Lavoce.info

Assicurati in banca

I depositi bancari tornano a essere un’alternativa ad azioni e obbligazioni. Perché il risparmiatore li considera assolutamente sicuri. Infatti esistono assicurazioni implicite ed esplicite che li garantiscono. Ma la forma esplicita può avere effetti negativi sulla stabilità del sistema in quanto elimina l’incentivo dei depositanti a monitorare l’azione dei manager bancari. E fa crescere il differenziale tra tassi sui prestiti e tassi sui depositi. Una maggiore concorrenza tra banche deve poggiarsi anche sui diversi profili di rischio.

Il detto “mettere i soldi in banca” è antico e sintetizza bene la funzione svolta dalle istituzioni che per prime si sono occupate di fornire servizi di intermediazione finanziaria. Queste si sono affermate come banche di “deposito”, offrendo un servizio di salvaguardia dei risparmi accumulati dai cittadini e di tutela degli stessi, ben prima di passare a svolgere funzioni creditizie e di altra natura. 
Oggi, in un mondo dominato da incertezza e scandali finanziari, si discute molto di come meglio tutelare il risparmio, e per certi versi i depositi bancari sembrano tornati (complice la prolungata fase di contenuti tassi di interesse) un’alternativa più gradita rispetto a azioni, obbligazioni e diverse e creative combinazioni delle stesse. Specie se questi depositi sono mascherati (dovrebbe forse dirsi “colorati”, magari di arancio?) da strumenti ibridi che consentono una remunerazione più elevata dei conti correnti ordinari.

Assicurazioni implicite ed esplicite

Ma quanto sono sicuri i risparmi depositati in banca? Al 100 per cento, dirà l’uomo della strada, la banca non può essere lasciata fallire, c’è la banca centrale o lo Stato che, in caso di difficoltà, fornirà assistenza attraverso il credito di ultima istanza, la ricapitalizzazione o la vendita pilotata ad altra istituzione finanziaria sana. Insomma, la prospettiva di intervento delle autorità fornisce una assicurazione implicita (e come tale tuttavia imperfetta) al risparmiatore.

Meno conosciuta è invece una forma di assicurazione “esplicita” fornita ai depositanti in tutti i paesi industrializzati e in diverse altre economie. Normalmente, questa assicurazione stabilisce un limite ai rimborsi (in Italia 100mila euro) in caso di insolvenza e fallimento della banca. L’assicurazione esplicita dei depositi bancari tutela i singoli risparmiatori e contribuisce alla stabilità del sistema finanziario, evitando che crisi di una singola banca possano “contagiare” istituzioni sane attraverso fenomeni di panico generalizzato e “corse” agli sportelli bancari. Ma, si osserva, la stessa potrebbe anche avere effetti negativi sulla stabilità del sistema bancario in quanto elimina l’incentivo dei depositanti a “monitorare” l’azione dei manager bancari, che potrebbero quindi assumere rischi troppo elevati nelle loro politiche creditizie e di asset management. All’assicurazione dei depositi sarebbero dunque collegati effetti di moral hazard. 
A partire dal 2000, in seguito alla costruzione di una banca dati internazionale da parte della World Bank, si è avviata una letteratura empirica sugli effetti dei sistemi di assicurazione esplicita dei depositi sul sistema bancario e sulle sue caratteristiche in termini di stabilità e redditività. Asli Demirguc–Kunt e Enrica Detragiache hanno mostrato come la probabilità di fallimento di una banca sia positivamente influenzata dalla presenza di un sistema generoso di assicurazione dei depositi. (1)
In un mio lavoro con Francesca Carapella, l’evidenza degli effetti di moral hazard associati all’assicurazione dei depositi è confermata dallo studio dell’impatto sui tassi di interesse e i differenziali tra interessi attivi e passivi. (2) Riscontriamo infatti un effetto positivo dell’assicurazione dei depositi sul differenziale tra tassi sui prestiti e tassi sui depositi, determinato tuttavia non dalla riduzione del tasso sui depositi (come ci si aspetterebbe per la maggiore sicurezza garantita dall’assicurazione ai depositanti), ma da un aumento del tasso medio sui prestiti, correlato a una loro maggior rischiosità media. Entrambi gli articoli evidenziano inoltre un ruolo positivo ai fini della stabilità e dell’efficienza del sistema bancario svolto da indicatori di qualità istituzionale dei paesi, come il rispetto delle leggi o l’ordine pubblico.

Leggi anche:  Condividere costi e profitti nell’Eurosistema non sempre è un affare

Una consapevolezza da diffondere

Quali lezioni trarne? Esiste un trade-off tra protezione dei risparmiatori “inconsapevoli” e giusti incentivi all’esercizio delle funzioni di controllo da parte dei creditori (anche di una banca) nei confronti degli azionisti e dei manager. L’assicurazione dei depositi è opportuna, purché sia esplicitamente limitata e non sia eccessivamente generosa. La protezione accordata dal legislatore italiano è probabilmente la soglia superiore oltre la quale non sembra opportuno spingersi.
Allo stesso tempo, occorre diffondere tra i risparmiatori la conoscenza delle regole del gioco e dei rischi associati anche a investimenti troppo spesso considerati del tutto “sicuri”. Una maggiore concorrenza tra banche deve poggiarsi sulla qualità dei servizi offerti e delle condizioni praticate ma (perché no?) anche sui diversi profili di rischio e sulle conseguenze nei confronti dei depositanti. O ha veramente ragione l’uomo della strada, e alla possibilità di fallimenti bancari non è nemmeno il caso di pensare? In Italia, nelle decisioni delle autorità di politica economica, le considerazioni relative alla stabilità del sistema bancario sembrano aver più spesso prevalso su considerazioni relative all’efficienza. Il dubbio è quindi lecito.


(1) Demirguc-Kunt, A. e E. Detragiache, “Does deposit insurance increase banking system stability? An empirical investigation” Journal of Monetary Economics, 2002

(2) Lo studio è presentato al convegno annuale del SUERF – The European Money and Finance Forum, Madrid, 14 ottobre 2004

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Tra Unicredit e Banco Bpm un matrimonio ostacolato, ma possibile

Precedente

Sommario 15 ottobre 2004

Successivo

Valutare in trasparenza

  1. Carlo Clericetti

    L’articolo di Giorgio Di Giorgio mi risulta poco chiaro nelle conclusioni. Ci devono essere conseguenze, in caso di fallimento della banca, sui depositanti con oltre 100.000 euro? Ma non è già così, come egli stesso ha detto? I clienti debbono “controllare” la banca? Mi sembra un po’ difficile. Tra ratios internazionali e vigilanza domestica, il moral hazard “non dovrebbe” esistere: se c’è è perché la banca ha eluso i controlli istituzionali. Figuriamoci, in quel caso, cosa possono controllare i clienti.
    Anche l’affermazione che le banche non vengono mai fatte fallire è vera solo “tecnicamente”, ma non nella sostanza. Banco Napoli e Banco di Sicilia forse non saranno ufficialmente falliti, ma hanno cambiato proprietà e management. E comunque ci è sempre stato detto (personalmente non sono in grado di giudicare se sia vero) che far fallire una banca – al netto degli eventuali effetti sistemici – costa molto di più che salvarla.
    Se l’obiettivo è l’efficienza, forse più importante del rischio di fallimento è la contendibilità del controllo. Ma qui, come tutti sanno, si apre un’altra serie di problemi.

    • La redazione

      Accolgo volentieri l’invito di Clericetti a spiegare meglio le
      conclusioni del mio pezzo.
      In Italia, la protezione esplicita ai depositanti è accordata fino a 100.000 euro, un limite superiore al “minimo” (20.000 euro) previsto dalla legislazione comunitaria. L’assicurazione esplicita dei depositi è popolare tra i policy makers, ma non esiste un consenso “teorico” sull’opportunità di introdurla, soprattutto in contesti deboli dal punto di vista della “qualità” delle istituzioni. I primi lavori empirici sul tema sembrano confermare, almeno in parte, i timori degli economisti su possibili effetti perversi dello strumento. Questo non implica ovviamente che lo strumento sia da buttare, ma che vada usato in modo intelligente. A questo fine, è opportuno che ci sia un limite di protezione non eccessivamente alto, per indurre una qualche “disciplina di mercato” da parte dei depositanti (almeno da parte di quelli sufficientemente “ricchi” da avere i mezzi, e i giusti incentivi, a informarsi sullo stato di salute della banca con cui interagiscono). E’ poi opportuno che si diffonda l’informazione circa le caratteristiche della protezione offerta: da alcune surveys risulta infatti che nei paesi industrializzati al più la metà dei depositanti è consapevole dell’esistenza di questo strumento. Mentre è ancora diffusa la percezione che i depositi siano(implicitamente) sempre “sicuri” al 100%. Questa percezione è dannosa perchè può indurre distorsioni nel sistema finanziario favorendo gli intermediari bancari verso quelli non
      bancari, la raccolta bancaria via depositi rispetto a quella via bonds o pronti/termine etc.
      Le ragioni che consigliano di proteggere i depositi bancari più di altri strumenti finanziari non giustificano comunque una protezione “totale”.
      I servizi di liquidità offerti dai depositi bancari sono già “remunerati” da un rendimento più basso di quello di altri strumenti del mercato monetario. Non c’è nessun motivo per rendere i depositi bancari del tutto privi di rischio, almeno oltre una soglia tale da rendere difficile identificare i detentori di depositi con “risparmiatori inconsapevoli” e meritevoli quindi di una protezione aggiuntiva rispetto ai possessori di bonds. In questo senso va chiarito che l’assicurazione esplicita e limitata dei depositi dovrebbe sostituire ed eliminare la possibilità di una assicurazione integrale implicita degli stessi.
      Sono ovviamente d’accordo con Clericetti sulla maggiore rilevanza del problema della contendibilità del controllo nel settore bancario, ma sarei anche meno “chiuso” rispetto alla possibilità di vedere fallire anche una banca, soprattutto se fosse di dimensioni ridotte. Nel caso di banche grandi, il discorso è ovviamente diverso. D’altra parte, lo stesso ragionamento mi sembra applicarsi, almeno in Europa continentale, a aziende non bancarie di grandi dimensioni, pubbliche o private, che non vengono comunque lasciate fallire per le pericolose conseguenze macroeconomiche che ne derivano. Rimane quindi l’anomalia che una piccola impresa può fallire, ma non se svolge attività bancaria.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén