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Tfr e rischio di mercato

In unottica di finanza aziendale, il trattamento di fine rapporto può essere interpretato come un debito dellimpresa, con i lavoratori che assumono il ruolo di creditori.Il dibattito sulla compensazione alle aziende per la perdita del Tfr dovrebbe allora tenere in considerazione anche la riduzione del rischio di impresa dato dalla progressiva esternalizzazione del Tfr. In un mercato efficiente, infatti, dovrebbe portare a una riduzione del costo di altre fonti di capitale. I risultati di uno studio empirico.

Un aspetto spesso tralasciato nel dibattito italiano sul ruolo del Tfr è che, in un’ottica di finanza aziendale, il trattamento di fine rapporto (come i programmi di severance pay di altri paesi, per esempio l’Austria) può essere interpretato come un debito dellimpresa, nel quale i lavoratori assumono il ruolo di creditori. In linea di principio, questo approccio può essere esteso a tutti i programmi di benefit aziendali che includano una componente di prestazione definita, cioè tutti quei programmi che definiscono nel contratto il valore di una prestazione futura dovuta con “certezza”, indipendentemente dalle circostanze aziendali o di mercato.

Indicatori di rischio

A parità di altri fattori legati all’azienda e al settore in cui essa opera, la teoria finanziaria prevede una relazione positiva tra il livello di indebitamento (o leverage) e indicatori di rischio quali la volatilità dei prezzi azionari e il fattore beta. (1) Quindi, se il mercato riflette accuratamente i fondamentali di bilancio, cioè le variabili strutturali che generano i risultati di profitto, a parità di altri fattori, ci si aspetta che il rischio aziendale sia una funzione crescente del rapporto riserva Tfr/capitalizzazione di mercato, (2) che esprime il peso relativo al valore di mercato dell’azienda del fondo accantonato a garanzia dei futuri pagamenti del Tfr. (3)
In un recente studio, abbiamo raccolto i bilanci 2001, 2002 e 2003 di oltre novanta aziende italiane (74 per cento del Mibtel) e di più di trenta delle maggiori aziende austriache, con l’obiettivo di sottoporre a verifica empirica la nostra ipotesi. (4) Volatilità storiche, capitalizzazioni di mercato e fattori beta sono stati invece ottenuti tramite Bloomberg. Nel 2003 la mediana del rapporto riserva Tfr/capitalizzazione di mercato si è attestata intorno al 4 per cento, ma le differenze tra azienda e azienda sono piuttosto marcate. In alcune imprese a elevata intensità di lavoro (tra cui alcuni nomi familiari), il valore del rapporto sale infatti fino a oltre il 20 per cento. Il grafico consente di visualizzare la relazione empirica tra fattore beta e rapporto riserva Tfr/capitalizzazione di mercato attraverso l’uso di una tecnica econometrica comunemente utilizzata nell’analisi applicata a questo tipo di dati. (5) Il grafico sembra indicare una relazione positiva tra fattore beta e peso del Tfr, per lo meno al di sopra di una certa soglia (per valori bassi del rapporto riserva Tfr/capitalizzazione di mercato la relazione non è più osservabile). Nello studio sopra citato viene anche mostrato come questa relazione sia sufficientemente robusta e non un semplice artificio dei dati dovuto alla correlazione tra peso relativo della riserva Tfr e peso relativo di altre forme di finanziamento. Tuttavia, la nostra analisi non raggiunge una conclusione definitiva sulla relazione tra Tfr e rischio aziendale in quanto il rapporto riserva Tfr/capitalizzazione di mercato non sembra invece legato in alcun modo alla volatilità del titolo azionario.
In conclusione, il dibattito sulla compensazione alle aziende per la perdita del Tfr dovrebbe tenere in considerazione la riduzione del rischio di impresa dato dalla progressiva esternalizzazione del Tfr, che in un mercato efficiente dovrebbe portare a una riduzione del costo di altre fonti di capitale. Tra l’altro, l’implementazione dei principi contabili Ias da applicarsi entro il 2005, che richiedono una metodologia di calcolo più rigorosa della riserva Tfr, renderanno probabilmente ancora più esplicita la natura di debito del Tfr, oltre ad alterarne, con tutta probabilità, le dimensioni per molte aziende.

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(1) Il fattore beta è una misura di rischio relativa e misura la volatilità del prezzo di un titolo (o di un portafoglio di titoli) rispetto alla       volatilità dell’’intero mercato. Un valore elevato del fattore beta indica che quel titolo è più rischioso del mercato.

(2) Oppure di un indicatore simile che rifletta il peso del Tfr nello stato patrimoniale o nel conto economico

(3) Si tratta quindi di un indicatore del tutto simile al livello di indebitamento tradizionale, ma al posto del debito aziendale si considera qui il debito Tfr

(4) “Severance Pay and Corporate Finance: Empirical Evidence from a Panel of Austrian and Italian Firms”, Watson Wyatt Technical Paper, gennaio 2005 (disponibile gratuitamente previa richiesta a mirko.cardinale@eu.watsonwyatt.com). L’’articolo sarà anche pubblicato nel volume “Improving Severance Pay: An International Perspective” edito dalla World Bank

(5) Si tratta di una tecnica di regressione non lineare (lowess smoother). I dati sono riferiti alle aziende italiane e ai bilanci annuali 2002 e 2003

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53 ragioni per non aspettare il 53

  1. Walter Bertuccelli

    E’ incontrovertibile dai dati presentati che esista una relazione positiva tra fattore beta (misura del rischio d’ impresa) e peso realtivo della riserva TFR. Non è tuttavia consequenziale concludere che la progressiva esternalizzazione del TFR comporti una riduzione del rischio aziendale, in quanto le imprese dovranno sostituire la riserva Tfr nei loro bilanci con altre fonti di finanziamento reperibili sul mercato dei capitali e a condizioni non necessariamente migliori di quelle relative al TFR. Anzi.

    • La redazione

      L’esternalizzazione del TFR porterebbe ad una riduzione del rischio a parita’ di altri fattori (mantenendo altre fonti di finanziamento costanti). Non dimentichiamo che il TFR e’ un finanziamento obbligatorio che le aziende non necessariamente devono rimpiazzare con finanziamenti alternativi. In altre parole, il costo del capitale per finanziamenti diversi dal TFR risulterebbe piu’ basso dopo l’esternalizzazione rispetto a prima. Infine non bisogna dimenticare che il costo del TFR non e’ soltanto dato dal tasso di interesse accreditato ai lavoratori ma in un’ottica IAS dipende anche dall’incertezza sull’entita’ e il timing dei futuri pagamenti (a differenza di un normale prestito obbligazionario). Quindi l'”economicita’” del TFR come fonte di finanziamento potrebbe essere soltanto un mito.

      Grazie,
      Mirko Cardinale

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