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Se l’equity swap dribbla la comunicazione

La famiglia Agnelli resta azionista di riferimento di Fiat. Tuttavia, l’operazione condotta da Exor e Ifil suscita qualche perplessità. Non si tratta di demonizzare i contratti derivati. Ma neanche di far passare il principio che il loro utilizzo, seppure con alcune cautele, consenta di evitare l’obbligo di comunicazione di partecipazioni rilevanti. Ne va della trasparenza dei nostri mercati, nonché della conoscenza delle reali posizioni di controllo nelle società quotate. Per impedirlo, basta introdurre un semplice articolo di regolamento Consob.

Se l’equity swap dribbla la comunicazione

La famiglia Agnelli resta azionista di riferimento di Fiat: esplode il gaudio nazionale per il perpetuarsi di una condizione che, a dire il vero, negli ultimi venti anni non ha portato bene al gruppo torinese. Il coro degli aedi è tanto forte da coprire le voci stonate di coloro che avanzano obiezioni sul disegno complessivo, ovvero sulla tecnica utilizzata per realizzare il superiore fine.

Cronaca di un’operazione molto applaudita

L’operazione è partita da un equity swap, una transazione grazie alla quale, secondo le dichiarazioni, Exor ha deciso di puntare sulla rivalutazione dei titoli Fiat. Exor ha dato mandato a Merrill Lynch di rastrellare novanta milioni di azioni Fiat, impegnandosi a pagare, a scadenza, la eventuale minusvalenza rispetto ai prezzi di mercato, in cambio della speranza di ricevere la plusvalenza, sempre eventuale. Ha fatto dunque una speculazione puntando sull’aumento di valore del titolo. Sempre secondo le spiegazioni fornite, non c’era alcuna intenzione di assumere una posizione in Fiat, tanto che il contratto non prevedeva la consegna “fisica” dei titoli. Solo a metà settembre si è deciso di cogliere l’occasione (“imperdibile” secondo i vertici del gruppo) dell’aumento di capitale al servizio del convertendo Fiat, per chiedere la consegna fisica dei titoli. Ciò ha consentito di riequilibrare, in tempo reale, la diluizione legata al “convertendo”, restando sopra la soglia di partecipazione del 30 per cento. Senza tale operazione, Ifil sarebbe scesa al 22 per cento: la differenza è l’8 per cento.
Fin qui, la ricostruzione dei fatti che si basa sulle dichiarazioni dei vertici del gruppo.
Exor è controllata al 70 per cento dalla Sapa Giovanni Agnelli, e al 30 per cento dall’Ifil. Presidente di Exor e di Ifil è Gianluigi Gabetti. Davanti ai rialzi del titolo in estate, a domanda di Consob, il gruppo ha risposto di non essere a conoscenza di motivi che potessero essere dietro tale rialzo. Forse se il presidente di Ifil, Gabetti, avesse chiesto lumi al presidente di Exor, Gabetti, avrebbe potuto avere informazioni rilevanti da fornire alla Consob. Ci si può nascondere dietro un dito e rispondere che Ifil non aveva notizia di andamenti del gruppo Fiat tali da giustificare il rialzo, ma è evidente che uno dei motivi di questo rialzo erano gli acquisti sul mercato di Merrill Lynch, che stava coprendo i rischi del contratto. Con il che si arriva al punto vero: chi era tenuto a comunicare il superamento delle soglie rilevanti di partecipazione, legato all’esecuzione del contratto? Merrill Lynch, subito dopo aver stipulato il contratto, ha denunciato il superamento della soglia del 2 per cento in Fiat. Dopo di allora, tuttavia, nessuna comunicazione è seguita, né da Merrill Lynch, né dal gruppo Ifil o dalla Sapa Giovanni Agnelli, fino alla divulgazione della notizia dell’operazione da parte di Ifil.

Obbligo di comunicazione per chi?

Come mai? Possibile che nessuno avesse quest’obbligo, essendo in ballo l’8 per cento di una società quotata? Exor, si dice, non voleva le azioni, in origine, ha solo fatto una scommessa sul valore del titolo, e quindi non era tenuta a dichiarare alcunché. Inoltre, la posizione di Gabetti, come bi-presidente di Exor e Ifil, è particolarmente delicata: con quali criteri ha allocato l’operazione su Exor e non su Ifil? Non vorremmo essere nei panni del bi-presidente, costretto, in non più verde età, a ripetere quegli equilibrismi condotti nel 1986, in tandem con Galateri, ai tempi del “colpo grosso” ai danni dei malcapitati soldatini sabaudi dell’Ifil. Allora quando si trattò di rilevare dai libici della Lafico le azioni della Fiat, questa società vide la propria vocazione stravolta e fu adibita a quel compito di servizio delle esigenze della real casa che sarebbe poi diventato il suo vero “core business”.
Come che sia, è stata Exor a fare l’operazione ed Exor, avendo sopportato il rischio, trattiene giustamente, ci dicono, parte del profitto che ne è derivato, ben 90 milioni di euro. Pro futuro, visti i sanguinosi precedenti citati, sarebbe il caso che il gruppo rendesse chiara la mission di ogni sua società; ciò per evitare la sgradevole sensazione che ancora oggi, all’alba del ventunesimo secolo, le sue società, quotate e no, siano utilizzate come i tasti di un pianoforte, al servizio delle esigenze del gruppo senza alcuna considerazione del ruolo reale di ciascuna, e dei diritti dei malcapitati soldatini sabaudi: non tutti volontari, alcuni anzi coscritti, come le banche del convertendo.
Se la comunicazione non spettava a Exor, spettava allora a Merrill Lynch, che ha rastrellato i titoli? Nel silenzio della investment bank Usa, pare di capire che essa si sia limitata a non sforare la soglia del 5 per cento, che avrebbe richiesto un’altra comunicazione: il 3 per cento residuo, necessario per raggiungere la quota prefissata da Exor, è stato distribuito fra altre controparti.
I quattro quarti di nobiltà dell’Ifil non bastano a occultare la triste sensazione che il mercato sia stato preso in giro da molti, quest’estate, non solo dai nuovi ricchi e dai furbetti del quartierino.
I contratti derivati hanno aperto una nuova era, consentendo alle imprese di coprire i propri rischi in modi prima inconcepibili, nonché di scommettere, come la speculazione ha sempre legittimamente fatto, sugli andamenti futuri. Sono quindi uno strumento, che può essere utilizzato bene o male. Non demonizziamo i derivati, ma stiamo attenti. Se passa il principio che qualsiasi contratto derivato, purché distribuito fra più controparti, o purché non preveda la consegna fisica dei titoli (senza peraltro escluderla), consente di evitare l’obbligo di comunicazione di partecipazioni rilevanti, si apre una voragine e il mercato torna all’età della pietra. Ne va della trasparenza dei nostri mercati, nonché della conoscenza delle reali posizioni di controllo nelle società quotate.
Non c’è che una strada: un semplice articolo di regolamento Consob, dove sia scritto che chiunque detenga un diritto che gli consente, a scadenza anche lontana, di ottenere una partecipazione tale da determinare il superamento di soglie rilevanti di partecipazione, è tenuto a comunicarlo al mercato come se tale partecipazione fosse già detenuta: che si tratti di obbligazioni convertibili, di opzioni, di equità swap con o senza consegna dei titoli, non cambia, la comunicazione è dovuta. Con contratti di questo tipo, infatti, anche gli obblighi di Opa potrebbero essere elusi molto facilmente. Se la Banca d’Italia non fosse stata sciaguratamente trascinata, dal suo governatore pro-tempore, in una contesa politica legata a un folle disegno finanziario, sarebbe probabilmente la prima a richiedere modifiche di questo tipo, per i motivi connessi alla sana e prudente gestione degli intermediari. Ma a via Nazionale hanno altro a cui pensare.

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La replica di Gianluigi Gabetti

Ho letto l’intervento di Salvatore Bragantini su lavoce (“Se l’equity swap dribbla la comunicazione”) e poiché il mio nome vi ricorre ripetutamente, mi viene naturale di replicare ai vari quesiti da lei sollevati.
Premetto che l’operazione di equity swap fu proposta da Merrill Lynch all’AD di Exor, dott. Brandolini d’Adda, intorno al 20 aprile e fu dall’Exor presa in considerazione, in quanto rientrante nelle sue competenze di investitore in cash , cash equivalent e in prodotti finanziari, utilizzando risorse fornite prevalentemente dall’Accomandita (azionista all’ 70%, cui si affianca il 30% di IFI).
L’operazione fu originata dalla sorpresa causata dall’improvvisa caduta della quotazione del titolo Fiat su livelli inferiori ai valori nominali avvenuta a metà aprile.
Il CDA di Exor ritenne opportuno accedere alla proposta di Merrill Lynch, rifiutando implicitamente di condividere l’ipotesi che la Fiat meritasse una quotazione tanto stracciata. Ricordo in proposito che l’AD della Fiat Marchionne e alti dirigenti della Società vi reagirono a modo loro acquistando partite significative di titoli.
Ad ogni buon conto l’operazione di equity swap fu effettuata da Merrill Lynch attraverso la Borsa nel periodo compreso tra il 26 aprile e il 7 giugno: essa rappresentò una percentuale inferiore al 15% sul volume complessivo delle Fiat ordinarie trattato nel periodo.
Fu quindi corretta la risposta negativa data alle richieste della Consob in tempi molto successivi (26 luglio e 24 agosto) miranti ad accertare se si conoscessero le ragioni dell’ “andamento delle quotazioni e dei rilevanti volumi scambiati delle azioni emesse da Fiat Spa nelle ultime sedute di mercato”, in quanto le anomalie riscontrate da Consob alla citata data non potevano certo attribuirsi all’incidenza dell’equity swap conclusosi ben 6 settimane prima, e – ribadisco – con un’incidenza che non superò il 15% dei volumi trattati.
Per quanto riguarda in particolare IFIL, è da escludere nel modo più tassativo la mera ipotesi che IFIL potesse prendere in considerazione un’operazione di equity swap, per definizione a rischio di perdita (che sarebbe ricaduta su Exor) e quindi di natura ben diversa dagli investimenti di medio-lungo termine che caratterizzano la missione di IFIL.
Sotto questo profilo i ruoli di Exor e di IFIL sono e resteranno ben distinti e separati.

Per rivolgere un ultimo sguardo al passato non dimentichiamo certo le vicende sofferte del 1986, quando IFIL dovette intervenire in modo massiccio per recuperare il pacchetto di azioni in mano Lafico che rischiava di diventare una crescente minaccia alla posizione di controllo di Fiat da parte di IFI. Quel ricordo costituì un monito che ispirò il faticoso riassetto delle due holding voluto dal compianto Dott. Umberto Agnelli e da me realizzato (quando fui invitato a riprendere responsabilità operative nel Gruppo dopo la scomparsa dell’Avvocato Agnelli), insieme al Dott. Daniel John Winteler.
Qui chiuderei il paragone con il passato perché gli avvenimenti che si sono sviluppati dopo l’impostazione dell’equity swap da parte di Exor (definibile come operazione prettamente “finanziaria”), sino al sopraggiungere della maturazione dell’intervento di IFIL (definibile come “strategico”), sono stati caratterizzati dal nuovo prorompente corso della Fiat, rivelato al mercato dal Dott. Marchionne in occasione della riunione con gli analisti tenutasi l’8 luglio presso Mediobanca.
Le dichiarazioni di Marchionne, poi confermate dai dati relativi al secondo trimestre comunicati il 26 luglio, segnarono un turning point della Fiat del quale l’azionista di riferimento IFIL non poteva non tenere conto, sia per il loro peso e significato oggettivo, sia perché quella medesima fiducia – che le stesse potevano profondamente ispirare all’IFIL – incominciava ovviamente a farsi strada anche sul mercato.
E fu proprio in quel drammatico mese di luglio che si radicò la crescente convinzione che una nuova Fiat stesse nascendo, una Fiat capace di compiere un turnaround del quale – ripeto – l’IFIL non poteva disinteressarsi; anche perché, sul retro della medaglia, si profilava il rischio che in caso di nostra assenza altri potessero intraprendere striscianti pericolose iniziative in un mercato nel quale il volume degli scambi toccò livelli preoccupanti.
Di qui l’eventualità che mani forti e organizzate potessero mettere in atto serie minacce al mantenimento da parte di IFIL di quella posizione di azionista di riferimento che, già ai margini dell’Assemblea del 27 giugno, c’eravamo impegnati a mantenere. Promesse puntualmente e ripetutamente ricordate in ogni occasione, mai smentite da alcuna successiva dichiarazione, tanto che ci fu chi si domandò apertamente se non si dovesse ravvisare la chiara volontà dell’IFIL di identificare il suo ruolo di azionista di riferimento con la percentuale di controllo corrispondente alla soglia OPA.
In realtà restava per noi difficile in quel momento capire come si sarebbe potuto realizzare un tale obiettivo: queste considerazioni furono alla base di intense consultazioni tra me e l’Avvocato Grande Stevens.
Subito prima della pausa estiva, facendo il consueto giro d’orizzonte, ci trovammo entrambi preoccupati nel constatare che il riconoscimento da parte di molti operatori delle migliorate condizioni della Fiat potesse alimentare operazioni che avrebbero potuto ingenerare turbative al piano del rilancio, a scapito della ritrovata stabilità del management che ne era la premessa indispensabile.

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Concludemmo che, allo stato dei fatti, fosse divenuto quantomai importante che il Gruppo Agnelli trovasse il modo di mantenere invariata la sua posizione di azionista di riferimento della Fiat. Si trattava però di comprendere bene come ciò fosse stato possibile senza dover far ricorso ad un’OPA, da escludersi perché troppo impegnativa.
A fine agosto Grande Stevens, dopo aver di propria iniziativa consultato in via riservata a titolo personale e professionale le competenti autorità, mi comunicò – trovandomi io ancora negli Stati Uniti – di aver trovato una formula giuridica che avrebbe consentito di mantenere invariata la quota del 30,06%, a condizione che si potesse cogliere l’occasione irripetibile dell’emissione delle nuove azioni Fiat prevista per il 20 settembre. Questa occasione irripetibile esigeva di reperire con urgenza la disponibilità per quella data del pacchetto di azioni necessarie.
Si contattò immediatamente l’Exor e si intraprese una trattativa con Merrill Lynch per ottenere la modifica, che non era stata ovviamente prevista, nelle modalità del contratto standard, con lo scopo di ottenere la consegna fisica delle azioni. Nacque così all’inizio di settembre l’ipotesi di un’operazione che coinvolgesse anche IFIL.
Da tutto ciò dovrebbe risultare evidente che solo in allora prese corpo un vero progetto, poichè solo allora si verificarono le condizioni necessarie a dare vita a qualsiasi progetto: concretezza e fattibilità, non ancora realizzatesi al momento della richiesta posta da Consob che – ripeto – erano comunque riferite a movimenti borsistici ai quali eravamo del tutto estranei (ripetiamo che l’ultimo intervento sul mercato risaliva al giugno).
Una volta che Exor ottenne il consenso di Merril Lynch, IFIL fu coinvolta nell’operazione e l’ 8 settembre decise di avvalersi del Dott. Braggiotti in qualità di advisor.
IFIL negoziò con Exor i termini e le condizioni di acquisto delle azioni Fiat, arrivando a sottoporre una proposta al CDA del 15 settembre. Prima che ciò avvenisse si ritenne indispensabile convocare i maggiori esponenti dell’azionariato familiare, i quali per la prima volta ne furono informati e l’approvarono nella tarda serata del 14 settembre: diversamente l’operazione non avrebbe avuto corso.
Questi i fatti.
Quanto all’emanazione di provvedimenti che possano dare la più completa sistemazione a questa materia, penso che non ci si dovrebbe sorprendere se, tra le conseguenze, vi potrà essere necessariamente una ben più profonda rivisitazione di tutta la “nuova finanza” e dei relativi strumenti innovativi, venutisi a formare in modo piuttosto disordinato dopo la famosa revoca del Glass Steagall Act risalenti ormai ad alcuni anni fa.

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Sommario 25 Settembre 2005

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  1. Martino

    Poter leggere un commento pacato e allo stesso tempo rigoroso sulla straziante “operazione exor” da parte della fam agnelli. dietro la foglia di fico della “non liquidiamo la quota in Fiat” che secondo loro sarebbe il segno che gli agnelli ci credono tanto da investirci. capirai, fosse un merito!
    la fiat non è altro che uno degli investimenti della famiglia agnelli, dice onestamente andrea, peccato che la fam. stessa lo usi come grimaldello sociale per i propri (altri) interesse ed immagine da 40 anni. E un grimaldello lo azioni meglio se hai il 30% del manico e non il 22%….

  2. Lukas Plattner

    Che la vicenda rientri nell’ambito delle disposizioni in tema di assetti proprietari può dar luogo a qualche dubbio, data l’attuale formulazione della norma sulla partecipazioni potenziali.

    Certo è che l’informazione doveva essere diffusa ai sensi dell’art. 114 TUF in tema di informazione societaria. La S.a.p.a. Giovanni Agnelli in quanto controllante Fiat era comunque tenuta a fornire tale notizia al mercato. L’assenza di informativa su operazioni di tale rilevanza non può che preoccuppare.

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