Prima di rifinanziare i progetti di incentivazione alla diffusione della cultura informatica tra i giovani italiani, andrebbero valutati i risultati ottenuti con le iniziative già attuate. L’effetto di alfabetizzazione addizionale sembra infatti aver riguardato solo il 3 per cento dei sedicenni. Se invece gli incentivi fossero assegnati casualmente a persone “simili”, non solo per età, ma anche per background familiare e livello di istruzione, l’eventuale variazione delle abilità informatiche potrebbe essere ascritta più rigorosamente alla partecipazione al programma. Nei giorni scorsi i giornali hanno ripreso i risultati di una indagine del ministero dell’Innovazione tecnologica, che annunciava con soddisfazione: “Ultima in Europa nel 2001, oggi l’Italia è tra i paesi più tecnologici“. Dall’indagine emerge che l’85 per cento delle scuole superiori italiane è collegato a Internet, e che in settecento istituti è disponibile la connessione a Internet senza fili. Nel 2003, quasi 200mila insegnanti hanno seguito i corsi di alfabetizzazione informatica proposti dal ministero dell’Istruzione. Nel 2001, c’era un computer ogni ventotto studenti, oggi uno ogni undici. Pc dappertutto, finalmente Questi risultati sono il frutto di “Pc nelle scuole”, una delle
Il bonus non basta
A ben vedere, la politica di incentivazione del Governo si basa su due pilastri fondamentali.
1) Il punto di partenza: la diffusione dei pc accresce la dimestichezza della gente con l’It, di cui non si può fare a meno nella società dell’informazione.
2) L’implicazione: dato che tutti ne avrebbero bisogno, il mancato acquisto di un pc dipende evidentemente solo dal suo costo “eccessivo”. Quindi diminuirne il costo, attraverso opportuni incentivi di prezzo, è la strada da seguire.
Prima di tutto, il fatto che, nel 2003, il bonus per l’acquisto di un pc sia stato usato da 40mila giovani italiani (circa il 7 per cento dei sedicenni) non dice nulla sulla questione realmente importante, cioè se l’acquisto dei nuovi pc abbia davvero accresciuto la dimestichezza degli italiani con l’It. L’offerta potrebbe essere stata utilizzata semplicemente per cambiare un pc esistente con uno nuovo. In tal caso, il bonus consiste di un regalo fatto a persone che avevano già dimestichezza con l’It. Se è così , bisognerebbe parlare di politica di supporto alle aziende produttrici (prevalentemente non italiane) e ai distributori (per lo più italiani). Per quantificare – in modo rozzo – questo effetto, si può guardare al fatto che solo meno della metà di chi ha comperato il pc ha poi seguito il corso di alfabetizzazione informatica offerto dal ministero. Gli altri, evidentemente, sapevano già usarlo o hanno imparato da amici o parenti. Quindi, grosso modo, l’effetto di alfabetizzazione addizionale propagandato dal Governo ha riguardato solo il 3 per cento della classe di età rilevante (i sedicenni). È qualcosa, ma non è molto.
I dati diffusi in questi giorni sulle vendite di pc forniscono poi un altro elemento di riflessione.
Nei primi sei mesi del 2004, le vendite sono cresciute del 20 per cento in volume, ma i ricavi sono rimasti quelli dell’anno scorso. Come osservava Robert Gordon qualche tempo fa, la continuata riduzione del prezzo di mercato dei pc non è solo il riflesso della persistente riduzione del prezzo dei semiconduttori, ma segnala anche che l’utilità che i consumatori attribuiscono all’acquisto di pc aggiuntivi è piuttosto bassa. Siamo proprio sicuri che sia una buona idea incentivare l’acquisto di un bene da cui i consumatori traggono un’utilità limitata? Insomma, in una società come quella italiana, fatta di piccole imprese che usano poco l’It, di scuole in cui i pc sono collocati in aule informatiche che rimangono spesso vuote e in cui la burocrazia pubblica rappresenta un ostacolo all’automatizzazione dell’erogazione di servizi, “giving pc a chance” è uno strumento dall’efficacia limitata per migliorare l’apprendimento delle nuove tecnologie. Come insegna la felice esperienza degli Stati Uniti con l’It, non è la mera disponibilità delle macchine che genera la diffusione delle conoscenze, i guadagni di produttività e gli incentivi per un uso proficuo della stessa, ma semmai l’organizzazione del lavoro, della vita sociale e delle istituzioni che stanno intorno ai pc.
Una proposta
Cosa potrebbe fare allora il Governo per accrescere l’efficacia dei suoi progetti per la diffusione dell’It? Almeno una piccola cosa preliminare: riconoscere che il numero di persone che aderiscono alle iniziative non è di per sé un buon indicatore del loro successo e del buon uso delle risorse pubbliche. Nel rinnovare e ridisegnare gli incentivi per gli anni a venire, si dovrebbe invece tenere conto del fatto che, dopo aver attuato un programma di questo tipo, occorre effettuare rigorosi esercizi di valutazione dei risultati ottenuti per capire meglio cosa funziona e cosa non funziona.. In generale, coloro che aderiscono ai programmi di incentivazione sono spesso individui diversi rispetto a coloro che non partecipano e questo genera un difficile problema di valutazione delle politiche proposte: di fronte a un risultato di grande partecipazione a uno schema di incentivazione, non si può dire se sia lo schema che ha funzionato bene o se invece al programma hanno aderito solo quelli che già sapevano usare il pc. Per evitare che operi questo effetto di selezione, gli incentivi potrebbero essere assegnati casualmente a persone “simili” (non solo per età, ma anche per background familiare e livello di istruzione, ad esempio), nell’ambito delle limitate risorse disponibili. In questo modo, l’eventuale variazione delle abilità informatiche osservata prima e dopo l’attuazione dello schema di incentivo tra coloro che hanno ricevuto il pc e coloro che non lo hanno ricevuto potrebbe essere più rigorosamente ascritta alla partecipazione al programma di diffusione dei pc e non a qualche altra caratteristica familiare o personale indipendente dal programma.
(1) Si possono ricordare anche i progetti “Pc ai giovani”, “Pc alle famiglie” e, per ultima, “Pc ai docenti”.
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