Il bilancio dell’Unione europea non riflette più le priorità e i compiti da affrontare. Gli aiuti all’agricoltura impegnano ancora il 40 per cento delle risorse, mentre appaiono drammaticamente insufficienti le spese per la ricerca, la difesa e la sicurezza interna ed esterna. Rescindere i legami diretti tra i bilanci nazionali e il bilancio dell’Unione, rendere il costo dell’Unione immediatamente visibile ai cittadini e rivedere le procedure decisionali implica una revisione del Trattato costituzionale. Ma dal Parlamento europeo potrebbe arrivare subito un segnale di cambiamento.

Il bilancio dell’Unione europea non riflette più le priorità e i compiti che essa deve affrontare nel ventunesimo secolo. Gli aiuti all’agricoltura, un settore in storico declino, impegnano ancora il 40 per cento delle spese; appaiono drammaticamente insufficienti le spese per la ricerca e i nuovi compiti dell’Unione per la difesa e la sicurezza interna ed esterna. Le entrate di bilancio derivano per la stragrande maggioranza da contributi dai bilanci nazionali, che i governi tendono a confrontare con le erogazioni a favore dei propri cittadini, vedendo principalmente nei saldi netti la misura dei benefici e dei costi dell’Unione.
Le procedure decisionali tendono a consolidare gli equilibri esistenti, per il requisito dell’unanimità nelle decisioni del Consiglio e per il ruolo secondario del Parlamento europeo e della Commissione. I cittadini, dal canto loro, sono ben consci dei vantaggi derivanti da erogazioni dirette a loro favore, mentre hanno una percezione ridotta degli effetti d’insieme dell’azione comunitaria.

Il negoziato sulle nuove prospettive di bilancio è partito male

Il negoziato sulle nuove prospettive finanziarie 2007-2013 è già partito con il piede sbagliato. Nel dicembre del 2002, i francesi e i tedeschi hanno imposto agli altri Stati membri la decisione di lasciare invariate in valore assoluto le spese agricole almeno fino al 2013. Con tali premesse, un compromesso soddisfacente sull’insieme del bilancio è molto più difficile.
La Commissione propone di accrescere le spese di competenza fino all’1,24 per cento del reddito nazionale lordo dell’Unione; ma, se non si riducono le spese agricole, i saldi netti dei maggiori contribuenti peggiorerebbero in misura insostenibile, senza benefici per le politiche comuni. D’altro canto, un numero crescente di Stati membri vuol contenere le spese entro il limite dell’1 per cento del reddito dell’Unione; in tal caso, l’onere dell’aggiustamento ricadrebbe interamente sui fondi strutturali.

Quando intervenire

Il principio generale nella selezione delle spese dovrebbe essere quello di intervenire attraverso il bilancio comunitario solo per fornire al livello dell’Unione beni pubblici europei, cioè azioni che promuovono efficacemente l’interesse comune dei cittadini e degli Stati. In quest’ottica, la politica agricola comune deve essere abbandonata. I sostegni ai prezzi e i restanti sussidi introducono enormi distorsioni nelle economie dell’Unione e nel commercio mondiale, colpendo in maniera odiosa i paesi più poveri; i pagamenti diretti agli agricoltori possono ricadere sui bilanci nazionali, trattandosi di interventi redistributivi a natura spiccatamente locale. Risorse significative dovranno invece continuare ad essere destinate alla riduzione dei divari di reddito all’interno dell’Unione; ma il sostegno dovrà essere limitato nel tempo e basarsi su criteri di eleggibilità obiettivi e trasparenti, basati sull’arretratezza economica e sociale, secondo la strada già indicata dall’Agenda 2000.
Dovrebbero inoltre aumentare significativamente – fino a un quarto del totale di bilancio – le spese per la ricerca scientifica, fattore centrale per la crescita. Tuttavia, maggiori stanziamenti da soli non bastano. Occorre, da un lato, abbandonare la gestione diretta dei fondi da parte delle burocrazie comunitarie, troppo esposta alla spartizione politica dei fondi; anche il Centro comune di ricerca dovrebbe essere smantellato. Dall’altro lato, occorre introdurre un sistema europeo di assegnazione competitiva dei fondi, estendendone l’applicazione anche ai fondi nazionali. La gestione del sistema potrebbe essere attribuita a un’apposita Agenzia europea, sul disegno della National Science Foundation statunitense, separata dalla Commissione e gestita dalla comunità scientifica in base a rigorosi criteri di eccellenza. Infine, risorse significative – nell’ordine del 15 per cento delle spese totali – dovrebbero essere assegnate ai compiti della politica di sicurezza interna ed esterna, come chiedono fortemente i cittadini europei in tutte le indagini di opinione.

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Una nuova tassa europea

Grazie all’eliminazione della spesa agricola, tali obiettivi sono realizzabili pur mantenendo le risorse dell’Unione entro il limite dell’1 per cento del reddito aggregato. Bisogna però modificare il sistema di finanziamento dell’Unione, in modo da rescindere ogni legame diretto tra i bilanci nazionali e il bilancio dell’Unione e da rendere immediatamente visibile per i cittadini europei il costo dell’Unione. A tal fine, si dovrebbe dedicare all’Unione una “addizionale d’imposta europea“; equità ed efficienza richiedono che tale addizionale sia applicata su una base imponibile larga, armonizzata tra gli Stati membri e con aliquota complessiva moderata.
In base a tali criteri, la sola possibilità è costituita da un’addizionale sull’Iva; un’aliquota del 2 percento sarebbe sufficiente a coprire il fabbisogno. In tutta l’Unione, le ricevute per gli acquisti dovrebbero mostrare separatamente la quota dell’Iva destinata al bilancio europeo; i proventi dovrebbero essere trasferiti automaticamente e in modo continuo alle casse dell’Unione dagli uffici decentrati delle amministrazioni fiscali nazionali, senza transitare per i bilanci pubblici nazionali.

Servono nuove procedure decisionali

Infine, servono nuove procedure decisionali, tali da assicurare il prevalere degli interessi comuni europei su quelli strettamente nazionali e settoriali. A tal fine, occorre applicare il metodo comunitario – co-decisione del Consiglio e del Parlamento a maggioranza qualificata, previa formale proposta della Commissione – a tutte le spese dell’Unione, sia per le prospettive finanziarie pluriennali sia per il bilancio annuale. Invece, la decisione sul tetto delle risorse dovrebbe essere lasciata al Consiglio e agli Stati membri. Inoltre, il periodo di riferimento delle decisioni di bilancio dovrebbe essere sincronizzato con quello di durata in carica del Parlamento europeo: in tal modo il bilancio dell’Unione diverrebbe un tema centrale nelle campagne elettorali, accrescendo l’interesse per i temi europei e la partecipazione al voto.

Il Parlamento europeo può dare fin d’ora un segno di cambiamento

Tali modifiche richiedono, naturalmente, di cambiare di nuovo il Trattato costituzionale, cosa che non è possibile prima del 2009. Tuttavia, il Parlamento europeo potrebbe fin da ora inviare un chiaro segnale politico al Consiglio, indicando di essere pronto ad accettare un tetto delle risorse europee dell’1 per cento del reddito aggregato, ma che in cambio vuole poter decidere senza vincoli la composizione della spesa. In pratica, abbandonando il disgraziato compromesso sul mantenimento della spesa agricola. In tal modo il Parlamento europeo guadagnerebbe credibilità verso gli Stati, mostrando di voler contenere la spesa totale, e verso i cittadini, indicando l’intenzione di spendere solo per beni pubblici europei. 

Questo articolo presenta una sintesi dello studio “A Better Budget for the European Union”, CEPS Policy Brief No. 64/February 2005 //sito del CEPS.

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