forse l’unica strada possibile per raggiungere l’accordo.
È pur vero che anche questa opzione non avrebbe assicurato di per sé il successo, in quanto tra i ventitre le posizioni erano comunque differenti su altri punti non meno qualificanti del Trattato (Francia e Germania non hanno mai espresso un giudizio chiaro sulle richieste di limitazione dell’estensione del voto avanzate dall’Inghilterra e da alcuni paesi nordici).
Ma perché la presidenza italiana non ha mai voluto isolare Spagna e Polonia?
Perché, in fondo, tra dimensione atlantica ed europea, la presidenza ha scelto la prima.
Nel gioco per farsi ricevere per primi a Washington, era molto più utile avere al proprio fianco Spagna e Polonia che Germania e Francia. La neutralità britannica, necessaria per poter isolare Miller e Aznar, non è stata nemmeno cercata, perché la linea che ispira l’azione internazionale del Governo è quella contenuta nel documento degli otto e non nella dichiarazione di Roma.
Una rottura così clamorosa non può essere liquidata come incidente di percorso e la riforma costituzionale dell’Unione europea come questione di tempi.
La rottura è stata politica e dimostra che in quel momento non esisteva la possibilità di portare venticinque Stati neppure su una strada di blanda integrazione politica come quella definita nella bozza Giscard. Rimane da verificare quanto lo scenario attuale sia destinato a cambiare dopo l’attentato di Madrid. Certamente, l’idea del nocciolo duro non è tanto una questione di opportunità, quanto piuttosto di fattibilità.
Nel frattempo, si potrebbe supporre che Francia e Germania decidano piuttosto di esercitare il loro potere in “negativo”, utilizzando la capacità di bloccare che il sistema di Nizza enfatizza.
Il blocco decisionale è uno scenario possibile: far emergere i mali di questa Unione per renderne desiderabile una nuova; costringere i membri dissenzienti ad accettare il progetto contenuto nella bozza.
Ma in fondo, Francia e Germania hanno veramente un progetto comune? E se sì, sono disposte a portarlo avanti anche in solitario (e senza Londra)?
In materia di difesa, per esempio, qualsiasi dispositivo militare europeo che faccia a meno dell’Inghilterra appare poco credibile. E la posizione del Belgio sul nocciolo duro non è così definita, per non parlare di quella olandese, irrigidita dai lasciti della decisione Ecofin di dicembre.
È persino prematuro stabilire entro quale contesto giuridico il “nocciolo” potrebbe essere definito. A questo punto, l’intera questione è ancora politica.
Va comunque sottolineato che al di là di tutti i vincoli possibili, la scelta integrazionista, con o senza gli altri, è una necessità assoluta per Francia e Germania. La redistribuzione in corso del potere mondiale vede entrambe perdenti e marginalizzate: procedere insieme potrebbe essere l’unica soluzione.
Questa è probabilmente l’idea politica attorno alla quale si sta cercando l’adesione, in primo luogo della Gran Bretagna, anch’essa non insensibile al tema della marginalizzazione e con grossi problemi di consenso interno.
Le carte sono state rimescolate. La Polonia in questi giorni ha lanciato i primi segnali di disponibilità al compromesso. Ancora un dubbio tuttavia rimane: se il nocciolo duro dovesse prima o poi costituirsi, da quale parte l’Italia di Silvio Berlusconi si posizionerebbe?
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