L’attuale meccanismo decisionale sulle procedure di deficit eccessivo contiene un conflitto di interessi che va a vantaggio dei paesi più potenti e che è destinato ad accentuarsi con questa riforma, che contiene criteri ampi e flessibili. La disparità di trattamento, infatti, si aggrava quando la soglia di maggioranza si abbassa e i voti sono distribuiti in modo meno uniforme. Probabilmente lo scenario sarebbe diverso se nelle decisioni i paesi avessero lo stesso peso, o se la Commissione avesse più voce. I rischi di ambiguità nella nuova versione del Patto sarebbero minori.

Si può essere d’accordo o meno sul fatto che il Patto di stabilità e crescita andasse riformato e che la struttura prima del Consiglio europeo del 22 e 23 marzo non consentisse la massima crescita dato un certo grado di stabilità. Su questo il dibattito è ricchissimo.  Un problema piuttosto trascurato riguarda invece il grado di precisione dei criteri. L’attuale meccanismo decisionale sulle procedure di deficit eccessivo contiene un evidente conflitto di interessi che va a vantaggio dei paesi più potenti e che è destinato ad aggravarsi con la riforma che contiene criteri ampi e flessibili.

Viene in mente un esempio… automobilistico

Il problema deriva dal fatto che, se viene infranta la regola, a decidere sulla applicazione della sanzione non è la Commissione europea, ma i paesi, a maggioranza qualificata.
È come dire che se un autovelox rileva la velocità di alcune automobili, poi sono gli stessi automobilisti che votano a maggioranza su quale sia il limite di velocità e, di conseguenza, su quali fra loro vadano multati. È evidente che al momento della votazione gli automobilisti che avranno tenuto una velocità di 140 all’ora, voteranno per un limite di 150, e così via.  Supponiamo che esista un limite di velocità “socialmente ottimale”, e che sia di 130 all’ora. Facciamo inoltre il caso che l’automobilista tedesco di nome Gerhard sappia di poter influenzare pesantemente la votazione finale, mentre un altro automobilista, Jan Pieter (magari olandese) non ha molti voti per condizionare la decisione. A Gerhard converrà meno fissare in anticipo il limite a 130. Infatti, qualora lui avesse la sfortuna di essere fotografato mentre sfreccia a una velocità superiore, potrebbe cercare di convincere gli altri che il limite deve essere ancora più alto, evitando così la multa. Le chance che ha di creare una coalizione a lui favorevole sono alte, visto che si vota e lui di voti ne ha molti. Viceversa, Jan non ha le stesse chance e quindi preferirebbe decidere tutto adesso, per evitare trattamenti discriminanti rispetto ai più potenti.
Alla fine, si decide di non decidere, oppure di decidere lasciando margini di ambiguità troppo alti.
Tito Livio riporta che nella Roma repubblicana erano i plebei a premere per leggi scritte, mentre i patrizi che avevano sul senato una grande influenza non ne volevano sapere. Quando le Dodici Tavole vennero scritte, il risultato fu di grande ambiguità.

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Chi chiede la flessibilità

La storiella del limite di velocità cattura da vicino alcuni aspetti dell’attuale dibattito sul Patto di stabilità. Sono stati i paesi più grandi a premere per una revisione nel senso di una maggiore flessibilità. Non a caso questo si è tradotto nell’introduzione di una grande quantità di termini ambigui come “crescita a medio termine”, “eventi inattesi”, “importanti riforme strutturali”, eccetera. A leggere il testo della riforma si rimane sorpresi da quanto vaghi siano i concetti di riferimento e da quanto discrezionali potranno essere i criteri sulla base dei quali i paesi potranno decidere se comminare sanzioni o meno a chi di loro avrà tenuto condotte non virtuose.
La spinta è venuta da Germania, Francia e Italia, che sono attualmente in difficoltà. Ma non hanno fatto grande opposizione Gran Bretagna e Spagna. Le resistenze maggiori sono venute piuttosto da paesi poco potenti, come Austria, Olanda o Finlandia. In uno studio teorico che ho condotto con Paul Schure della University of Victoria si dimostra che la disparità di trattamento si aggrava quando la soglia di maggioranza si abbassa e i voti sono distribuiti in modo meno uniforme. È esattamente quello che accade con la Costituzione europea, che aumenta il divario di potere fra paesi grandi e piccoli e porta una delle soglie dal 74 per cento al 65 per cento. In sintesi, se i criteri non sono stabiliti con precisione, la probabilità che la Germania, per esempio, riceva un’interpretazione favorevole è enormemente più alta della probabilità che a riceverla sia Malta. Questo, oltre a essere ingiusto in sé, è inefficiente nella misura in cui costituisce un incentivo oggi a scrivere le regole in modo non ottimale.
Probabilmente lo scenario sarebbe diverso se nella decisione sull’applicazione della procedura di deficit eccessivo, i paesi dell’Unione avessero lo stesso peso. In questo caso i paesi avrebbero beneficiato in modo uniforme della flessibilità della riforma. E forse i rischi di ambiguità sarebbero minori. Ancora meglio sarebbe stato prevedere che a decidere sulla procedura (e non solo a proporla) fosse un’autorità diversa dagli Stati. Il ruolo della Commissione nel Patto andava potenziato
. In mancanza, c’è da aspettarsi che con questo livello di flessibilità ci sia un rilassamento generale dei criteri e che i paesi grandi non incorrano mai in procedure di infrazione. Questo non fa bene alla stabilità.

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