La regola aurea, invocata da molti ministri del Governo, va associata a condizioni decisamente più stringenti sulla dinamica del debito di quelle previste dal Patto di Stabilità. Richiede infatti che il rapporto debito-Pil non cresca nel periodo di riferimento, anzi decresca in modo più pronunciato per i paesi più indebitati. Forse, allora, è proprio quello di cui ha bisogno la finanza pubblica italiana: una regola sul debito che ne vincoli ogni ulteriore crescita, ne forzi una rapida diminuzione e ci metta al riparo dalla ritorsione dei mercati.
Il presidente del Consiglio e diversi ministri reclamano a gran voce maggior flessibilità nell’applicazione del Patto di Stabilità e crescita, chiedendo ripetutamente che vengano esclusi dal computo del disavanzo spese, ad esempio quelle di investimento, giudicate particolarmente meritevoli. È la golden rule, applicata con un certo successo, ma anche con qualche difficoltà, dal Cancelliere dello Scacchiere Gordon Brown. Nello stesso momento, però, il ministro dell’Economia si prodiga a Bruxelles per scongiurare che la tanto attesa riforma del Patto ponga maggiormente l’accento sul criterio del debito, un’eventualità considerata catastrofica per il nostro paese.
LA GOLDEN RULE VISTA DA VICINO
Che cosa è la golden rule e cosa comporterebbe la sua applicazione per l’Italia?
La golden rule è una regola di bilancio di semplice enunciazione che, in estrema sintesi, prevede che solo gli investimenti pubblici possano essere finanziati in disavanzo.
Si può discutere sull’utilità di una tale regola (è veramente possibile distinguere fra spese d’investimento, produttive, e spese correnti, improduttive? Vanno scorporati gli investimenti lordi o, più rigorosamente, quelli netti? Non vi è il rischio che l’introduzione di questa regola induca i governi a nuove ingegnerie contabili rendendo ancora più complessa la gestione del Patto di Stabilità?).
Rimane in ogni caso il fatto che, anche nella sua versione più generosa, quella in cui vengono scorporati gli investimenti lordi, la regola aurea prevede che il saldo corrente del bilancio pubblico (la differenza fra entrate e spese correnti) debba essere in pareggio. Guardiamo quindi al saldo corrente dell’Italia. Nel 2000 era pari a 17 miliardi, l’1,5 per cento del Pil. Nel 2002 era sceso a 9 miliardi, l’0,7 per cento del Pil e nel 2003 risultava negativo per più di 3 miliardi di euro. Anche correggendo per il ciclo, il saldo corrente risulterebbe oggi sostanzialmente in pareggio. È evidente quindi che quando anche fosse applicata in pieno la golden rule, l’Italia godrebbe di margini di manovra nulli, se non negativi, in quanto già da oggi il bilancio di parte corrente non registra più un avanzo e tutto l’investimento pubblico è finanziato in disavanzo.
Ma non è finita. La regola aurea (come Gordon Brown ci ricorderebbe) richiede anche che il rapporto debito Pil non cresca durante il periodo di riferimento.
È una clausola saggia, volta a evitare che, con la giustificazione della golden rule, vengano finanziati in disavanzo progetti assai poco produttivi che contribuiscono poco o nulla alla crescita, ma che per definizione inducono un aumento del debito pubblico. Anche in questo caso l’Italia si troverebbe in difficoltà. In primo luogo, è difficile sostenere che nel nostro paese gli investimenti pubblici superino un vaglio rigoroso sulla base della loro produttività sociale e del loro contributo alla crescita (non sarebbe il caso a proposito di riformare il Cipe?). Inoltre, il debito pubblico italiano già adesso tende a crescere, alimentato da una forbice sempre aperta fra fabbisogno e disavanzo di competenza. Solo l’ingegnosità delle operazioni finanziarie del Tesoro ne ha evitato finora un aumento.
DUE ELEMENTI INSEPARABILI
Regola aurea e clausola sul debito sono quindi inscindibili. La loro adozione non accrescerebbe i margini di manovra per un bilancio pubblico già piuttosto disastrato. Ma vi è di più.
Qualsiasi regola sul debito dovrebbe prevedere una diminuzione più pronunciata del rapporto debito Pil per i paesi relativamente più indebitati. Si tratta di un fatto puramente meccanico, in quanto a parità di disavanzo e di crescita, il rapporto debito Pil tende a ridursi tanto più rapidamente quanto più elevato risulta il suo livello iniziale. Ad esempio, con un disavanzo del 2 per cento e una crescita del 4 per cento, il rapporto debito Pil dovrebbe diminuire del 2 per cento all’anno in un paese in cui il rapporto debito Pil è inizialmente pari al 100 per cento e rimanere invece costante nel caso in cui tale rapporto si situi al 50 per cento. (1)
Sarebbe quindi utile che il ministro dell’Economia suggerisse ai suoi colleghi, e soprattutto al presidente del Consiglio, di non insistere ulteriormente sull’introduzione della regola aurea, in quanto inevitabilmente questa regola va associata a condizioni molto più stringenti di quelle previste dal Patto sulla dinamica del debito. Ma forse no. In fondo, anche il ministro dell’Economia dovrebbe rendersi conto che ciò di cui la finanza pubblica oggi assolutamente necessita è proprio una regola sul debito che ne vincoli ogni ulteriore crescita, ne forzi una rapida diminuzione e ci metta al riparo dalla ritorsione dei mercati.
(1) La variazione del rapporto debito Pil è uguale per definizione al rapporto tra disavanzo e Pil meno il tasso di crescita nominale del Pil moltiplicato per il livello iniziale del rapporto debito Pil. A parità di disavanzo e di crescita il rapporto debito Pil diminuisce quindi più rapidamente nei paesi con un livello inizialmente più alto di tale rapporto.
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Salvatore Gioe'
Per ricondurre la filosofia del politico e della politica ad un giusto equilibrio basta rivedere la propria etica e la propria morale nella direzione della onesta’. Questi elementi cosi’ semplici riconquisterebbero la fiducia dei cittadini e la golden rule diventerebbe una inutile applicazione perche’ il rapporto debito pubblico /Pil rientrerebbe nei giuti limiti guardando un giusto rapporto etico/morale della casta politica.