L’evidenza empirica dimostra che in fatto di risparmio previdenziale, gli agenti economici non ispirano le proprie scelte a razionalità e ottimizzazione. Tendono a considerare le opzioni in silenzio-assenso come quelle “consigliate”. Soffrono di limitazioni cognitive che li portano a preferire lo status quo. Ignorano gli elementi rilevanti, mentre prendono in considerazione quelli irrilevanti. L’articolazione della gamma di alternative proposte al lavoratore e, soprattutto, la scelta che prevale in caso di silenzio, sono quindi tutt’altro che neutrali.

La legge delega sulla previdenza integrativa prevede che il Governo presenti entro ottobre un decreto attuativo per stabilire, tra l’altro, i criteri per destinazione del trattamento di fine rapporto nel caso in cui il lavoratore non esprima una propria scelta tra le diverse opzioni disponibili (cosiddetto “silenzio-assenso“). La scelta ha peraltro importanti implicazioni non solo sul profilo rischio/rendimento offerto al lavoratore, ma anche sui futuri meccanismi di allocazione delle risorse all’interno dell’economia – permanenza del Tfr presso l’azienda, trasferimento a fondi pensione negoziali, a fondi pensione aperti o a piani previdenziali di tipo assicurativo.

Scelte teoriche e scelte reali

Dal punto di vista dell’economia tradizionale, la disputa di questi mesi sulla questione del “silenzio-assenso” appare semplicemente oziosa. Infatti, in questa prospettiva ciò che è rilevante è la varietà delle opzioni disponibili, la quantità di informazione fornita al lavoratore e il costo del passaggio da un’opzione all’altra: il lavoratore razionale (l’homo oeconomicus tradizionale) ottimizzerà sempre la propria scelta tenendo conto delle proprie particolari propensioni.
L’evidenza empirica suggerisce tuttavia che anche sulle scelte in materia di risparmio previdenziale il paradigma tradizionale non fornisce una buona rappresentazione della realtà. Recenti studi condotti negli Stati Uniti mostrano che, in caso di iscrizione automatica dei nuovi assunti ai piani previdenziali “401K”, non solo si ha un aumento permanente nella partecipazione a tali schemi, ma si ha anche una “inerzia” che porta i lavoratori (nell’80 per cento circa dei casi) a mantenere i livelli di contribuzione e la tipologia di portafoglio proposti dall’azienda al momento dell’iscrizione al piano.(1) Tale persistenza si verifica anche quando l’opzione di default si discosta significativamente dalle scelte prevalenti tra i lavoratori che si iscrivono spontaneamente ai medesimi piani previdenziali. È un fenomeno noto come “default bias“, che può comportare un danno importante per i soggetti coinvolti e si presta a due interpretazioni: 1) i lavoratori percepiscono erroneamente l’opzione proposta con il “silenzio-assenso” come quella “consigliata” dal legislatore, dalle parti sociali o, più in generale, da qualche esperto; 2) gli agenti economici sono soggetti a limitazioni cognitive che li portano a prediligere comunque lo status quo a prescindere dalla sua ottimalità rispetto alle proprie esigenze. Molti individui infatti affermano di risparmiare meno di quanto vorrebbero (dato il loro reddito) e l’economia comportamentale attribuisce l’eccesso di rinvio nel tempo del risparmio alla mancanza di autocontrollo e alla sopravalutazione sistematica della propria capacità futura di affrontare i problemi. (2) Gli stessi meccanismi che portano molti di noi ad avere difficoltà a seguire diete, smettere di fumare, eccetera.

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Le responsabilità del legislatore

Dal punto di vista della politica economica, questo tipo di evidenza suggerisce che qualunque normativa del tipo “silenzio-assenso” assume inevitabilmente una valenza “paternalistica” che espone il legislatore e le parti sociali a grandi responsabilità. Certamente, un’adeguata informazione dei lavoratori e una progressiva educazione alla comprensione dei fenomeni finanziari è importante, ma non è sufficiente. Ha grande rilievo anche la “cornice” nella quale le diverse opzioni vengono presentate: nelle loro decisioni reali gli agenti economici tendono a ignorare elementi rilevanti, ma tengono conto di quelli irrilevanti. Il regolatore dunque deve non solo assicurarsi che ai lavoratori sia garantita un’informazione con tutti gli elementi rilevanti. Deve anche prestare attenzione alla possibile presenza di elementi irrilevanti per un agente perfettamente razionale, ma rilevanti per agenti con distorsioni cognitive. La stessa articolazione della gamma di opzioni offerta influenza la scelta: per esempio, vi è evidenza empirica della tendenza a distribuire uniformemente il proprio portafoglio tra le diverse opzioni presentate. (3) Gli individui rinunciano a individuare l’indirizzo di gestione migliore in assoluto e “diversificano” in modo ingenuo cercando una posizione mediana tra le opzioni prospettate. La scelta dell’opzione che prevale in caso di silenzio del lavoratore e la scelta della gamma di composizioni di portafoglio proposte all’interno di ciascuna opzione sono quindi tutt’altro che neutrali.

(1) B. Madrian and D. Shea, The Power of Suggestion: Inertia in 401(k) Participation and Saving Behaviour, in Quarterly Journal of Economics, n.4, 2001, p. 1149-1187; J. Choi, D. Laibson, B. Madrian, A. Metrik, For Better or Worse: Default Effects and 401(k) Savings Behaviour, Nber Working Paper n. 8651, dicembre 2001. Il tasso di partecipazione è dell’86 per cento nel caso in cui il lavoratore sia iscritto al piano pensionistico a meno che non esprima la volontà di non partecipare; nel caso in cui invece occorra scegliere attivamente l’opzione di partecipare, il tasso di partecipazione scende al 49 per cento.

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(2) Per esempio, O’Donoghue, T., Rabin, M., Doing It Now or Later, in American Economic Review n. 1, 1999, pp. 103-124.

(3) S. Benartzi and R. Thaler, Naïve Diversification Strategies in Defined Contribution Saving Plans, in The American Economic Review, n.1, 2001, pp. 79-98.

 

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