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Affidamento congiunto: solo un segnale?

La proposta di legge sull’affidamento condiviso dei figli in caso di separazione ha una chiara portata “culturale” in un paese come l’Italia, dove le responsabilità dei coniugi sono distribuite in misura ineguale e in forme spesso inefficienti, i padri affidatari sono pochi, mentre sono tanti quelli che non corrispondono l’assegno o lo fanno saltuariamente. Ma l’affidamento congiunto non può essere semplicemente imposto per legge. Meglio sarebbe stato adottare normative più pragmatiche ed eque al tempo stesso, come la legislazione sull’affidamento olandese o quella tedesca.

La proposta di legge sull’affidamento condiviso verrà discussa alla Camera il prossimo 10 marzo. In caso di separazione, divorzio o rottura del rapporto nella coppia di fatto, i figli sarebbero affidati a entrambi i genitori e non a uno solo di essi, generalmente la madre, come avviene di regola oggi. Muovendo dal principio della “bigenitorialità”, si intende riconoscere ai padri un ruolo di paritaria cooperazione nella crescita, cura ed educazione della prole. E conferire, pertanto, alla famiglia e ai rapporti intra-familiari un’immagine, in astratto, più moderna e civile.


Cosa prevedono le nuove regole


La proposta di legge modifica l’articolo 155 del codice civile e prevede, in caso di separazione, l’affidamento “condiviso” del minore, senza possibilità di deroga, neppure su accordo delle parti. Unica eccezione perché il giudice possa disporre l’affidamento esclusivo, sarebbe rappresentata dall’accertamento di una condotta che rechi o abbia recato pregiudizio al figlio. La potestà verrebbe esercitata dai genitori congiuntamente per le questioni di maggior rilievo. Mentre per l’ordinaria amministrazione, il giudice avrebbe la facoltà di individuare e assegnare a ciascun genitore differenti, specifiche competenze, fatta salva la possibilità di accordo tra le parti.
L’assegno di mantenimento assumerebbe, a tal punto, un’importanza secondaria. Entrambi i coniugi dovrebbero contribuire direttamente, per capitoli di spesa e in base al proprio reddito, alle esigenze dei figli. Se i redditi fossero particolarmente sperequati, il genitore “svantaggiato” potrebbe usufruire di un eventuale conguaglio, fissato dal giudice. Solo nel caso di inadempimento da parte di un genitore, l’autorità giudiziaria potrebbe disporre il passaggio al regime della contribuzione indiretta, mediante attribuzione di una somma da versare all’altro. I criteri per l’assegnazione della casa familiare dovrebbero privilegiare la riduzione al minimo dei disagi per la prole. Si è giunti, addirittura, a ipotizzare la possibilità di far alternare il padre e la madre nell’abitazione, permanentemente occupata dai figli, previsione che da un lato non puo’ che inasprire i conflitti costringendo persone che vogliono essere separate a condividere gli stessi spazi, dall’altro limita gravemente la possibilita’ di crearsi una nuova famiglia. I genitori, inoltre, dovrebbero impegnarsi, salvo gravi e comprovati motivi, a mantenere abitazioni tra loro facilmente raggiungibili. Il giudice dovrebbe indicare loro con quali modalità devono occuparsi dei figli e concordare, se possibile, un “progetto educativo”, ovvero decidere sulla base delle proposte formulate da ciascun genitore.
Su padre e madre graverebbe, infine, il dovere di accordarsi nell’interesse dei minori, di superare ogni eventuale conflittualità, ricorrendo a strutture specializzate di mediazione familiare nel caso in cui il conflitto ostacoli il raggiungimento dell’accordo.

Un segnale importante…

La proposta di legge ha una chiara portata “culturale” in un paese come l’Italia che è per molti aspetti “socialmente arretrato” rispetto ad altre nazioni europee. Nelle famiglie italiane le responsabilità dei coniugi e dei figli sono distribuite in misura ineguale e in forme spesso inefficienti. Recenti dati comparati mostrano che in Italia c’è la più bassa percentuale di padri che aiutano in casa e contribuiscono alla cura dei figli, (1)  un numero quasi inesistente di padri che prendono il congedo parentale, e la più alta percentuale di figli maschi adulti che vivono ancora in famiglia. (2)
Nelle famiglie separate o divorziate i padri “affidatari” dei figli sono pochi, mentre sono tanti quelli che non corrispondono l’assegno o lo fanno saltuariamente, così come sono tanti i padri che non vedono più i loro figli dopo alcuni anni dal divorzio. (3)
La scarsa adempienza dei padri ai loro obblighi e’ stata interpretata in vari studi di sociologi e economisti come il risultato della frustrazione di chi sente di non essere in grado di influire sulle decisioni che riguardano la vita dei figli. I figli restano un “bene pubblico” dei genitori anche dopo il divorzio, ma i costi di comunicazione e transazione nelle famiglie che non convivono più rendono difficile il controllo sulla distribuzione delle risorse. Il padre-genitore non affidatario che corrisponde l’assegno di mantenimento – non può controllare se la madre-genitore affidatario spende quel denaro per sé o per i figli, specialmente quando puo’ vedere i figli di rado e con poca flessibilita’. (4)
In parte puo’ essere spiegato dal senso di ingiustizia che deriva dalla mancanza di chiare linee di condotta nella decisione dei giudici sulla determinazione dell’assegno. Le legislazione che determina l’assegno di mantenimento non è il risultato di calcoli dei costi dei figli indicizzati al costo della vita e alle necessità delle diverse fasi del ciclo di vita, come in Germania o in Svezia, ma varia moltissimo da caso a caso. 
In Italia inoltre quando il genitore non affidatario è inadempiente, il compito spetta spesso ad un altro familiare, ancora una volta facendo affidamento sulla famiglia allargata. Nei paesi del Nord Europa il contributo viene “anticipato” dallo Stato perché spetta ai figli per legge, sollevando i genitori affidatari dagli stress e dai costi di udienze e battaglie. (5)


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…ma con molti limiti


Tuttavia sembra difficilmente raggiungibile lo stesso obiettivo primario della proposta: ridurre la conflittualità nella coppia e dare ai figli una presenza più equilibrata di entrambi i genitori. Ribaltando le premesse della legislazione attuale, infatti, si sostiene che l’affidamento cosiddetto “esclusivo” non è il mezzo migliore per circoscrivere i danni che derivano ai figli dal conflitto tra i genitori. Anzi, si aggiunge, è proprio questa la reale fonte della conflittualità. L’affidamento “condiviso” viene pertanto trasformato in regola. (6)
Il concetto di condivisione stride però con quello di “coazione” perche si basa sul coordinamento deegli ex coniugi. È difficile immaginare che due persone che si separano in maniera non consensuale possano “condividere” qualcosa e che, se non desiderano farlo, lo facciano bene solo perché imposto dalla legge.
I coniugi che si separano lo fanno perche’ hanno come obiettivo principale quello di non vedersi e di non essere costretti a gestire cose in comune. Quando si guardano i dati di altri paesi come gli Usa, si vede come nelle famiglie con affido congiunto i padri spendano di più per i figli e li vedono più spesso. Ma accade perché l’affido congiunto è il risultato di una scelta di genitori che sono gia’ in partenza meno conflittuali. (7).
Ogni decisione in merito alla sorte di un minore dovrebbe essere oggetto di ponderata valutazione da parte del giudice e non discendere da un’aprioristica imposizione normativa, derogabile unicamente qualora si accerti una condotta pregiudizievole al figlio tenuta da uno dei genitori. Appare più equa la scelta di Germania e in Olanda di individuare nell’affidamento congiunto una prassi che può incontrare eccezioni laddove venga provata la possibilità di una soluzione che, per quel caso specifico, si presenta migliore.


La mediazione familiare


Degno di nota è il riferimento che la proposta di legge fa ai centri di mediazione familiare. Il loro potenziamento è auspicabile, ma in Italia manca la cultura della mediazione. Le attuali strutture non sono adeguate e il personale è spesso impreparato. All’interno di una coppia in crisi, “mediare” non significa semplicemente cercare una “via di mezzo” che non scontenti troppo le parti coinvolte, ma vuol dire aiutarle, con una specifica preparazione, ad affrontare un percorso molto complesso di riorganizzazione delle relazioni familiari.
In sintesi, la soluzione indicata nella proposta di legge appare giusta e affascinante nella terminologia usata (affidamento “condiviso”). Creare la cultura dell’affido condiviso, nelle famiglie divorziate come in quelle intatte, è importante per costruire maggiore equilibrio nelle responsabilità dei genitori verso i figli. Tuttavia, questo obiettivo non si può raggiungere semplificando una realtà invece assai complessa, senza tenere conto delle esperienze ormai in atto da anni in altri paesi, né riconoscere gli aspetti conflittuali che derivano dall’imposizione di condivisione di spazi, oggetti e ricordi, fino a limitare la libertà individuale delle parti.

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(1) Haris Symeonidou “The Rationale of Motherhood Choices” www.ulb.ac.soco.mocho.be


(2) Dati Eurostat 2000, e Separazioni e divorzi in Italia. QD 2, SIS 1998, Roma


(3) La ricerca di Marzio Barbagli e Chiara Saraceno, Separarsi in Italia (il Mulino, 1998), riporta che dopo due anni dalla fine del matrimonio, il 14 per cento dei padri non paga più l’assegno dovuto e il 15 per cento lo paga solo irregolarmente


(4) Del Boca, D. 2003 “Mothers, fathers and children after divorce” Journal of Population Economics 14,8.


(5) Janti E Danziger S. 1994 “Child Poverty in Sweden and the US”, Industrial Labor Relations Review 48


(6) Nella legislazione attuale, le ipotesi di affidamento congiunto o alternato, introdotte soltanto dall’articolo 6 della legge 6 marzo 1987 n. 74, in sede di riforma alla legge 1° dicembre 1970 n. 898 che disciplina il divorzio, sono state sempre percepite alla stregua di un’eccezione.


(7) Del Boca, D. e Ribero, R., 1999 “Transfers in non intact households”, Structural Change and Economic Dynamics 1998 9-4

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  1. anna

    Un papa’ con affido condiviso puo’ obbligare il coniuge solo previo servizio telefonico perche’ le sue visite sono sempre piu’ rare, e pretendere di avere diritto di decisioni giornaliere.

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