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Coppie di fronte alla legge

L’Italia, ormai quasi sola in Europa, non ha una legge che riconosca legalmente la convivenza al di fuori del matrimonio indipendentemente dal sesso, come chiede l’Unione europea. Sotto il profilo costituzionale non vi è alcun ostacolo alla promulgazione di una norma di questo tipo. Non si deve necessariamente giungere a una equiparazione assoluta tra famiglia legittima e famiglia di fatto. Sarebbe già sufficiente l’adozione della formula francese dei Pacs. Oltretutto, dove le convivenze sono riconosciute e tutelate, cresce anche la natalità.

I dati Istat mostrano una società in cui sempre meno famiglie sono formate da partner coniugati. In particolare, le coppie che hanno scelto la convivenza sono passate da 227mila nel 1993-1994 a 555mila nel 2003.

Matrimoni e unioni nella Costituzione

Mentre tra i paesi mediterranei, la Spagna sta diventando leader nel campo delle riforme sociali che riguardano la famiglia, l’Italia resta la sola, insieme alla Grecia, a non offrire alcun riconoscimento giuridico alle coppie di fatto etero o omosessuali. Ci troviamo di fronte a un vuoto normativo che non aderisce all’invito con cui il Parlamento europeo “sollecita gli Stati membri che non vi abbiano già provveduto ad adeguare le proprie legislazioni al fine di riconoscere legalmente la convivenza al di fuori del matrimonio indipendentemente dal sesso; rileva la necessità di compiere rapidi progressi nell’ambito del riconoscimento reciproco delle varie forme di convivenza legale a carattere non coniugale e dei matrimoni legali tra persone dello stesso sesso esistenti nell’Unione Europea”. (1)
L’articolo 29
della Costituzione, nel riconoscere i “diritti della famiglia come società fondata sul matrimonio”, non nega dignità a forme diverse di rapporti di coppia. Tuttavia, la Corte costituzionale individua nella famiglia cosiddetta legittima “una dignità superiore, in ragione dei caratteri di stabilità e di certezza e della corrispettività dei diritti e dei doveri che nascono soltanto dal matrimonio”. (2)
Alla famiglia di fatto, la Corte attribuisce la natura di formazione sociale di cui all’articolo 2 della Costituzione in quanto: “un consolidato rapporto, ancorché di fatto, non appare costituzionalmente irrilevante quando si abbia riguardo al rilievo offerto al riconoscimento delle formazioni sociali e alle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche”. (3) In ogni caso, posto che “la convivenza more uxorio rappresenta l’espressione di una scelta di libertà dalle regole che il legislatore ha sancito in dipendenza dal matrimonio”, “l’estensione automatica di queste regole alla famiglia di fatto potrebbe”, ad avviso della Corte, “costituire una violazione dei principi di libera determinazione delle parti”. (4)
La Corte costituzionale, quindi, ha sempre legittimato la scelta operata dal Parlamento di adottare soluzioni diversificate per la famiglia legittima, in quanto fondata sul matrimonio, e per la famiglia di fatto. Questo orientamento consente, comunque, di affermare che non vi è alcun ostacolo alla promulgazione di una legge che adegui il nostro paese alle richieste dell’Unione europea, già ascoltate dalla maggior parte degli Stati che la compongono. Non si deve necessariamente, o per lo meno non subito, giungere a una equiparazione assoluta, sotto il profilo degli effetti, dell’unione di fatto al matrimonio, neppure voluta dalle parti che scelgono questa forma di convivenza. Sarebbe già sufficiente, e auspicabile, l’adozione della formula francese dei Pacs, che dà un riconoscimento giuridico alle coppie etero e omosessuali.

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Sul modello dei Pacs francesi

Muove in questa direzione la proposta di legge presentata da Franco Grillini, sottoscritta da 161 parlamentari del centrosinistra, giunta sul tavolo della commissione Giustizia della Camera insieme con altre dodici proposte di schieramenti politici diversi.
Secondo la proposta, con la sottoscrizione del Pacs, i conviventi more uxorio si obbligano a collaborare nella vita di coppia e a contribuire economicamente in proporzione alle proprie sostanze e alla propria capacità lavorativa. Inoltre, essi possono godere dell’assistenza sanitaria e penitenziaria prevista per i coniugi, nonché subentrare nel contratto di locazione stipulato da uno dei due partner, sono tenuti all’obbligo degli alimenti, e rientrano tra i soggetti legittimati a chiedere l’interdizione o l’inabilitazione del compagno nei casi previsti dalla legge. I partner possono optare per il regime patrimoniale della separazione dei beni, ovvero per quello della comunione legale, godono dello stesso regime fiscale e previdenziale previsto per i coniugi – detrazioni, assegni, eccetera. Come il coniuge, entrano nella successione legittima. Vengono equiparati al coniuge nel caso in cui tale posizione sia titolo di preferenza nello svolgimento di pubblico concorso o per l’inserimento in graduatorie occupazionali.
Nel caso di scioglimento del Pacs, le parti possono rivolgersi al giudice per ottenere l’affidamento dei figli minori e la determinazione di un assegno quale contributo per il loro mantenimento, oltre all’assegnazione della casa.  Su quest’ultimo punto però non è chiaro se la posizione del legislatore sia mutata rispetto al presente a favore di un’effettiva parificazione. Già oggi, infatti, la giurisprudenza ha esteso alle coppie di fatto le regole vigenti per i coniugi in materia di affidamento dei figli, con un’unica differenza. Se per le coppie sposate è il giudice ordinario a pronunciare la separazione, a determinare l’assegnazione della casa e la misura del contributo al mantenimento per i figli, le coppie di fatto possono ottenere una decisione sui primi due punti da parte del Tribunale per i minorenni e devono, poi, rivolgersi al giudice ordinario per la determinazione dell’assegno. Una duplicazione di azioni sicuramente discriminante, sia per i costi – le procedure da seguire, infatti, sono due – sia per i tempi processuali.

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Gli effetti sulla fertilità

Nei paesi dove la proporzione delle unioni di fatto è aumentata di più, come per esempio in Svezia e Norvegia, anche la fertilità è cresciuta di più. È salito il peso dei figli nati fuori dal matrimonio in percentuale delle nascite. Dove le unioni di fatto sono riconosciute e sostanzialmente trattate alla pari delle famiglie coniugate, il declino dei matrimoni non implica dunque la diminuzione della fertilità (un fenomeno che invece interessa Italia o Grecia).
Si aggiunge così un importante elemento a sostegno dell’urgenza di far approvare una legge a protezione e difesa dello status giuridico dei partner e dei minori nati al di fuori del matrimonio.

(1) Vedi la risoluzione dell’Unione europea 16 marzo 2000 sul rispetto dei diritti umani.

(2) C. Cost., sent. 310/1989.

(3) C. Cost., sent. 237/1986 e 404/1988.

(4) C. Cost., sent. 352/2000.

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  1. Marco D'Egidio

    Gentili Professoresse,
    le unioni civili fra uomo e donna sono giustificate da un’istanza di maggiore libertà dai vincoli matrimoniali. E’ ovvio, altrimenti si passerebbe direttamente al matrimonio. Allo stesso tempo sono una richiesta di riconoscimento pubblico della convivenza. Il problema che si pone allora è reale e non necessariamente di carattere religioso (giacchè sono portato a credere che chi crede nel matrimonio religioso si sposi in chiesa comunque, perchè è un sacramento e non perchè è un semplice contratto). Il problema è come garantire maggiori diritti ai conviventi, senza chiedere tutti gli impegni e i doveri dei coniugi, e allo stesso modo senza incentivare le coppie al disimpegno e a non sposarsi (sempre tralasciando discorsi religiosi che non mi appartengono). Quali soluzioni si potrebbero pensare, nel concreto?

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