La rete stradale italiana non appare particolarmente carente. Mentre quella ferroviaria nel suo complesso non può definirsi congestionata. Ma la situazione è assai differenziata fra le diverse zone del paese e i problemi di congestione vanno risolti caso per caso. In alcune situazioni è necessaria la grande opera, in altre è molto più utile il piccolo intervento. Servirebbe dunque una più diffusa cultura della valutazione. Quanto al project financing all’italiana, incentiva un aumento ingiustificato dei costi, con pesanti riflessi sulla finanza pubblica.

I dati Eurostat sulle infrastrutture di trasporto ci dicono che la densità della rete stradale italiana, misurata dal rapporto tra chilometri di strade e 100 chilometri quadrati di territorio, è superiore alla media dei paesi dell’Unione Europea a 15 e inferiore solo a quella di Francia e Inghilterra. Nel rapporto tra chilometri di strade e mille abitanti, invece, l’Italia fa registrare un indice inferiore a quello della media europea, di Francia, Spagna e Austria, ma superiore a quello di Germania e Inghilterra. Se però si guarda soltanto alle strade “superiori”, cioè autostrade e strade nazionali, scopriamo che il nostro paese ha una densità più elevata della media europea, anche rispetto alla popolazione.

Il mito delle carenze infrastrutturali

Le carenze sembrano dunque riguardare soprattutto le strade regionali. Ma l’Italia ha un’estensione enorme di strade provinciali e comunali, spesso di ottimo livello, per il 50 per cento destinate al traffico extra-urbano. Guarda caso, la stragrande maggioranza del traffico è costituito da percorrenze inferiori ai 50 chilometri, per le quali strade provinciali e comunali sono particolarmente adatte. Non esistono dati affidabili sulla congestione stradale, ma è ragionevole pensare che sia assai differenziata nelle diverse aree del paese e che, perciò, qualsiasi discorso “aggregato” sia fuorviante. Nel caso della rete ferroviaria, i due indici di densità sono rispettivamente uguale (quello per territorio) e inferiore (quello per popolazione) alla media europea ed entrambi inferiori a quelli registrati nei grandi paesi (a esclusione della Spagna). D’altra parte, le ferrovie tedesche portano 1,7 volte i passeggeri-km trasportati dalle ferrovie italiane, quelle francesi 1,6 volte. Anche il traffico merci risulta più intenso di quello registrato sulla rete italiana che, dunque, nel complesso non può definirsi congestionata. Assai più preoccupante è però la situazione delle reti ferroviarie regionali, soprattutto quando in una Regione siano presenti una o più grandi aree metropolitane.
Quanto agli aeroporti, in Italia se ne contano quarantaquattro (per uso civile), di cui solo diciassette hanno un traffico superiore al milione di passeggeri l’anno. Nel complesso (nel 2000) in Italia il traffico aereo interno e diretto ad altri paesi europei era di soli 24 miliardi di passeggeri-km l’anno, contro 50 dell’Inghilterra, 39 della Germania, 59 della Spagna e 29 della Francia. Quindi le potenzialità di crescita sono ancora molto ampie e, se si esprimeranno, la carenza della nostra capacità aeroportuale emergerà.

Le grandi opere sono sempre le più utili?

I problemi di congestione vanno risolti caso per caso. In alcune situazioni è necessaria la grande opera, in altre è molto più utile il piccolo intervento. Soltanto un esame preciso dei flussi di traffico presenti e di accurate previsioni su quelli futuri consente di impostare un’attendibile analisi dei costi e dei benefici dei vari progetti. (1)
A ciò va aggiunto che i tempi di realizzazione delle grandi opere sono, quasi sempre, molto lunghi: le soluzioni finiscono per essere disponibili dopo troppo tempo, quando i problemi potrebbero essere diventati altri. Indipendentemente dal rapporto tra costi e benefici nel lungo periodo – che pure dovrebbe contare qualcosa in un mondo di risorse scarse – è evidente il pregio delle “piccole opere”, capaci di migliorare presto la qualità dei servizi, per le attività economiche che dipendono maggiormente dalle infrastrutture (come la logistica). Dunque, la Legge obiettivo, che si concentra quasi esclusivamente sulle grandi opere, non renderà un buon servizio al paese. 
Mentre la “Legge obiettivo per le città” – inserita dal Governo nel disegno di legge per la competitività (articolo 5) – non sembra destinata ad avere effetti apprezzabili, per la prevedibilmente scarsa dotazione di risorse finanziarie.

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Il debito che verrà

La storia delle opere pubbliche nel nostro paese, da circa quindici anni, è anche la storia della favola del project financing all’italiana. In Italia, purtroppo, il project financing ha finito per identificarsi con il “modello Tav“, un complesso sistema messo in piedi nel 1991 per realizzare “rapidamente” le linee per l’alta velocità ferroviaria. La “Legge obiettivo” lo ha interamente recepito per tutte le grandi opere, escluse quelle realizzate dai concessionari autostradali. Non è il caso di entrare qui nei dettagli del modello Tav e nella sua storia. (2) Vale solo la pena di ricordare che, come osservava l’Antitrust già nel 1996, attribuisce di fatto tutti i rischi allo Stato (direttamente o tramite Fs spa) e tutti i profitti ai cosiddetti general contractor (e alle banche creditrici). Un simile meccanismo è, di per sé, tale da far emergere rilevanti esigenze finanziarie pubbliche negli anni a venire. Inoltre, i contratti con i general contractor non creano alcun incentivo alla riduzione dei costi. Anzi, ne creano di significativi al loro incremento ben al di sopra del tasso di inflazione. Il costo previsto nel Dpef 2003-2005 per le ventuno opere prioritarie della Legge obiettivo era di 77,5 miliardi di euro. Nel Dpef 2005-2008 era già salito a oltre 85 miliardi (+ 9,75 per cento). Il costo previsto nei contratti del 1991 per le tratte ad alta velocità era di 5,67 miliardi di euro. Nei contratti rinnovati nel 2003, per le stesse tratte, arrivava a 23,4 miliardi di euro, con un incremento del 410 per cento. Per gli interventi nei principali nodi ferroviari il costo previsto è aumentato del 325 per cento. E ci sono fondati motivi per pensare che, in realtà, le previsioni siano molto sottostimate, anche perché non sembrano tener conto degli interessi intercalari. (3)
Estrapolando queste tendenze, si può ragionevolmente prevedere l’effetto sul debito pubblico del modello Tav applicato ai più rilevanti progetti della Legge obiettivo.

Contro la strategia dell’inseguimento

Spesso l’opposizione accusa il Governo di essere incapace di realizzare le opere pubbliche approvate, lasciando intendere che, ove fosse messa dagli elettori nelle condizioni di governare, le realizzazioni sarebbero molto più rapide e numerose. Assai meno convinta sembra essere, l’opposizione, nella critica alla strategia delle grandi opere, mentre la stessa contrarietà alla Legge obiettivo è apparsa spesso più orientata a tutelare i poteri di veto delle Regioni e degli enti locali che non a svelarne i meccanismi di incentivazione perversa e il potenziale di devastazione dei conti pubblici.  Si sono sentite critiche perché gli stanziamenti per investimenti pubblici non sono aumentati o sono stati ridotti per l’anno corrente. Meno voci si sono levate per opporsi alle opere che si intendevano finanziare, la cui utilità non è mai stata correttamente valutata. Del resto, anche nell’attuale opposizione la cultura della valutazione stenta ancora a farsi strada, nonostante l’approvazione, nel 2000, di un Piano generale dei trasporti che rappresentava una significativa innovazione sotto questo profilo. E il centrosinistra, quando era maggioranza, impiegò oltre quattro anni per rendersi conto che il modello Tav era potenzialmente molto dannoso, arrivando troppo tardi alla cancellazione dei contratti per le opere non cantierate, disposta solo con la Legge finanziaria per il 2001 (e immediatamente annullata dal governo Berlusconi I).
Una riflessione seria sul tema delle infrastrutture è invece necessaria. Soprattutto, l’alleanza guidata da Prodi dovrebbe evitare la tentazione di promettere qualcosa in più e di più mirabolante di quanto annunciato dal Governo in carica. Agli elettori (e agli operatori) si dovrebbe dire chiaramente che le scarse risorse disponili saranno concentrate su poche opere essenziali: grandi o piccole, volte, però, ad affrontare la crisi delle grandi aree metropolitane e le esigenze della logistica. E da realizzare in tempi brevi con finanziamenti trasparenti, sotto responsabilità amministrative precise e inderogabili. Sui guasti del modello Tav si impone una onesta “operazione verità”, con la promessa di una nuova cancellazione dei contratti, per salvare la finanza pubblica.

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(1) È utile ricordare che gran parte delle previsioni sui flussi di traffico su nuove infrastrutture risultano inaccurate: quelle relative alle linee ferroviarie quasi sempre per eccesso, quelle sulle strade sia per eccesso che per difetto. Si veda “How (in)accurate are demand forecasts in public works projects? The case of transportation” di B. Flyvbjerg et al., in Journal of the American Planning Association, n. 2, 2005.

(2) Una lettura istruttiva a questo proposito è Le grandi opere del Cavaliere, di I. Cecconi, Roma, KOINè Nuove Edizioni.

(3) Nella Legge finanziaria del 2001 gli interessi intercalari pesavano per 170 milioni di euro, saliti 230 nel 2002 e a 350 nel 2003.

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