Lavoce.info

Il costo della devolution

Troppi i numeri in circolazione sui costi del federalismo. Dimenticando che non è corretto assumere che tutta la spesa decentrata rappresenti un aggravio di pari ammontare sulla finanza pubblica. Soprattutto, il dibattito perde di vista le questioni davvero rilevanti del processo di decentramento. Per esempio, il fatto che il dualismo economico del paese rende necessario un sistema perequativo efficiente. Oppure il rischio di fenomeni di irresponsabilità finanziaria, in assenza di un quadro di regole condivise tra centro e periferia.

Il tema dei “costi del federalismo” è stato il tormentone giornalistico dell’estate italiana e rischia di diventare anche quello dell’autunno, con la ripresa del dibattito sulla riforma costituzionale alla Camera e il contemporaneo varo della legge Finanziaria per il 2005, che si preannuncia tutt’altro che tenera con Regioni e altri enti locali. Un problema generalmente relegato all’attenzione di pochi specialisti ha così improvvisamente guadagnato le prime pagine dei maggiori quotidiani, generando una feroce polemica, alimentata a colpi di statistiche e citazioni di studiosi.

I numeri del decentramento

Di per sé, questo fatto è solo positivo. Era ora che il dibattito sul federalismo fiscale italiano uscisse dall’ambito puramente ideologico degli scontri tra partiti per scendere sul terreno concreto dei numeri. Solo che il dibattito si è concentrato su aspetti tutto sommato secondari del problema, tralasciando quelli veramente importanti. Inoltre, gli stessi numeri sono stati usati un po’ a vanvera nei giornali. Vediamo perché. Cominciamo dal secondo punto. Di stime sulle risorse da decentrare agli enti locali a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione prima, e della devolution bossiana poi, ne sono state fatte tante nella letteratura. Io stesso, assieme a Floriana Cerniglia, sono responsabile di alcune, oltre che di una metodologia di calcolo che ha riscosso qualche successo nella letteratura. Ma tre cose devono essere chiare rispetto a questi numeri. Primo, si tratta di stime di larga massima. In termini di attribuzione di risorse tra diversi livelli di governo, nessuno sa veramente cosa significa il fatto che una funzione è a legislazione concorrente tra Stato e Regioni, oppure che è una funzione esclusiva delle Regioni. Funzioni di monitoraggio e controllo rimarrebbero comunque in mano allo Stato centrale, a cui resta la responsabilità esclusiva della determinazione degli standard per i servizi essenziali e delle norme generali, e non è dunque a priori ovvio come un certo capitolo di spesa debba essere ripartito tra i due livelli di governo. Si può fare qualche ipotesi ragionevole, ma si tratta appunto di questo: ipotesi. Secondo, la nuova Costituzione è complicata e si presta a più interpretazioni, non solo per quello che riguarda l’attribuzione di funzioni, ma ancora di più per quello che riguarda i nuovi sistemi di finanziamento, previsti dall’articolo 119. Tener conto anche di questi aspetti produce numeri ovviamente diversi, e nel confrontarli è importante considerare le diverse ipotesi che stanno dietro di essi, una cautela che è spesso mancata nel dibattito. Terzo, affermare che la spesa da delegare alle Regioni a seguito del decentramento costituzionale è di X milioni di euro, non significa affatto dire che la spesa delle amministrazioni pubbliche complessive aumenterebbe di X milioni di euro a seguito del decentramento.

Leggi anche:  Autonomia differenziata a rischio incostituzionalità

I costi della transizione

Questo è il punto che più è stato frainteso sui giornali, ed è quindi opportuno cercare di spiegarlo nel modo più chiaro possibile.  In linea di principio, i costi del decentramento costituzionale sono sempre identici a zero. A fronte dei nuovi tributi o dei nuovi trasferimenti che lo Stato dovrebbe attribuire alle Regioni e alle altre autonomie per far fronte alle nuove funzioni devolute, scomparirebbero dal bilancio dello Stato spese per un ammontare esattamente uguale. Per esempio, se l’istruzione passa alle Regioni, gli stipendi dei professori vengono pagati dalle Regioni e non più dallo Stato; dunque, l’effetto contabile per il complesso delle amministrazioni pubbliche è zero. Nei fatti, le cose non sono così semplici. Delegare funzioni significa in pratica spostare personale e uffici dal centro alla periferia. Ma mentre un edificio può essere “devoluto” a piacimento, le persone non possono essere spostate contro la propria volontà. C’è dunque il rischio di una moltiplicazione della burocrazie: un ufficio si apre a livello regionale, ma il corrispondente ufficio statale non chiude, almeno non nell’immediato. Inoltre, il regime contrattuale dei dipendenti regionali è spesso più generoso di quello statale: spostare un funzionario dallo Stato alle Regioni può comportare un aggravio di costi per la finanza pubblica. Le esperienze di decentramento del passato suggeriscono che questi “costi della transizione” possono essere assai sostanziosi (vedi per esempio, il Rapporto Isae del 2004 sulle Leggi Bassanini). Ma assumere che tutta la spesa decentrata rappresenterebbe un aggravio di pari ammontare sulla finanza pubblica, come spesso si è sbrigativamente fatto sulla stampa, è una chiara assurdità. Sarebbe come dire che delegando l’istruzione alle Regioni gli stipendi dei professori verrebbero pagati due volte, una volta dallo Stato e un’altra volta dalle Regioni. Questo, chiaramente, non avverrebbe.

I costi economici del decentramento

Ma forse il problema più serio del dibattito estivo è che si è concentrato sul tema del costo immediato del trasferimento delle funzioni, che per quanto rilevante, è sostanzialmente marginale rispetto all’enormità del processo di decentramento in corso.  I costi (come pure i benefici) derivanti dal decentramento costituzionale sono essenzialmente costi e benefici economici; i costi e i benefici derivanti dal fatto che decisioni una volta statali vengono ora prese a livello locale; il fatto che il dualismo economico del paese rende difficile costruire un sistema fiscale che consenta a tutti gli enti locali di sostenere la nuova spesa, ed è dunque necessario ipotizzare un sistema perequativo efficiente; i rischi, che in assenza di un quadro di responsabilità condivise tra centro e periferia, si possano generare fenomeni di irresponsabilità finanziaria. Converrà che su questi temi si concentri d’ora in avanti l’attenzione.

Leggi anche:  Autonomia differenziata: né sogno né incubo

 

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Dall'astensione al voto populista

Precedente

Le pensioni nel Patto

Successivo

Attacco al metodo contributivo

  1. Matteo Barbero

    A proposito di costi connessi all’attuazione del federalismo, Vi segnalo il recente documento sottoscritto dai rappresentanti delle istituzioni locali lombarde. Fra l’altro, vi si legge che la devolution dovrebbe (e potrà) garantire “la massimizzazione del rapporto fra costi e benefici”. Sarà un lapsus freudiano o un mero errore di battituta? Ai posteri l’ardua sentenza.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén