Uno studio dell’Insee riflette sul presunto problema delle delocalizzazioni industriali. Nonostante molti siano convinti che il fenomeno abbia ormai assunto dimensioni notevoli, si stima che nel periodo 1995-2001, in Francia i posti di lavoro delocalizzati siano stati in media a 13.500 l’anno. Una cifra tutto sommato esigua. E per meno della metà destinata ai paesi emergenti. In una logica di ristrutturazioni e joint-venture, non tocca le piccole aziende, ma coinvolge i grandi gruppi industriali e le medie imprese. A subirne le conseguenze sono i lavoratori non specializzati.

La delocalizzazione è, secondo la definizione di Patrick Aubert e Patrick Sillard, “la sostituzione di una produzione nazionale con una produzione straniera, liberamente decisa da un produttore che rinuncia a produrre nel suo paese per produrre o terziarizzare all’estero” (1).

I numeri del fenomeno

In Francia, nell’accesa campagna pre-referendum varie voci si sono levate per denunciare l’alto tasso di posti di lavoro perduti a causa del fenomeno delocalizzazione. Ma nel loro studio, i due autori evidenziano la mancanza di indagini empiriche esaurienti sul legame “delocalizzazione uguale perdita di posti di lavoro”. Mancano infatti per la Francia dati che inquadrino in modo diretto il fenomeno. Per questo motivo, la loro disamina si avvale di un sistema “indiretto: la delocalizzazione viene individuata attraverso le informazioni sui posti di lavoro dell’industria e sulle importazioni”. (2)
Si può dunque parlare di supposizione di delocalizzazione a patto che si verifichino due condizioni:
1) un’azienda riduce sensibilmente i suoi effettivi in un breve lasso di tempo e ciò comporta una forte riduzione del volume di lavoro o la chiusura dell’azienda;
2) nello stesso periodo l’azienda aumenta l’importazione da un determinato paese di beni dello stesso tipo di quelli prodotti precedentemente nell’azienda stessa.
Sulla base di questi calcoli il numero di posti di lavoro delocalizzati nel periodo compreso fra il 1995 e il 2001 ammonterebbe a circa 13.500 unità all’anno. Tenendo conto dei possibili errori di sovra e sottostima dovuti alla procedura di misura utilizzata, la banda di oscillazione dei posti di lavoro delocalizzati varierebbe da un minimo di 9mila a un massimo di 20mila all’anno. Calcolando che in un anno, nell’industria francese, si perdono circa 500mila posti di lavoro, le delocalizzazioni avrebbero colpito lo 0,35 per cento dei posti di lavoro all’anno, vale a dire un lavoratore dell’industria su trecento.

Perché e dove si delocalizza

In generale, la delocalizzazione è una risposta alle mutate condizioni competitive internazionali. Non delocalizzare può evitare una riduzione dell’occupazione nel brevissimo periodo, ma può portare alla chiusura dell’azienda nel medio periodo, in quanto divenuta incapace di reggere la pressione competitiva. Inoltre, la delocalizzazione può anche produrre effetti indiretti positivi: può, ad esempio, permettere aumenti di produttività tali da guadagnare all’azienda nuove fette di mercato, il che comporta alla lunga nuove assunzioni sul territorio nazionale. Infine, “posti di lavoro delocalizzati” non significa obbligatoriamente lavoratori licenziati: possono essere trasferiti o spostati in altri stabilimenti.
I dati presi in esame rivelano che il fenomeno della delocalizzazione investe, tra il 1995 e il 2001, principalmente i grandi gruppi industriali e le aziende di media grandezza mentre le piccole aziende non ne sono quasi interessate. Sono infatti le aziende che, di fronte ai problemi della globalizzazione e della concorrenza internazionale, tendono a chiudere i battenti.

Legenda: media annuale calcolata sul periodo 1995-2001. Il settore esaminato è quello dell’industria in generale, escluso il settore energetico.

 

La dimensione del gruppo è calcolata basandosi sugli effettivi salariati in Francia in tutti i settori, per anno di lavoro. Convenzionalmente si intende per “effettivi del gruppo” i dipendenti di un’azienda quando è indipendente. L’importanza dell’azienda viene misurata dall’ammontare dei suoi effettivi.
Contrariamente a quanto immagina l’opinione pubblica francese, il 53 per cento delle delocalizzazioni avviene nei paesi ad alto tasso di sviluppo, soprattutto quelli limitrofi: corrispondono infatti a una logica di ristrutturazione e di joint venture più che a una ricerca di minor costo di produzione. E tale fenomeno di “condensazione” avviene principalmente tra i grandi gruppi industriali che trattano automobili, farmaceutici, prodotti elettronici e prodotti ad alta tecnologia in genere, che richiedono ricerca e specializzazione.

Legenda: Nel periodo 1995-2001, sarebbero stati soppressi 6.370 posti di lavoro all’anno, nel contesto di un processo di delocalizzazione verso i paesi a bassi salari. Il 30 per cento di questi è stato delocalizzato verso la Cina. Seguono con l’8 per cento Brasile, Tunisia e Marocco. 7.175 sono invece coloro che sono stati delocalizzati verso i paesi industrializzati, soprattutto verso i paesi limitrofi alla Francia (16 per cento in Spagna, 15 per cento Italia, 14 per cento Germania) e verso gli Stati Uniti (13 per cento).

 

A delocalizzare verso i paesi emergenti è invece il 47 per cento delle aziende: sono principalmente imprese manifatturiere, produttrici di merci a basso valore aggiunto, come tessile-abbigliamento, lavorazione di pelle e cuoio, legno, tutte attività che richiedono generalmente mano d’opera poco specializzata, facilmente reperibile, a basso costo, nei paesi meno sviluppati (Cina, Brasile, Marocco, Tunisia, eccetera). Anche le industrie a forte specializzazione tecnologica delocalizzano verso questi paesi, ma solo per quanto riguarda la “confezione” dei prodotti; le attività di ricerca e sviluppo restano nei paesi occidentali.
Risulta pertanto evidente che è più toccata dalla delocalizzazione la mano d’opera non specializzata di qualsiasi settore, penalizzata dai bassi salari dei paesi in via di sviluppo che attirano le produzioni non qualificate.

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Delocalizzazioni

totali

Delocalizzazioni verso paesi industrializzati

(in percentuale)

Delocalizzazioni verso paesi in via di sviluppo

(in percentuale)

Struttura dell’occupazione :

all’interno di stabilimenti che chiudono

Operai non qualificati

Operai qualificati

Impiegati non qualificati

Impiegati qualificati

Professioni intermedie

Quadri

21

30

10

3

23

13

13

31

11

1

29

15

26

32

8

2

21

11

             Totale                                          100                                100                             100

negli stabilimenti con forti riduzioni di personale, ma che non chiudono.

Struttura dei posti di lavoro totali l’anno precedente alla riduzione del personale

Operai non qualificati

Operai qualificati

Impiegati non qualificati

Impiegati qualificati

Professioni intermedie

Quadri

23

30

8

3

21

14

11

29

8

1

34

17

28

29

8

2

24

9

           Totale                                          100                                100                             100

Configurazione dei posti di lavoro eliminati

Operai non qualificati

Operai qualificati

Impiegati non qualificati

Impiegati qualificati

Professioni intermedie

Quadri

25

28

7

4

22

13

15

31

6

2

35

12

34

29

7

1

24

6

                 Totale                                          100                                100                             100

Legenda: Le medie sono relative al periodo 1995-2001 e riguardano l’industria ad eccezione del settore energetico.  Per quanto riguarda l’analisi degli effettivi nelle aziende che hanno chiuso o hanno subito forti riduzioni di personale, è stata esaminata la situazione forza-lavoro delle aziende nell’anno precedente alla chiusura della stessa o alla soppressione di posti di lavoro.
Per quanto concerne l’analisi della riduzione di posti di lavoro, è stata esaminata basandosi su tutti i gruppi di salariati i cui effettivi diminuiscono nell’arco di tre anni: il totale dei posti di lavoro soppressi deriva dalla somma di tali riduzioni d’effettivi nelle varie aziende, mentre la cifra parziale indica la percentuale di ogni gruppo nel totale. È nulla per quelle categorie in cui il numero dei dipendenti aumenta o resta stabile nel periodo considerato.
Negli stabilimenti industriali in cui avviene un forte riduzione di posti di lavoro senza contemporanea chiusura dell’azienda stessa, gli operai non qualificati ammontano rispettivamente al 23 per cento di tutti i dipendenti e al 25 per cento dei posti di lavoro soppressi. Nelle aziende in cui vi è “supposizione di delocalizzazione” verso un paese industrializzato la mano d’opera non specializzata ammonta all’11 per cento dei dipendenti (e al 15 per cento dei posti di lavoro soppressi), mentre in quelle che si presume delocalizzino verso i paesi emergenti ammonta rispettivamente al 28 per cento e al 34 per cento .

(1) Patrick Aubert e Patrick Sillard, «Délocalisations et réduction d’éffectif dans l’industrie française», Institut national de la statistique ed des études économiques.

(2) Idem.

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