Dall’analisi dell’insieme delle imposte sulle imprese a carico del lavoro e del capitale emerge che il primo fattore produttivo risulta più tassato del secondo. Ma a ben vedere a essere fortemente sussidiati fiscalmente sono gli investimenti finanziati con debito. Un migliore equilibrio dovrebbe allora essere perseguito attraverso una maggiore neutralità nel trattamento fiscale degli investimenti piuttosto che aumentando indiscriminatamente la tassazione del fattore capitale. L’attenzione quindi non dovrebbe essere concentrata solo sull’Irap.

Il termine “cuneo di imposta” è ormai entrato nel linguaggio comunemente usato nel dibattito di policy, soprattutto quando si fa riferimento alla tassazione del fattore lavoro. Ciò non significa che sia sempre chiaro cosa si intende con questo concetto e quali siano le sue potenzialità e i suoi limiti.
Un “cuneo di imposta” su un fattore produttivo è una misura sintetica dei vari oneri fiscali che gravano formalmente su quel fattore. Può includere molteplici tipologie di prelievo (le imposte pagate sui fattori dalle società che li utilizzano, e quelle pagate dai percettori dei relativi redditi) e vari aspetti della normativa (ad esempio deducibilità dall’imponibile e detrazioni dall’imposta, oltre alle aliquote legali, sul reddito e patrimoniali). Il cuneo può allora variare in funzione del settore di attività dove i fattori produttivi sono impiegati e delle loro caratteristiche. Inoltre, specie nel cuneo sul capitale, vi sono ipotesi di partenza che possono rendere diverse le misure di volta in volta calcolate. Impiegare correttamente queste misure e discutere di effetti di possibili riforme fiscali utilizzando questi indicatori impone perciò rigore metodologico. Vediamo di fare un po’ di chiarezza iniziando dall’esempio più semplice, il cuneo sul lavoro.

Cuneo di imposta sul lavoro

Il cuneo di imposta sul lavoro può essere espresso come differenza fra il costo del lavoro per l’impresa e il salario netto del lavoratore. Fornisce quindi una misura sintetica delle imposte pagate dal datore di lavoro, che corrisponde il salario, e dal lavoratore, che lo riceve. È formato da contributi e imposte a carico del datore di lavoro e contributi e imposte a carico dei lavoratori. Può poi essere espresso in percentuale del salario netto o del costo del lavoro.
La riforma dell’Irpef dello scorso anno ha agito sulla componente del cuneo a carico del lavoratore (con risultati erratici e tendenzialmente più consistenti per i contribuenti più ricchi). Con la riforma dell’Irap attesa per quest’anno si intenderebbe invece agire sulla componente formalmente a carico delle imprese. Su questa concentreremo la nostra attenzione.
La tabella 1 illustra i cunei sul lavoro a carico delle imprese nel 2005 e secondo alcune ipotesi di riforma dell’imponibile Irap. L’esempio preso come riferimento è quello di un operaio delle imprese industriali in senso stretto, con più di 50 dipendenti. I cunei sono calcolati in percentuale del costo del lavoro per l’impresa. Ad esempio, il cuneo di 31,5 per cento nel 2005 è calcolato sommando i vari oneri contributivi (33,08 per cento), gli accantonamenti per il Tfr (6,91 per cento), e l’Irap, che si applica all’intero costo del lavoro, con l’aliquota del 4,25 per cento. (1)
Il cuneo riportato nell’ultima riga della tabella è un po’ più elevato (33,1 per cento invece di 31,5 per cento). Il motivo è che qui si tiene conto non solo degli oneri diretti dovuti all’applicazione dell’Irap al costo del lavoro, ma anche di quelli indiretti connessi al fatto che l’Irap, a differenza dei contributi, non è deducibile dall’imponibile Ires.

Tabella 1. Cuneo di imposta sul lavoro (in percentuale del costo del lavoro) per le imprese industriali con più di 50 dipendenti – Operai

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Proposte di modifica base imponibile Irap

2005

– 33% CL

– contributi e TFR

– CL

Cuneo % sul datore (oneri diretti)

31,5%

30,5%

30,7%

28,6%

Cuneo % sul datore (oneri diretti e indiretti)

33,1%

31,7%

31,9%

28,6%


Tra le proposte di riforma che sono state avanzate, la deduzione dall’imponibile Irap di una quota pari a un terzo del costo del lavoro o l’esclusione dalla base imponibile dei contributi previdenziali e degli altri oneri contributivi (incluso il Tfr) avrebbero l’effetto, del tutto analogo, di ridurre il cuneo di circa un punto percentuale. Una riduzione di un certo rilievo (3-4 punti percentuali) si avrebbe solo eliminando completamente il costo del lavoro dalla base imponibile dell’Irap, ma questo comporterebbe una perdita di gettito molto rilevante (12 miliardi di euro circa, pari quasi a un punto di Pil), insostenibile date le attuali condizioni della finanza pubblica.

Cuneo di imposta sul capitale

Il cuneo di imposta sul capitale è ancora più complesso da calcolare anche perché la tassazione degli investimenti avviene in tutto il periodo di vita utile del bene capitale. In generale, il cuneo può essere definito come la differenza fra rendimento lordo su un investimento addizionale e quello netto per il finanziatore finale (creditore o azionista).
Il cuneo è dunque diverso a seconda della natura del finanziatore (cui corrispondono aliquote su dividendi, plusvalenze e interessi diverse), del tipo di beni capitali (cui corrispondono quote di ammortamento deducibili dal reddito di impresa differenziate) e, soprattutto, a seconda della fonte di finanziamento, dato che solitamente non è consentita la deducibilità del costo del capitale proprio, a differenza di quanto accade con il costo del capitale di debito (interessi passivi). Come nel caso del cuneo sul lavoro, concentreremo l’attenzione sulle sole imposte pagate dalle società a titolo di Ires e Irap, sulla situazione al 2005 e su alcune ipotesi di intervento avanzate nel dibattito. La tabella 2 presenta due cunei, con riferimento a due diversi tipi di investimento in macchinari e attrezzature: un investimento “marginale”, che offre cioè un rendimento appena in grado di coprire i costi (imposte, ammortamenti e remunerazione del finanziatore finale, azionista o creditore) e un investimento inframarginale, e cioè con un rendimento che consente extra-profitti, per il quale ipotizzeremo una redditività del 20 per cento. (2)
I due cunei sono molto diversi; quello su un investimento marginale è solitamente più basso perché per livelli di redditività più bassa le deducibilità dall’imponibile (per interessi passivi e ammortamenti) hanno più peso. Al crescere della redditività dell’investimento il cuneo infatti aumenta e tende sempre più ad avvicinarsi all’aliquota legale.

Tabella 2 Cuneo di imposta sul capitale (macchinari e attrezzature)

Proposte di modifica base imponibile Irap

2005

+ammortamenti

-33%investimenti

-investimenti

Cuneo % Investimento marginale

9,18%

26,82%

21,01%

5,82%

Cuneo % Inv infra-marginale (20%)

29,52%

33,69%

32,11%

28,91%

La prima ipotesi di riforma considerata (non consentire la deducibilità dall’imponibile Irap degli ammortamenti) avrebbe l’effetto di aumentare il cuneo sull’investimento marginale con possibili effetti negativi sulla politica di investimento delle imprese. A poco servirebbe se poi, a fianco di questa restrizione, si introducesse un bonus pari a un terzo della spesa di investimento (seconda ipotesi di riforma considerata): il cuneo resterebbe comunque più elevato rispetto alla normativa vigente. Con una politica di questo tipo si penalizzerebbero le imprese che hanno investito in passato, che non si vedrebbero più riconosciuta la deducibilità delle quote di ammortamento, ma anche le imprese che decidessero di intraprendere nuovi progetti dovrebbero sopportare nel complesso un maggior onere fiscale se, a fronte della deducibilità del 33 per cento della spesa di investimento, dovessero rinunciare alla normale deducibilità dall’imponibile Irap, ora consentita, delle quote di ammortamento (ordinarie e anticipate). Se si deducesse dall’imponibile Irap l’intera spesa di investimento (ultima colonna), il cuneo fiscale sul capitale si ridurrebbe rispetto al livello attuale.
Il cuneo di imposta su un investimento inframarignale si modifica meno, ma le riforme considerate o sono peggiorative o lasciano sostanzialmente immutata la situazione.

Confronto fra il cuneo sul lavoro e sul capitale

Dal confronto fra la tabella 1 e 2 emerge che effettivamente, considerando l’insieme delle imposte sulle imprese a carico del lavoro e del capitale, nei due casi presi in esame (operaio della media grande industria e investimenti in macchinari e impianti), il primo fattore produttivo risulta essere più tassato rispetto al secondo. Ma occorrono alcune cautele. Innanzitutto, ciò è vero soprattutto se si guarda al cuneo sull’investimento marginale, mentre la distanza nella tassazione dei due fattori produttivi è minore se si guarda al cuneo su un investimento che genera extraprofitti. In secondo luogo, il dato riportato nella tabella 2 è una media di due cunei molto diversi, sul capitale proprio (25,6 per cento) e su quello di debito (-54,2 per cento). Detto altrimenti, un investimento finanziato con capitale proprio è tassato in modo non troppo difforme dal lavoro, mentre a essere fortemente sussidiato fiscalmente è un investimento finanziato con debito. Questa discrepanza peraltro dipende dall’Ires, dato che l’Irap tratta in modo esattamente uguale le diverse fonti di finanziamento (sia gli utili che gli interessi passivi sono tassati).
Un migliore equilibrio nel trattamento fiscale dei due fattori produttivi, lavoro e capitale, dovrebbe allora prima di tutto essere perseguito attraverso una maggiore neutralità nel trattamento fiscale degli investimenti, a seconda della fonte di finanziamento utilizzata, piuttosto che aumentando indiscriminatamente la tassazione del fattore capitale, rispetto a quella del lavoro. L’attenzione quindi non dovrebbe essere concentrata solo sull’Irap.

(1) L’inclusione del Tfr tra i costi per le imprese potrebbe essere discutibile, ma si è preferito tenerne conto, sia per la rilevanza dell’aliquota, sia per le prospettive future di destinazione di questi accantonamenti ai fondi pensione.
Per 100 euro di salario, il costo per l’impresa è: 100+33,08+6,91+0,0425*(100+33,08+6,91)= 145,94. Il cuneo di imposta di 31,8 per cento è dato dalla differenza fra costo del lavoro per l’impresa e il salario per il lavoratore (145,94-100), espressa in percentuale del costo del lavoro (145,94).
(2) La tabella è costruita ipotizzando: un tasso reale di mercato del 5 per cento, un tasso di inflazione del 2 per cento, un investimento in macchinari e impianti con ammortamento fiscale del 13,25 per cento e ammortamento effettivo del 17,5 per cento, un mix di finanziamento pari al 55 per cento di debito e 45 per cento di capitale proprio (autofinanziamento e nuovi apporti di capitale).

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