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Chi beneficia dei tagli alle tasse

La differenza tra la proposta Fini e quella Tremonti di riduzione dell’Irpef è solo di immagine. Entrambe le ipotesi infatti hanno effetti regressivi sulla distribuzione del reddito, e favoriscono in modo spiccato soprattutto chi guadagna più di 50mila euro. I redditi bassi, che già oggi non pagano l’imposta, sarebbero comunque esclusi da qualsiasi beneficio. Anche per le famiglie i risparmi maggiori si concentrano nel 10 per cento più ricco. Senza contare che le perdite di gettito sarebbero molto superiori alle cifre indicate finora.

Il Governo ha annunciato l’intenzione di ridurre l’Irpef a partire dal prossimo anno.
Si confrontano, a quanto si apprende dalla stampa, due impostazioni: il presidente del Consiglio e il ministro del Tesoro sarebbero propensi al passaggio alle due aliquote del “contratto” elettorale: 23 per cento e 33 per cento. Mentre An e Udc vorrebbero conservare almeno tre aliquote, per non favorire eccessivamente i redditi più alti. Negli ultimi giorni sembra che le possibilità di un accordo a breve tra i partiti della maggioranza stiano sfumando. Tuttavia è probabile che su questo tema continui a occupare giocarsi una parte rilevante della campagna elettorale, con nuovi annunci o la semplice reiterazione da parte del Governo delle proposte già fatte.

I beneficiari dei tagli

Chi beneficerà maggiormente degli sconti fiscali promessi? Poiché non possiamo fare riferimento a una proposta precisa, presentiamo gli effetti distributivi di due possibili alternative, su cui nei giorni scorsi si è discusso maggiormente.
La prima ipotesi, che per semplicità chiameremo ipotesi “Tremonti”, prevede due aliquote: 23 per cento fino a 40mila euro e 37 per cento oltre, con una no tax area che sale a 9mila euro per dipendenti e pensionati (e si esaurisce a 34mila euro), e a 5.500 per gli autonomi (fino a 30mila) E’ diversa dal contenuto della legge delega (aliquota al 33 per cento a partire da 100 mila euro), ma è più vicina ad un’ipotesi circolata negli ultimi giorni.
L’ipotesi alternativa, che chiameremo “Fini”, prevede invece tre aliquote: 23 per cento fino a 32.600 euro, 33 per cento da 32.600 a 70mila, e 45 per cento oltre, con no tax area definita come nella prima alternativa. Le altre deduzioni e detrazioni conservano sempre le caratteristiche attuali, in assenza di precise indicazioni.

Consideriamo prima l’effetto sui singoli contribuenti, poi sulle famiglie.
La tabella mostra, per classi di imponibile (prima dell’applicazione della deduzione che realizza l’area esente), l’imposta media pagata oggi, e quella che sarebbe pagata secondo le due alternative. Le ultime colonne mostrano invece il risparmio, sia in assoluto che in percentuale del reddito imponibile.
In entrambe le ipotesi il risparmio percentuale è piuttosto alto nella classe 10mila-15mila euro, non per effetto delle nuove aliquote, ma semplicemente per l’incremento della no tax area. Dopo una riduzione nella classe 15-20mila, il risparmio riprende poi ad aumentare, più decisamente per l’ipotesi “Tremonti”, che fa segnare guadagni percentuali più elevati proprio per le classi più alte. L’ipotesi “Fini” invece prevede i guadagni percentualmente più consistenti per i redditi compresi tra 50mila e 80mila euro.
Un operaio, con imponibile compreso tra 15 e 20mila euro, godrebbe di una riduzione di imposta pari a circa 300 euro all’anno, 25 al mese. Il risparmio sarebbe di circa 475 euro (40 al mese) per un impiegato con imponibile tra 20mila e 25mila, e di 646 (54 al mese) per chi guadagna circa 28mila euro. Chi invece guadagna 80mila euro, risparmierebbe più o meno 3400 euro, 283 al mese.

È condivisibile questo disegno degli sconti fiscali? Ai lettori il giudizio.

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Differenze solo di immagine

È interessante notare che le due alternative generano effetti uguali fino alla classe 30mila-35mila euro, cioè per circa il 90 per cento dei contribuenti. Differiscono significativamente solo per i redditi superiori agli 80mila euro, che riguardano pochi italiani.
Le differenze tra le due proposte risultano quindi più di immagine che di sostanza.
Certo, i sostenitori dell’ipotesi a tre aliquote hanno ragione quando dicono che le due aliquote avvantaggiano moltissimo le élite più ricche (anche se meno dell’originaria proposta del governo Berlusconi, con aliquota più alta al 33 per cento a partire da 100mila euro).
Ma hanno torto quando affermano che la loro proposta è a sostegno delle classi medie.
L’ipotesi “Fini” finisce infatti per premiare soprattutto i redditi tra i 50mila e gli 80mila euro, che non possono essere considerati da classe medio-bassa e neppure media.
Chi si trova in una posizione intermedia nella distribuzione dei redditi, i redditi mediani, si colloca invece attorno ai 18mila-20mila euro. Per concentrare su questi valori gli sgravi, occorrerebbe limitarsi a ridurre la seconda delle attuali aliquote (29 per cento da 15mila a 32.6000 euro), o ad aumentare la no tax area.
Sostenere che l’ipotesi “Fini”, a differenza della “Tremonti”, favorisce i redditi medio-bassi è fuorviante anche per un’altra ragione: molti redditi bassi sarebbero esclusi da qualsiasi beneficio, dal momento che già oggi non pagano l’Irpef.

Tutte le pensioni più basse, ad esempio, o i redditi da lavoro dipendente fino a 7.500 euro, non otterrebbero alcun vantaggio. Si potrebbe sostenere che hanno già beneficiato del primo “modulo” della riforma Tremonti, ed in parte è vero, ma in realtà buona parte di queste persone era esente anche prima. La ragione è semplice: è impossibile favorire i non pochi redditi bassi agendo sull’imposta personale, a meno che questa non preveda la restituzione in moneta delle deduzioni e detrazioni incapienti.
Si dovrebbero invece aumentare i trasferimenti monetari, come le pensioni più basse o gli assegni familiari, oppure introdurre un serio reddito minimo di inserimento, o ancora riformare gli ammortizzatori sociali: opzioni evidentemente caratterizzate da minore appeal elettorale rispetto ai tagli fiscali.

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Sconti per famiglie

Passando agli effetti sulle famiglie, se le classifichiamo sulla base del reddito disponibile equivalente (dato dal reddito familiare netto diviso per una scala di equivalenza che tiene conto della numerosità dei membri), si nota anzitutto che entrambe le ipotesi prevedono un aumento del reddito disponibile per circa l’83 per cento delle famiglie, ma che nel 30per cento meno ricco solo una famiglia su due beneficia di uno sconto, dato che le altre sono già esenti dall’Irpef. Nel primo decile, solo l’11 per cento delle famiglie gode di un aumento del reddito disponibile.
Nel complesso delle famiglie, la figura mostra l’incremento percentuale del reddito disponibile, nelle due ipotesi. Si nota che entrambe le alternative producono in realtà incrementi di reddito pressoché uguali per circa il 90 per cento delle famiglie: se escludiamo le più povere, in media vedrebbero crescere il reddito disponibile di circa il 2 per cento.
Le due aliquote favoriscono decisamente di più il 10 per cento più ricco.
In sostanza, entrambe le ipotesi su cui il Governo sta lavorando (o ha lavorato finora) hanno effetti regressivi sulla distribuzione del reddito, e favoriscono in modo spiccato soprattutto chi guadagna più di 50mila euro.
Questo risultato viene conseguito con perdite di gettito che vanno dai 16 miliardi di euro per l’ipotesi “Fini” ai 18 dell’altra, cioè da un terzo a un mezzo in più delle somme di cui si parla, e rispetto alle quali non è stata ancora individuata la possibile copertura.

 

 

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Sommario 13 Maggio 2004

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Coordinamento delle politiche fiscali

13 commenti

  1. Luca Pieroni

    Gentile Baldini, tutto cio’ che scrive e’ invero carico di retorica e privo di contributi addizionali: meglio proporre che criticare.
    Infatti:
    a) e’ ovvio, e non poteva essere diversamente, che i benefici, non di questa ma da qualsiasi riforma fiscale siano crescenti per livelli di reddito crescenti. I redditi “del benessere” (non della ricchezza, attenzione alle parole !) ovvero quelli intermedi-medioalti sono sempre stati i piu’ tartassati, e quindi quelli che piu’ di altri “recuperano” al momento di un intervento fiscale riduttivo. E’ matematica. Peraltro non mi risulta che in passato alcun governo piu’ moderato abbia pensato ad una no-tax area correlata con il reale valore di reddito utile per una sopravvivenza dignitosa.Ora lo e’.
    b) e’ manipolativo non considerare l’allargamento della no-tax area ad una riduzione a “0” dell’aliquota relativa precedente, e come tale non considerarla facente parte del pacchetto di riduzione delle aliquote. Cominciamo a considerare la sostanza delle cose e non la forma.
    c) e’ fuori della realta’, nonche’ a mio modo di vedere offensivo, associare il termine “ricco” a redditi di 30-50-80.000 euro (lordi ovviamente, quindi da abbattere di almeno un terzo per ottenere un reddito disponibile, che e’ quello da conteggiare per la “ricchezza”). Oggi, appare assai piu’ coerente associare il termine “ricco” a chi consegue redditi stabili per 150-200.000 euro (lordi), laddove per ricchezza si intende il fatto di potersi permettere qualche piccolo lusso senza doversi preoccupare di eventuali rinuncie successive, dopo aver provveduto a garantire un assetto di stabile benessere per la famiglia e il futuro dei figli (quindi un risparmio solido). Anche perche’ oggi la stabilita’ di un reddito e’, legittimamente per la giusta competizione, piu’ aleatoria che in passato. Questo e’ “ricco”. Al di sotto si puo’ essere benestanti, si puo’ condurre un discreto tenore di vita, ma non si e’ ricchi, non si hanno seconde case, e – non conosco il suo reddito e dove vive, ma si guardi intorno oltre la forma e l’apparenza – si fanno i conti per le vacanze.
    d) non esistono ne’ gabbie salariali ne’ fiscali, per cui uno stesso reddito di 50.000 euro fa di un benestante di Cosenza o di Treviso, uno “che deve stare attento” a Milano e a Roma, a Bologna e a Firenze, a Torino e a Genova (che sommate fanno quasi il 20% della popolazione)
    e) se interessa una politica della famiglia, o si lascia in tasca della gente un valore equo mensile in funzione del numero di figli a prescidere dal reddito – (come in Francia dove si va dai circa 250€ mese medi per figlio) e si garantiscono servizi ed educazione di qualita’, o si tagliano drammaticamente le aliquote. O si fanno le due cose nel tempo nell’ordine che si preferisce, glissando sulle disperita’ che nel passaggio si possono creare.
    Grazie per l’attenzione.

    • La redazione

      Rispondo velocemente ai singoli punti:

      a) e’ ovviamente possibile disegnare una misura di riduzione dell’Irpef con qualsiasi segno redistributivo, progressivo, proporzionale o regressivo.
      Quello che colpisce del progetto del governo e’ che gli sconti fiscali in generale crescono, all’aumentare del reddito, non solo in assoluto, ma anche in proporzione al reddito.

      b) la no tax area esisteva anche prima di questo governo, ed era pari a circa 6.500 euro, solo che non si chiamava cosi’ e veniva realizzata con le detrazioni. Ne segue che anche l’aliquota “0” non e’ stata inventata da questo governo.

      c),d) il titolo del pezzo e’ redazionale. Nel testo non ho detto che con 80.000 euro si e’ ricchi, ho solo detto che, con questo reddito, non si pouo’ essere considerati classi medie, o meglio mediane, se con classe media (o mediana) intendiamo che sta in prossimità del centro della distribuzione del reddito. Il concetto di classe media e’ elusivo e soggettivo, ma si consideri che nel nostro paese il 30% dei maggiorenni e’
      pensionato, un altro 20% e’ operaio, e cosi’ siamo gia’ arrivati alla metà della popolazione, con un reddito credo molto inferiore ai 50-80.000 euro.

      e) per rispondere a questo punto ci vorrebbe molto spazio.

      Massimo Baldini

  2. A. Merolla

    …e lo dico da sinistra: che senso ha presentare due proposte demagogiche ed elettoralistiche di riduzione delle tasse che finiscono entrambe per distribuire benefici solo ad un’elité scarsamente numerosa? Non mi sembra coerente con l’obiettivo di raccogliere voti. Possibile che Forza Italia e AN siano così condizionati dalla “lobby dei ricchi” da non tener conto dell’effetto sperequativo delle loro riforme? O forse contano di prendere due piccioni con una fava attraverso una delle loro straordinarie campagne di disinformazione?

    • La redazione

      Bisognerebbe chiederlo al governo…
      in parte alla base delle proposte c’e’ sicuramente l’idea che abbassando molto le aliquote si recupera evasione, e che serve una “scossa” rilevante all’economia.
      In parte, credo, ci si è legati le mani con la legge delega, che prevede come aliquota massima il 33%, A quei tempi forse sembrava importante dare il segnale di un radicale calo della pressione fiscale, poi quando si è trattato di mettere le proposte in pratica le cose sono diventate piu’ complicate.
      Il motivo di fondo sta nel fatto che la struttura a due aliquote (tre se
      consideriamo l’aliquota zero sull’area esente) è radicalmente diversa da quella attuale, sia per livello delle aliquote che per limiti degli scaglioni.

      cordiali saluti
      Massimo Baldini

  3. emilio rossi

    Piuttosto che un commento, vorrei fare una domanda: come e’ stata calcolata la riduzione di gettito di 16 o 18 miliardi a cui si fa riferimento alla fine dell’articolo ?

    • La redazione

      Tutti i calcoli presentati nell’articolo sono stati effettuati su un
      campione rappresentativo di contribuenti, proveniente dall’indagine Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie. La perdita aggregata di gettito si ottiene moltiplicando la perdita media relativa a tutto il campione per il numero dei contribuenti totale.
      cordiali saluti
      Massimo Baldini

  4. Paolo Gianvenuti

    Dal testo del signor Luca Pieroni…

    “Peraltro non mi risulta che in passato alcun governo piu’ moderato abbia pensato ad una no-tax area correlata con il reale valore di reddito utile per una sopravvivenza dignitosa. Ora lo e’.”

    “Oggi, appare assai piu’ coerente associare il termine “ricco” a chi consegue redditi stabili per 150-200.000 euro (lordi), laddove per ricchezza si intende il fatto di potersi permettere qualche piccolo lusso senza doversi preoccupare di eventuali rinuncie successive, dopo aver provveduto a garantire un assetto di stabile benessere per la famiglia e il futuro dei figli (quindi un risparmio solido).”

    Dunque per il signor Pieroni chi guadagna 70-80 mila euro non si può considerare “ricco” ma bisogna arrivare ad almeno 150-200.000 euro per permettersi qualche piccolo lusso. Poi però considera 9 mila euro un reddito utile per una sopravvivenza dignitosa…
    Totò le avrebbe risposto: “Ma mi faccia il piacere…”
    Il signor Pieroni, facendo mia una sua frase di commento, “e’ fuori della realta’, nonche’ a mio modo di vedere offensivo”.

    Paolo Gianvenuti

  5. Nicola Bordignon

    Caro Baldini,
    ovviamente qualsiasi proposta di riforma dell’irpef non può essere che regressiva, visto che in Italia c’è un aliquota massima del 45% che scatta a partire da 70mila euro. Lei si sottrae colpevolmente ad ogni giudizio su questa autentica rapina di stato, che non ha pari in altri paesi (per soglia di reddito di applicazione, per detrazioni ammissibili, o per formule varie di reddito familiare). Quanto valgano 70mila lordi oggi in una grande città le è già stato ricordato; le aggiungo che quasi certamente sono un reddito da lavoro dipendente sudato con 12 ore di stress al giorno e raggiunto dopo anni di investimenti in capitale umano assai onerosi. Il tutto, commentando gli X Mld di copertura necessari, per finanziare il povero agricoltore, il finto imprenditore o il grasso burocrate.
    Magari a lei piace l’attuale progressività (io la chiamo rapina) ma il mio voto andrà da quella parte solo se riusciranno a fare questa benedetta riforma.
    Un ultima cosa, lei è solo un omonimo di quel filosofo liberale che insegna alla Luiss, vero?
    Cordialmente
    Nicola Bordignon

    • La redazione

      Il lettore sostiene che in Italia ogni sgravio fiscale sull’irpef non puo’
      che essere regressivo, e che la nostra irpef “non ha pari in altri paesi…”.
      Mi sembra che entrambe le affermazioni non corrispondano al vero:

      a) bisogna precisare bene il significato delle parole. gli effeti
      redistributivi di una manovra si valutano in termini relativi, non assoluti. La legge delega è regressiva, su questo non credo ci siano obiezioni. Si poteva disegnarla diversamente? Ovviamente si, sarebbe bastato strutturare gli sgravi in modo che ogni contribuente godesse di una uguale riduzione
      percentuale (sul suo imponibile) dell’imposta, e avremmo avuto un effetto quantomeno proporzionale.
      Ad esempio, se ho tre contribuenti con redditi (10, 10, 30), e voglio distribuire tra loro uno sgravio di 9, posso darlo in questo modo (1, 1, 7), e allora l’operazione è regressiva perchè in percentuale del reddito gli sgravi valgono (10%, 10%, 23%), oppure si potrebbe ridurre le tasse cosi’:(2, 2, 5), che in percentuale del reddito valgono (20%, 20%, 17%),
      cioè tutto sommato in modo leggermente progressivo, quasi proporzionale. In entrambi i casi e’ il ricco a beneficiare dell’importo assoluto maggiore, ma nel secondo caso la riforma non è regressiva.

      b) Che la nostra irpef sia una rapina di stato senza pari negli altri paesi
      è facilmente smentito se, come hanno gia’ scritto Paladini e Proto in un articolo sulla Voce, si considerano le strutture dell’imposta personale sul reddito nei principali paesi dell’UE (anche senza andare in Scandinavia):
      Nel Regno Unito l’aliquota marginale più alta è il 40% a partire da 30.000 sterline
      In Germania l’aliquota marginale più alta è il 48,5% a partire da 52.000 euro.
      In Francia l’aliquota marginale più alta è il 49.6% a partire da 47.000 euro
      In Spagna l’aliquota marginale più alta è il 45% a partire da 45.000 euro (e il 37% da 26.000 a 45.000)

      Infine, se si considera che la tassazione sia una rapina , allora anche l’1% è troppo. Anche io sarei d’accordo a ridurre il peso dell’Irpef, ma bisogna vedere se ce lo possiamo e vogliamo permettere, in termini di qualità e quantità dei servizi pubblici che lo stato finanzia. Oppure si pensa che lo Stato si limita a sprecare i soldi che incassa? Questa
      discussione non mi interessa.

      cordiali saluti
      Massimo Baldini

  6. Alberto Merolla

    Mi riaggancio alla sua gentile risposta al mio precedente commento per aggiungere due parole.
    Premesso che io trovo sostanzialmente “immorale” la rincorsa alla riduzione delle tasse, in quanto contribuisce a ridurre il già scarso senso civico della gente e a far perdere di vista la relazione esistente tra servizi erogati dallo Stato e loro onere. Chiusa qui la premessa che meriterebbe uno spazio a parte, volevo fare una considerazione riguardo l’effetto delle manovre fiscali basate sull’aumento dei redditi disponibili sull’andamento del PIL.
    Intanto metterei una pietra sopra sull’idea di erodere per questa via le sacche dei grandi evasori: in quanto pagare meno è bello ma continuare a non pagare affatto è un vantaggio imbattibile. A questo proposito vedi l’esito delle ultime sanatorie tombali.
    Riguardo al resto, per quel poco che ricordo dagli studi universitari, le politiche fiscali espansive basate sull’aumento dei redditi via riduzione delle tasse, agiscono solo sulla domanda interna nella speranza che il reddito in più venga re-immesso nel circuito alimentando nuovi consumi. Inoltre, l’effetto sulla domanda aggregata non sarà di un aumento equivalente ma in misura proporzionale alla propensione marginale al consumo. Che aria tira oggi in Italia? Quanto vale oggi quella propensione e, soprattutto il suo complemento, la propensione marginale al risparmio? Che valori assume per le varie classi di reddito? In particolare, che valori assume per le classi più alte, che avranno i maggiori sconti fiscali? E come è composto il paniere di un “ricco”? Siamo sicuri che la domanda di beni di consumo sarà orientata verso i prodotti “giusti”? Non ne faccio una questione morale quanto piuttosto un problema di moltiplicatori; oggi il sistema produttivo italiano è in crisi perché sconta ritardi e scelte strategiche sbagliate e si dice che da tempo puntiamo su “cavalli perdenti”, settori in cui non saremo in grado alla lunga di conservare vantaggi competitivi. E se la “nuova domanda” andasse a finire proprio su quei beni? Cosa avremo ottenuto? Un po’ di respiro, e poi…
    Ma allora, non era meglio usare quei soldi per azioni il cui esito fosse meno casuale? Perché in Italia nessuno ha il coraggio di fare una vera politica industriale e di sostenere la ricerca?

    • La redazione

      Sono del tutto d’accordo con lei
      cordiali saluti
      Massimo Baldini

  7. Riccardo Mariani

    Ma perchè dovremmo ridurre le tasse ? Un buon motivo ce l’ha chi ritiene che i soldi siano meglio spesi da chi li ha guadagnati. Se questo è vero allora si deve constatare che è difficile abbassare in maniera considerevole il prelievo irpef assunto in termini assoluti senza toccare il carattere progressivo del sistema. Inoltre una riduzione della progressività amplifica l’ incentivo ad arricchirsi, una no tax area sempre più ampia incentiva la stagnazione. Qualcuno è preso da un cruccio moralistico? Nessun problema, la questione della progressività a poco a che vedere con la povertà. Questa la si affronta dando un sostegno agli indigenti (trasferimento di ricchezza) per il quale si può attingere ad un fondo costituito benissimo anche grazie ad un’ imposta proporzionale. Ma allora perchè non si passa all’ azione senza tanti infingimenti e inscenando ciò che l’ articolo mi sembra che smascheri brillantemente come un gioco delle parti ? Forse perchè accettare le dure affermazioni di cui sopra significa predisporsi, almeno nell’ animo, alla transizione verso un modello “anglosassone” , significa considerare vincente nella storia questo modello non tanto su quello sovietico ma sopratutto su quello nipponico ed europeo. Non so se questa transizione ( o modernizzazione) sia davvero necessaria ma ho l’ impressione che questo sia un compito enorme per la classe politica, oggi con le spalle al muro priva com’ è della macchina inflattiva, della possibilità di indebitarsi, di locomotive a cui agganciarsi nonchè di mitiche terze vie da seguire. E’ di fatto costretta a colpire il suo “signore e padrone” ovvero il ceto medio, ovvero l’ elettore mediano che ha tasse ribassate di poco rispetto ai servizi, o privilegi, di cui godrà sempre meno. Se le pratiche liberali (es. attenuazione della progressività) possono essere introdotte solo a discapito delle pratiche democratiche (es. un limpido dibattito dati alla mano seguito da votazioni) allora ciò richiede un comportamento contro natura ai riformatori sempre con un’ elezione alle porte, è per questo che chiederei un pò di indulgenza per la pantomima del politico anche pensando che quella qui presa di mira sia poca cosa rispetto a quella che ci attende sui tagli della spesa.
    Cordiali saluti.

    • La redazione

      La lettera è interessante perche’ tra le altre cose solleva una domanda molto importante: perchè l’irpef dovrebbe essere progressiva?
      L’argomento classico è che l’utilità marginale del reddito e’ decrescente, nel senso che rinunciare ad un euro fornisce una disutilità minore quanto maggiore è il reddito. Da questa ipotesi, la progressività consegue per buona parte delle funzioni di utilità considerate di solito dagli economisti.
      Aggiungo un argomento: visto che le imposte indirette sono sicuramente regressive, dal momento che al crescere del reddito aumenta la propensione al risparmio, e quindi la parte di reddito esclusa dalle imposte indirette,
      allora la progressività dell’irpef potrebbe consentire al prelievo complessivo di essere quantomeno proporzionale.
      Si può essere a favore o no circa la transizione verso un modello anglosassone; come al lettore anche a me piacerebbe che, se qualcuno sta pensando di muoversi in questa direzione, per chiarezza, il dibattito venisse posto esplicitamente in questi termini. Per farla breve, è possibile e sostenibile un sistema con tassazione americana e welfare europeo?
      Cordiali saluti
      Massimo Baldini

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