Le esperienze delle compagnie aeree di Kenya e Sri Lanka dimostrano che l’apertura a capitali esteri migliora la gestione e assicura benefici reali. Per raggiungere questi risultati è però necessario che il Governo sviluppi una strategia chiara e credibile. Da far valere negli accordi con gli investitori stranieri e che permetta di non capitolare di fronte alle inevitabili resistenze e proteste. A partire da quelle che si leveranno contro la scelta necessaria di un unico hub nazionale.

Sul Sole 24Ore del 18 maggio, Carlo De Benedetti osserva giustamente che la nazionalizzazione non può essere la soluzione dei problemi del trasporto aereo in Italia.

Una tattica errata

La strategia che De Benedetti indica, però, non convince e rischia di suggerire al Governo una tattica sbagliata nella ricerca delle risorse necessarie per risolvere la crisi di Alitalia. Un business plan che punti a rafforzare i collegamenti point-to-point in Europa e nel Mediterraneo, grosso modo sotto le tre ore, non è né necessario né sufficiente.
Non c’è bisogno di creare una nuova azienda sulle ceneri di Alitalia per permettere alla business community italiana e ai turisti stranieri di viaggiare. Per questo ci sono già i vettori stranieri e le low-cost, comprese quelle italiane che, come Volareweb, stanno già crescendo rapidamente.
Inoltre, a nessun vettore tradizionale, anche ove liberato degli oneri del servizio pubblico, è riuscita la transizione verso un modello di gestione a costi ridotti. Ma se anche questa strategia funzionasse, rischia di non essere sufficiente.
L’esperienza di compagnie europee e asiatiche (spesso pubbliche, come Air France, Emirates o Singapore Airlines) mostra chiaramente come il salto di qualità nei risultati aziendali richiede una strategia aggressiva di sviluppo a partire di un hub efficiente.

Due esperienze di successo

La strada per Alitalia passa necessariamente per la vendita di una quota significativa del capitale (diciamo il 30/40 per cento) a un operatore straniero, cui sia trasferita la gestione operativa del vettore.
Con esso il Tesoro dovrà firmare un chiaro contratto che indichi gli obiettivi strategici: in altre parole, la visione che il Governo ha per la compagnia di bandiera. Non è ragionevole discutere della cessione di una quota di maggioranza: allo stato la compagnia non è un cespite interessante e, soprattutto, la regolamentazione del trasporto aereo internazionale condiziona la designazione di una compagnia nel quadro degli accordi bilaterali alla proprietà nazionale.
Gli esempi cui guardare non mancano, per una volta bisogna però avere l’umiltà di imparare da paesi ben più poveri dell’Italia.
Nel 1996 e 1997, rispettivamente, i governi del Kenya e dello Sri Lanka decisero che l’unica strada per arrestare l’inesorabile declino delle proprie compagnie aeree passava per un accordo con partner esteri disposti a investire risorse, non solo finanziarie, nella difficile missione di trasformare vettori locali privi di una strategia chiara in aerolinee capaci di crescere e sostenere lo sviluppo dell’industria e del turismo.

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Emirates ha acquistato 40 per cento di Air Lanka, ribattezzata Srilankan, mentre Klm ha acquisito il 26 per cento di Kenya Airways.
In ambedue i casi, l’investimento finanziario è stato relativamente modesto, anche perché gli introiti sono andati al fisco, non alla società.L’elemento cruciale è stato il contratto di gestione che ha chiaramente definito gli obiettivi e le responsabilità del nuovo partner.
Nel caso keniota, l’accordo indica come obiettivi aumentare i servizi tra l’Africa e il resto del mondo, condividere risorse, conseguire economie di scala e integrare Kenya Airways nelle alleanze che Klm sviluppa a livello globale. In cambio, Klm nomina i principali dirigenti, ma non la maggioranza del consiglio d’amministrazione, e ha il potere di veto sulle decisioni più importanti.
Anche in un contesto globale di crisi del trasporto aereo, le due compagnie hanno registrato tassi di crescita importanti – conseguiti grazie alla razionalizzazione della flotta, alla massiccia introduzione di strumenti informatici per ottimizzare la struttura tariffaria, a una rete di rotte e frequenze capace di supportare lo sviluppo di Nairobi e Colombo come incipienti hub regionali. Il margine operativo lordo è migliorato, il numero di passeggeri e la quantità di merce trasportati sono moltiplicati e ambedue la compagnie accumulano i riconoscimenti internazionali.

Risultati tanto più sorprendenti se si ricorda che Kenya e Sri Lanka sono stati drammaticamente colpiti dall’instabilità politica – attentati di Al Quaida a Nairobi e Mombasa, la guerra civile in Sri Lanka e la distruzione di aerei di Srilankan a opera dei terroristi Tamil. Ma ambedue le compagnie hanno ben letto i segnali del mercato. Ad esempio, dopo la conclusione di un accordo open skies con l’India, Srilankan serve quindici destinazioni in quel paese, con l’obiettivo di fare di Colombo un nuovo hub per collegare un mercato di un miliardo di persone con l’Asia e l’Europa.

Credibilità da costruire

L’esperienza di Kenya Airways e Srilankan contiene due messaggi che vale la pena trasmettere a chi ha a cuore l’avvenire di Alitalia.
Il primo, e più immediato, è che l’apertura a capitali esteri migliora la gestione con benefici reali, tra i quali l’aumento della forza lavoro rispetto all’epoca della proprietà pubblica. Non a caso, in ambedue i paesi le relazioni industriali sono ora significativamente migliori di quanto fossero quando la controparte del sindacato era il Governo.
Il secondo è che, in un settore come il trasporto aereo, per consentire questi risultati è necessario che il Governo sviluppi una strategia chiara e credibile. La credibilità si può costruire anche in contesti difficili come quelli di Kenya e Sri Lanka e non dipende necessariamente dalla continuità politica – tant’è che in nessuno di questi paesi il Governo che firmò gli accordi con gli investitori stranieri è ancora al potere.
Ma ciò richiede visione e perseveranza nel non capitolare di fronte alle proteste, per esempio quelle che accompagneranno la necessaria scelta dell’unico hub nazionale. Questa è la politica industriale moderna di cui l’Alitalia e il paese avrebbero bisogno.

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(1) “Il mercato richiede chiarezza”, Il Sole 24 Ore, 18 maggio

 

 

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