Molte le difficoltà nell’attuazione del decreto che istituiva un meccanismo automatico di perequazione nella distribuzione delle risorse alle Regioni. In vista del federalismo fiscale prossimo venturo, bisogna allora ricordare che il trasferimento di funzioni, la determinazione delle spese da sopprimere sui bilanci dei singoli ministeri, il computo dei finanziamenti necessari e delle regole di perequazione richiede una struttura centrale forte e tecnicamente ben attrezzata.

La prima attuazione del decreto legislativo 56/2000 si è caratterizzata per una gestione un po’ tormentata. Ci sono state grandi difficoltà nelle sedi istituzionali per la definizione del riparto per il 2002 conclusosi solo nell’agosto 2004. Sono stati anche sollevati dubbi sui suoi contenuti, basati più su presunte ed errate conseguenze della sua applicazione che su una critica della sue proprietà di strumento di politica economica. E’ utile fornirne qualche chiarificazione.

A che serve il 56?

Il fondo perequativo del decreto legislativo n. 56/2000, si proponeva tre diversi scopi:
1) costruire un modello di finanziamento che limitasse i rischi di sfondamenti di bilancio da parte del sistema regionale;
2) rimuovere i vincoli di destinazione sull’utilizzo delle risorse assegnate dallo Stato alle Regioni;
3) condurre la distribuzione delle risorse tra le Regioni esistente al 2001 verso un modello basato su criteri più razionali, attraverso un sistema automatico di perequazione.
Il primo obiettivo era perseguito legando le dimensioni del fondo a una compartecipazione al gettito dell’Iva; automaticamente le risorse per le Regioni sarebbero aumentate con l’aumentare del gettito Iva, senza bisogno di interventi addizionali. Naturalmente, lo Stato poteva sempre intervenire aumentando l’aliquota di compartecipazione all’Iva, in presenza per esempio di una dinamica della spesa per la sanità più accentuata di quanto preventivato. Con il nuovo modello di finanziamento, la contrattazione tra Stato e Regioni avrebbe dovuto concentrarsi in primis sulla determinazione dell’aliquota di compartecipazione all’Iva.
Il secondo obiettivo risultava dal fatto che i trasferimenti alle Regioni originavano da tanti e diversi programmi di intervento, ciascuno basato su criteri diversi e dalla storia passata dei rapporti Stato-Regioni; ciascuno con proprie regole di controllo e vincoli di destinazione. Primario tra questi programmi era il finanziamento della spesa sanitaria, in base al quale lo Stato pagava la differenza tra il livello della spesa determinato in base a indicatori di fabbisogno e il gettito dei tributi propri regionali vincolati al finanziamento della stessa spesa. Di qui, consolidamento delle fonti di finanziamento e eliminazione dei vincoli di destinazione.
Il terzo obiettivo si basava sulla constatazione che la distribuzione dei trasferimenti erariali tra Regioni, per i motivi già detti, non era riconducibile a criteri razionali ma rifletteva decisioni e comportamenti del passato, non sempre ispirati a ragioni di equità o efficienza. Proponeva quindi un passaggio graduale (in 13 anni) dall’attuale distribuzione a quella a regime, calcolata secondo i nuovi parametri.
A regime, i finanziamenti sarebbero stati commisurati a:
(i) il fabbisogno di spesa sanitaria, così come calcolato in attuazione delle leggi vigenti e definito concretamente in sede di Conferenza Stato-Regioni;
(ii) una valutazione dei costi fissi dell’attività politica nelle Regioni più piccole;
(iii) un fondo perequativo diretto a compensare le Regioni a reddito più basso per il basso livello del gettito tributario per abitante.
Approssimativamente, a regime, le tre componenti avrebbero contato rispettivamente per il 35, 1 e 64 per cento delle risorse complessive assegnate alle Regioni.
In particolare per quanto riguarda il fondo perequativo, questo avrebbe ridotto i differenziali tra i gettiti per abitante delle diverse Regioni, attualmente aperti su un intervallo da 30 a 100, a un intervallo da 45 a 55. Il parametro della capacità fiscale garantiva inoltre che una Regione che avesse subito un shock negativo (positivo) nella base imponibile rispetto alle altre, automaticamente avrebbe visto un incremento (decremento) dei trasferimenti dal fondo, rendendo di conseguenza meno necessario l’intervento compensativo da parte del centro. Infine, poiché la capacità fiscale era definita a basi imponibili e aliquote standard, il fondo non interferiva minimamente con l’autonomia di entrata delle diverse Regioni.

Leggi anche:  Aspettando l'inevitabile sconfitta dei conservatori

Perché di difficile attuazione?

Il modello di finanziamento del decreto legislativo 56/2000 era stato immaginato per un sistema di federalismo dove autonomia (misurata dal gettito dei tributi propri e dalla possibilità di modificare le loro aliquote con decisione autonoma) e solidarietà (misurata dai caratteri e proprietà del fondo perequativo) fossero adeguatamente contemperate.
Veniva riconosciuto un ruolo importante alle entrate proprie (come testimoniato dall’assegnazione alle regioni di importanti fonti di entrata propria), ma si vincolavano le conseguenze dell’autonomia per evitare che le distanze tra Regioni – in termini di disponibilità di risorse per abitante – divenissero troppo grandi.
Veniva anche riconosciuto che su un comparto di spesa di grande rilievo sociale come la spesa sanitaria, bisognasse mantenere saldo il riferimento a indicatori oggettivi di fabbisogno per una frazione rilevante dei trasferimenti del fondo perequativo.
Nella sua attuazione il decreto legislativo 56/2000 ha incontrato, oltre a qualche errore di applicazione, difficoltà e problemi interpretativi che sono richiamati nell’articolo accanto.
La maggiore difficoltà è stata la crescita tumultuosa della spesa sanitaria proprio nel periodo in cui il decreto avrebbe dovuto iniziare ad essere applicato. E’ venuta a mancare, per dirla con semplicità, la base di partenza su cui appoggiare il calcolo della compartecipazione Iva che doveva alimentare il fondo perequativo. Contravvenendo alla logica fondamentale del nuovo modello di finanziamento, le risorse regionali anziché essere determinate dalla crescita del gettito Iva, sono state determinate sulla base della tradizionale procedura di negoziazione tra Stato e Regioni.
Sono stati poi ecceduti i limiti di una corretta autonomia tributaria quando il Governo (di centrosinistra) ha consentito alle Regioni di introdurre scale di progressività sull’Irpef regionale e di intervenire sulla struttura delle aliquote dell’Irap. Sono state minate le basi dell’autonomia finanziaria delle Regioni quando il Governo (di centrodestra) ha bloccato le addizionali Irpef.

Quale futuro?

Il decreto legislativo 56/2000 è nato in vigenza della Costituzione del 1948. Si attaglia bene alla nuova Costituzione del 2001 e potrebbe, opportunamente modificato, costituire una guida per il nuovo sistema di finanziamento delle Regioni.
Tuttavia, la nuova Costituzione attribuisce esplicitamente al Parlamento nazionale – cosa che non esisteva nella Costituzione del 1948 – il potere/dovere di fissare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire sull’intero territorio nazionale. Il futuro del modello perequativo dipenderà quindi dall’interpretazione che di questa norma si vorrà dare.
Se questa sarà nel senso che lo Stato deve determinare direttamente i livelli delle prestazioni in modo uniforme su tutto il territorio nazionale per materie come la sanità e la scuola (la grande parte della spesa regionale del futuro), lo schema di perequazione della capacità fiscale disegnato dal decreto 56/2000 non potrà più costituire la base del finanziamento delle Regioni. Questo per la semplice ragione che una perequazione delle risorse (parziale, anche se molto elevata) non è in grado di garantire livelli delle prestazioni uniformi su tutto il territorio nazionale.
Dovunque si vada a finire, i primi anni di esperienza con il decreto legislativo 56/2000 ci ricordano che non basta fare le riforme, ma bisogna applicarle bene, con competenza e con determinazione. Ciò anche in vista del federalismo fiscale prossimo venturo, quello previsto dall’articolo 119 della Costituzione, che riguarda un ambito di materie molto più vasto. Il trasferimento di funzioni, la determinazione delle spese da sopprimere sui bilanci dei singoli ministeri, il computo dei finanziamenti necessari e delle regole di perequazione richiede una struttura centrale forte e tecnicamente ben attrezzata.

Leggi anche:  Con più interazione digitale torna la fiducia nelle istituzioni

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Quanti mandati per un sindaco