Pur con molte cautele si può provare a stimare gli effetti sul gettito dell’adozione di una aliquota unica per la tassazione dei redditi delle attività finanziarie. Prendendo come riferimento la base imponibile da cui è derivato il gettito 2004 e a parità di volume, redditività e composizione della ricchezza, un’aliquota uniformata al livello più basso porterebbe sicuramente a una perdita di gettito. Con un’aliquota del 15 per cento circa, si avrebbe una sostanziale parità, mentre un’aliquota uniforme del 23 per cento potrebbe comportare un maggiore introito di 6,7 miliardi.

Le aliquote attuali

Nel nostro paese, i redditi delle attività finanziarie (interessi, dividendi e plusvalenze), quando sono percepiti da persone fisiche al di fuori di ogni attività di impresa, non sono tassati come gli altri redditi attraverso l’imposta progressiva (Irpef), ma subiscono un prelievo proporzionale, generalmente a opera degli intermediari, articolato su due aliquote:

  • il 12,5 per cento sugli interessi delle obbligazioni pubbliche e delle più rilevanti tipologie di obbligazioni private
  • 12,5 per cento sulle plusvalenze e sui dividendi, derivanti da partecipazioni non qualificate, ossia quelle che riguardano il pubblico dei risparmiatori che detengono porzioni molto piccole del capitale delle società. (1)
  • 12,5 per cento sul risultato di gestione dei fondi comuni
  • il 27 per cento sui depositi e conti correnti bancari e postali.

Elevare l’aliquota del 12,5 per cento vorrebbe dunque dire aumentare la tassazione degli interessi, dei dividendi e delle plusvalenze realizzate da persone fisiche su partecipazioni non qualificate e dei fondi comuni.
Nel caso in cui il percettore di dividendi e plusvalenze sia un socio qualificato o un soggetto-Irpef che esercita attività di impresa, questi redditi di capitale, invece di essere tassati al 12,5 per cento, sono inclusi per il 40 per cento nell’imponibile Irpef, con aliquote che vanno attualmente da un minimo del 23 per cento ad un massimo del 43 per cento. In queste ipotesi, l’aliquota effettiva (tenendo conto della parziale inclusione in Irpef) va pertanto da un minimo del 9,20 per cento (0,40*0,23) a un massimo del 17,20 per cento (=0,40*0,43). Questi soggetti non sarebbero interessati dall’aumento dell’imposta sostituiva del 12,5 per cento.
Dividendi e plusvalenze percepiti da altre società di capitali, di cui qui non ci occupiamo, godono invece di un regime di sostanziale esenzione .

Effetti sul gettito dell’adozione di un’aliquota unica

La tabella 1 illustra il gettito delle imposte sostitutive sui redditi di capitale, per il 2004, disaggregato per tipologia di prelievo (dati Istat). Solo il primo aggregato comprende imposte prelevate ad aliquote diverse: 12,5 per cento e 27 per cento, quest’ultima riservata agli impieghi a breve temine come i depositi bancari. Per tutti gli altri prelievi indicati, l’aliquota, nel 2004, è il 12,5 per cento. Ipotizzando che nel primo aggregato i redditi tassati al 27 per cento pesino per il 30 per cento del totale, e inoltre che la composizione della ricchezza e la sua redditività restino quelle osservate nel 2004, le successive colonne illustrano le variazioni di gettito che si avrebbero imponendo un’aliquota unificata su tutte le tipologie di reddito, pari al 12,5 per cento, al 15,15 per cento, al 20 per cento o al 23 per cento.

Tabella 1. Gettito delle imposte sostitutive sui redditi di capitale, 2004 (milioni di euro) e variazioni del gettito in presenza di un’aliquota unica a diversi livelli



Se le aliquote venissero uniformate al livello più basso (12,5 per cento) si avrebbe sicuramente una perdita di gettito, pari, nelle nostre ipotesi, a più di 2 miliardi di euro.
Con un’aliquota del 15 per cento circa, si avrebbe sostanziale parità di gettito. Per ogni punto in più al di sopra di questa aliquota il gettito aggiuntivo sarebbe pari a poco più di 800 euro a punto, sempre nelle ipotesi fatte di parità di volume, redditività e composizione della ricchezza e prendendo a riferimento la base imponibile da cui è derivato il gettito 2004 (attorno a 13 miliardi di euro).
Passare a un’aliquota uniforme del 23 per cento potrebbe quindi comportare un maggiore introito di 6,7 miliardi di euro, ma il maggior gettito sarebbe di rilievo anche con un’aliquota del 20 per cento (superiore a 4 miliardi).

Alcune importanti cautele

Queste stime vanno però prese con molte cautele.
In primo luogo, il gettito delle imposte sui redditi finanziari, come si nota dalla figura 1 è molto variabile di anno in anno, in relazione all’andamento dei mercati.

Figura 1 Gettito delle imposte sostitutive sulle attività finanziarie 1998-2004 (milioni di euro)

In secondo luogo, un aumento indifferenziato dell’imposta sostitutiva, ad esempio, al 20 per cento o al 23 per cento, su tutti i redditi di capitale, non tiene conto dell’esigenza di adeguare il prelievo per tenere conto della tassazione già subita in capo alla società dai dividendi e dalle plusvalenze azionarie (nella misura in cui queste riflettano l’esistenza di utili non distribuiti).

(1)
Vengono definite qualificate le partecipazioni che, nel caso dei titoli quotati, rappresentino almeno il 2 per cento dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria o il 5 per cento del capitale della società partecipata. Nel caso dei titoli non quotati le due percentuali salgono, rispettivamente, al 20 e al 25 per cento.

 

 

 

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